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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

" Vi racconto la storia del ""Foro di Livio"". Insegno, ma sono anche giornalista. Sono dottore in Giurisprudenza ma anche in Scienze religiose. Osservatore curioso, sono appassionato di storia locale e di musica del Settecento. Ho il vizio di scrivere e pubblicare (con discrezione) saggi, manuali, racconti. Mi occupo anche di birra, ma questa è un'altra storia "

Il Foro di Livio

La virtù di Melchior

Amico di Leopardi, segretario di Canova, abate giacobino, qualche riga su un forlivese colto e generoso: Melchiorre Missirini

Il 31 gennaio 1823, Giacomo Leopardi manifestò segni di disgusto dopo aver ascoltato l'orazione funebre per Antonio Canova. Non sapeva che chi stava declamando quei versi ne era l'autore, ed era un forlivese: Melchiorre Missirini. Nonostante quest'infelice impatto, Leopardi e Missirini iniziarono un rapporto di stima e amicizia. Chi era questo Melchiorre, o, come preferiva l'interessato: Melchior, nato nel 1773 sull'omonima via a due passi da piazza Saffi? In un presente dominato dai tecnici è bene ricordare un umanista poco nominato. Costui, tra le altre cose, nel 1840 donerà tutto il suo importante patrimonio artistico a Forlì, ai forlivesi: così fu tra i fondatori della Pinacoteca forlivese, tra i suoi regali alla città si può citare la preziosa Natività del Beato Angelico. Ma non solo.

Figlio di Domenico, mercante in seta, e fratello dell’architetto Giuseppe, Melchiorre ebbe una carriera accademica decisamente cospicua. Nel 1795, a ventidue anni, sbalordì i severi professori di teologia portando all’esame il grosso volume “De Deo et de ecclesia” e citandolo a memoria. Non fu però la teologia la sua strada. Divenne abate, sì, ma poi insegnò eloquenza ed il suo nome fu noto in tutte le accademie del tempo. Ebbe anche una calda passione politica, forlivesemente napoleonica. Infiammato dall’arrivo dei francesi in città, lasciò la cattedra e si buttò in politica: fu segretario della municipalità e arringava la folla ai piedi dell’Albero della Libertà in piazza. Le sue opere furono tutte in ossequio all’ardore repubblicano, aggiuntosi al più robusto amor di patria. Così tradusse Byron e il suo “Canto all’Italia”.

Si trasferì a Roma, e qui si dedicò all’antichità; scrisse, per esempio, “Versi all’uso greco”, o “Lezioni di eloquenza”. Entrò dunque a far parte della Tiberina, fondata da Gioacchino Belli, fino ad esserne presidente. Frequentò anche l’Archeologica e la Latina, fu socio di altre Accademie come quella di Santa Lucia e di San Luca, di cui fu segretario. A Roma conobbe Antonio Canova, e ne rimase intimo amico, commensale, segretario particolare. Il forlivese, a due anni dalla morte dello scultore (13 ottobre 1822), ne scrisse la biografia. Nel suo “Canzoniere”, una raccolta di sonetti dal sapore antico e allegorico, Missirini ne dedicò uno, il numero 43, all’“immortale Canova”: “Se mai l’almo Scultor di gloria cinto, / che dalla Tana al Gange eterno vola, / E restaura la bella Itala Scuola/ Co’ portenti di Rodi e di Corinto, // Meco è talora a figurar accinto / di vaga Ninfa la marmorea gola./ E il bel labbro, ove spunta la parola, / Onde il latin scalpello, e il greco è vinto: // Inteso alla leggiadra opra immortale, / grido, colpito allor di meraviglia: / vedi sembianza del mio dolce amore! // Tale è sua forma, e il bel sorriso, e tale / è l’atto della fronte, e delle ciglia / e oh Dio sì freddo, e così duro ha il core!”.

Canova modellò in un bassorilievo il profilo del forlivese e (così si ritiene) decorò l’“allegoria della buona madre” per la tomba di Maria Francesca Ravaioli, madre di Melchiorre Missirini. Preziosi disegni dello scultore, appartenuti al forlivese, ora sono nella Biblioteca della città che vanta l’Ebe tra le sue bellezze. Entrato in contrasto con Papa Leone XII, restrittivo sull’interpretazione del nudo nell’arte, Missirini non poté far altro che abbandonare Roma e si rifugiò a Firenze. Nonostante amarezze e nuove sfide, Firenze era più vicina a Forlì, quindi fin dal 1828 riprese più frequenti contatti con la sua città natale. Il resto della sua vita, conclusa nel 1849, si svolse ricca di soddisfazioni culturali: era un uomo operoso, e il suo curriculum lo dimostra.

Inutile, perché troppi, riportare qui i titoli delle multiformi opere scritte e pubblicate dal forlivese: vi sono sermoni, volumi sugli “Illustri Italiani”, trattati (come il “Pericolo di seppellire gli uomini vivi creduti morti”), saggi, poesie e addirittura una tragedia (“Teano”). Membro dell'Accademia di scienze fisiche e chimiche di Parigi, conobbe un respiro culturale europeo che temperò con la sua “filosofia dell'italianismo”. E questo esaltare l'Italia allora disunita lo portò ad approfondire i grandi letterati: Dante in primis, e si può dire che con gli studi di Missirini, Dante fu riscoperto dopo secoli di oblio. Insomma, catturò il meglio dell'Italia, dal Duecento a Michelangelo, per esserne cerniera col mondo a lui contemporaneo.

Tornando al “Canzoniere”, sembra vedere in esso l’armonia e la bellezza proporzionata e compiuta, ma non fredda, delle opere di Canova. Un’arte delle idee. Usando uno stile vicino a Dante e Petrarca, Missirini si dichiara innamorato della Virtù e, benché tra i sonetti si parli di una “Donna”, il forlivese, come si legge nella “spiegazione”: “Si è immaginato un Tipo che non può affarsi a veruna donna, perché ha accumulato in esso tutte le doti dell’animo, del corpo, del cuore, della mente, dello ingegno, della grazia”.
La sintesi del pensiero “platonico” di Melchiorre Missirini può essere desunta dal Sonetto 181: “Il volgo che vaneggia e non intende / cosa giammai, che troppo in alto sale, / ride in udir che la mia Donna prende / d’una natura angelica e immortale: // Ma s’ei ponesse mente, ove risplende/ lo Sol, che a’ miei desiri infiamma l’ale, / diria, che il nobil fuoco, che m’incende, / è tutto trascendente e spiritale //. Or da che mia ragion gl’ingegni umili / veder non ponno, e discoprire il velo / de’ faticosi miei sensi sottili; // unicamente a voi sacro, e disvelo / i miei chiusi pensier, spirti gentili, / purgati nell’ardor del terzo cielo”.   
 

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