rotate-mobile
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

IL FORO DI LIVIO – Riaprono (solo per oggi) le antiche osterie

Nella Forlì ottocentesca c'erano oltre trenta osterie, certo, di tutti i tipi, andiamole a cercare con la "realtà aumentata" che questa rubrica può consentire. Innanzitutto vediamo i punti in comune: vendono più o meno la stessa cosa, cucina romagnola, o semplicemente vino e piadina. Al bando stramberie d'altrove: del resto, cosa c'è di meglio? Ma le osterie erano molto di più...

Che si fa stasera? Andiamo da Ghibulin a bere una foglietta. Questa frase ora è di significato oscuro, in realtà era pienamente compresa dai nostri antenati, colti o ignoranti che fossero.
Nella Forlì ottocentesca c'erano oltre trenta osterie: andiamole a cercare con la “realtà aumentata” che questa rubrica può consentire.
Innanzitutto vediamo i punti in comune: vendono più o meno la stessa cosa, cucina romagnola, o semplicemente vino e piadina. Al bando stramberie d'altrove: del resto, cosa c'è di meglio?

Una frasca di sempreverde sull'uscio significa: "qui si mangia e si beve vino". Quando il raccolto è abbondante, si possono pagare due soldi all'ingresso e bere a sazietà. Le misure di capacità degli alcolici a sua volta sono caratteristiche e basate su accise pontificie.
Sopravvive il “quartino”, ma ci si può accontentare di un “quintino” detto anche chierichetto. Frequente è la foglietta (mezzo litro), servita in brocche di terra ceramicata con i bolli fiscali sotto l'orlo. Multipli della foglietta sono il boccale e il congio

Dal soffitto pende la lucerna e in un angolo si stende un camino largo, coperto di graticole e tegami vari. Sul bancone spiccano boccali, bicchieri, mezzette pronti per essere riempiti. 
Gli astanti, diversi per censo, si lasciano andare nel linguaggio e poco si preoccupano di convenzioni o del politicamente corretto. Anzi, spesso la locanda è luogo per esprimere, anche con violenza e provocazioni, la propria appartenenza politica, come avvenne nel 1851: una rissa sfociata in pedinamenti, coltellate, sassate, bastonate fu generata proprio all'interno dell'osteria di Montanari, in Borgo Ravaldino, dove pure vediamo la Bombarsòna, l'Ustarì d'la Stèla, l'Osteria della Pera e l'Aquila d'oro. L'Osteria diventa spesso covo di sovversivi e sono luoghi immorali per i benpensanti. Si gioca a carte, ci si insulta, ci si mena, ci si ubriaca: certo, almeno per la maggioranza dei casi, luoghi rudi e potenzialmente pericolosi. 

Figura assimilabile alle osterie è quella dell'imbonitore, una sorta di pubblicitario strillone che va nei luoghi più frequentati della città per propagandare questo o quel locale dettagliando i prezzi dei vini. 
Le insegne altro non sono che tavoli, botti, oppure nomi variopinti su banderuole in legno o ferro battuto e caratterizzati con simboli particolari, come il Moro, il Bersagliere, il Cocomero, il Cannone, la Pera. Nel Cantone di Mozzape', angolo di piazza Saffi dove c'è la chiesa del Suffragio, vediamo l'Osteria della Pace. Si sa poi che dal Ribelle si serve piadina ed ottimo sangiovese. 
Ovviamente in ogni osteria il sangiovese è il migliore, come si asserisce da quella della Buratela. L'Osteria di San Marco, ricordata già nel 1755, ha sede in Borgo Cotogni dove poi sarà albergo, ospiterà anche Gioacchino Murat. La si trova anche in Schiavonia, pure col nome di Leon d'oro (come altre locande).

Dietro il teatro c'è un'osteria nota come Pirin, già dell'oste detto Cul rott (espressione infelice per ricordare un intervento chirurgico): alcuni forlivesi, imbarazzati da un nome tanto volgare, preferiscono chiamarla, non certo migliorando le cose, osteria dell'Ano infranto. Un tempo era in Borgo Ravaldino. Poi c'è la Padella, in via delle Celendole (cioè via Allegretti), qui ci si arrangia: chi vuole mangiare si avvicenda nella cottura di trippa e sangue, ventresca e budella con molto sale e pepe grossolano. Merita menzione Ghibulin, presso il fu Teatro Esperia. L'aspetto è quello di una cantina, stanzone senza luce ma più che decoroso. Ghibulin è oste di chiara fama quale unico depositario dell'albana di Bertinoro, particolarmente raffinato e cerimonioso. Il salone è frequentato da personaggi illustri della città, artisti, uomini di lettere, e ospiti d'eccezione, come Giosuè Carducci. Nel Borgo San Pietro, si possono citare le osterie Del Gallo, Del Sole, il Cavallo d'Oro (in via Giove Tonante).

Fuori dalle mura, si parla anche di Fantò, nei pressi degli attuali viale Vittorio Veneto e via Ridolfi, aggraziato dal suono del violino del vecchio Ghinoss. E non troppo distante, Zabaiet, in piazzale Orsi Mangelli fuori porta San Pietro. Il locale semina di ubriachi la notte, anche in questo caso, il suo vino è migliore degli altri. Nei pressi della vecchia stazione troviamo l'Osteria dei Mercanti. Poi numerose sono le piccole osterie di Schiavonia dai nomi sbiaditi o dimenticati, come L'Onda, o Della Luce Elettrica. Difficile identificarle, perché molte cambiano sede, cambiano osti, ma il menù, più o meno, resta sempre identico. 

Questo mondo non esiste più. A poco a poco, le antiche insegne delle osterie sono scomparse tutte, sostituite con locali sicuramente più moderni, igienici, tranquilli ed efficienti ma con nomi che hanno poco o niente a che fare con l'identità cittadina. Per una Forlì che vuol dirsi turistica, sarebbe bello incoraggiare, anche economicamente, chi avesse voglia di aprire un'osteria con uno dei nomi tradizionali indicati sopra

Si parla di

IL FORO DI LIVIO – Riaprono (solo per oggi) le antiche osterie

ForlìToday è in caricamento