rotate-mobile
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

IL FORO DI LIVIO - Si apre il sipario sui teatri perduti

Una lunga tradizione teatrale caratterizza Forlì, città che ha ospitato, nel corso della sua storia, sale di tutto rispetto. Qui si cerca di capire quanti teatri siano esistiti (ed esistano) nel capoluogo romagnolo. Molti dei quali purtroppo perduti, alcuni progettati e mai costruiti. E l'immagine, a cosa si riferisce?

Una lunga tradizione teatrale caratterizza Forlì, città che ha ospitato, nel corso della sua storia, sale di tutto rispetto. Qui si cerca di capire quanti teatri siano esistiti nel capoluogo romagnolo. Molti dei quali purtroppo perduti, alcuni progettati e mai costruiti. Escludendo i cinema (scomparsi dal centro in brevissimo tempo), ci si dedicherà esclusivamente alle sale che, nel corso della storia forlivese, hanno dato sfogo al bisogno di prosa e opera dei concittadini. La vistosa lacuna di un teatro all'italiana, a ferro di cavallo e con palchetti, è ancora insanabile. Eppure in città si sono susseguiti numerosi luoghi di svago. Qui se ne citano alcuni, senza pretesa di completezza, escludendo le piazze e i giardini in cui, da secoli, sono sempre stati allestiti spettacoli o, come si direbbe adesso, “eventi” a guisa di prova che i forlivesi sapevano godersi le serate con spensieratezza ma anche con un certo buon gusto. Se qualcuno si fosse chiesto che cosa c'entra l'immagine col tema dell'articolo, sappia che si tratta di un olio di Cesare Martuzzi, poliedrico compositore cui è dedicata una sezione del Museo Romagnolo del Teatro in palazzo Gaddi. 

I teatri perduti
Il Teatro Comunale rappresenta una ricca parentesi della storia della città tra il 1776 e il 1944. Non era di grandi dimensioni (ha lasciato “l'impronta” sull'attuale piazza della Misura) e, all'esterno, aveva un volto anonimo. L'interno, però, era decorato da opere di Felice Giani e Pompeo Randi, tanto per citare qualche nome noto. Il pubblico, suddiviso tra platea, tre ordini di palchi e loggione, poteva assistere a melodrammi, spettacoli di prosa, comizi, ma anche ad esperimenti pre-cinematografici fin dal 1890. Danneggiato dall'ultima guerra, non fu mai più ricostruito, lasciando una lacuna dolorosa nell'ambiente culturale della città. Inaugurato con un'opera composta ad hoc, era particolarmente temuto dai cantanti per il loggione piuttosto esigente e, per così dire, mordace. 
L'Accademia dei Filodrammatici aveva una sua sala nel convento di San Domenico dal 1809. Il teatro, progettato da Luigi Mirri, ospitava più che altro commedie. Passata la tempesta napoleonica, nel 1817 il convento (ora sede dei Musei civici) tornò all'ordine dei Predicatori e la sala fu chiusa.
Altro caso è quello del Teatro Santarelli. Nel 1835 il celebre medico Giovanni Geremè Santarelli finanziò la costruzione di una sala con tre ordini di palchi e loggione accanto alla basilica di Santa Maria dei Servi (San Pellegrino). Ebbe fama per gli spettacoli carnascialeschi e marionettistici e la platea poteva essere allagata per giochi d'acqua. Il Teatro fu demolito nel 1870 per essere ricostruito nel 1905 rinominato Politeama Novelli o popolarmente Pestapevar. Ebbe vita breve: nel 1914 il Comune reclamò l'area per costruire l'attuale via Girolamo Mercuriali. Sicché fu abbattuto e oggi niente lo ricorda. Negli ultimi anni era stato sede di spettacoli circensi e fu anche un cinema.
L'area dello Sferisterio (oggi, ciò che resta, è ridotto a parcheggio), struttura del 1824, occasionalmente divenne Teatro Diurno aperto a compagnie di basso livello e particolarmente gradito ai ceti meno abbienti. Fu luogo anche per ascensioni di palloni aerostatici. 
Demolita anche l'Arena Fabbri, attiva tra il 1880 e il 1892 con galleria e palchi in legno per feste da ballo e rappresentazioni teatrali. Si trovava in Borgo Vittorio Emanuele (corso della Repubblica) e contava quasi duemila posti numerati. Vi si rappresentavano spettacoli di vario genere, dall'opera lirica alle commedie di Goldoni, nonché Zola e Ibsen. Sull'area fu poi costruita la fabbrica Becchi.
La storia della città ricorda anche un effimero Teatro Zanuccoli, esistente tra il 1875 e il 1879 nell'area dell'antica chiesa di Sant'Antonio dei Battuti Celestini, soppressa in epoca napoleonica. Era un teatro per spettacoli comici e musicali ma venne presto demolito per ripristinare lo spazio a chiesa, quella che oggi è dedicata a San Francesco ed è in corso Garibaldi. 
In via Giuditta Tavani Arquati esisteva il Teatro della Casa del Soldato, attivo soprattutto negli anni della Grande Guerra.
Sulla stessa strada c'era il Teatro Esperia, poi cinema (demolito nel 1997): aprì i battenti nel 1926 e aveva una platea con vasta galleria in cemento armato e due balconate laterali. Decorato da Mario Camporesi, recava una coppia di pavoni come motivo dominante e un prezioso lampadario in ferro battuto. L'allestimento originale fu cancellato dai restauri del 1954 mentre l'ultimo riadattamento che lo rese cinema da 750 posti reca la data del 1976. 
Tra il 1935 e il 1982 esisteva anche un'Arena Esperia da 300 posti ove, all'aperto, vennero eseguite anche opere liriche; era annessa all'omonimo Teatro. 
Il 1913, nei locali già adibiti a chiesa (Santa Febronia, corso Garibaldi), aprì i battenti la Bella Pescatorina (poi Cinema Popolare), sala da ballo su pianta ellittica. 
In piazza delle Erbe esisteva un Teatro delle Varietà, situato nel Foro Annonario e attivo dal 1886. Già prima, in questo spazio, si esibivano spettacoli con bestie feroci. Altro non era che un baraccone ligneo ornato da dipinti nell'atrio del “mercato coperto”, fu poi sostituito dal Pestapevar di piazza XX Settembre.
In piazza XX settembre, nel 1893, infatti, fu inaugurato il Padiglione del Pestapevar, sala con due ordini di palchi e due gallerie in legno. Tra feste da ballo, luce elettrica, operette e feste, fu un luogo particolarmente vivo, tanto che il palco scenico poteva abbassarsi fino ad ampliare la sala. In cartellone ospiti celebri, tra cui Fregoli e anche teatro “impegnato” (Amleto, Otello), balli e opera (Rigoletto). Ciò che restava della sala fu demolito nel 1939; ora al suo posto c'è un moderno palazzo sede, tra l'altro, di una banca. 
Non lontano esisteva un Teatro dell'Agrumaia, collocato lungo il corridoio superiore del chiostro di San Mercuriale. Iniziò la programmazione nel 1888 risultando particolarmente frequentato: si ricorda che il telone era decorato con un grande disegno della piazza Maggiore come doveva essere nel Medioevo. 
Il Teatro Romagna di via Episcopio Vecchio, nel 1956 conteneva quasi settecento posti per comizi e assemblee poi fu ridotto a Cinema Ciak abbandonato e crollato nel 2008. Ora rimane un inquietante “scheletro” a pochi metri da via Maroncelli. 

I “superstiti”
Nel 1893 fu inaugurato il Teatro San Luigi, ancora esistente non lontano da San Biagio. Fu proprio su questo palco che Diego Fabbri iniziò le sue esperienze teatrali. Fu anche chiamato Cinema Italia dal dopoguerra. Ristrutturato nel 1965 e chiuso nel 1979, oggi rivive come sala teatrale grazie alla presenza dei salesiani. 
Su ispirazione delle sale austriache, nel 1914 venne aperto il Kursaal. Con lo scoppio della guerra, per non suonare troppo “tedesco”, prese il nome di Teatro Apollo, così è chiamata tuttora la graziosa sala con due gallerie in via Mentana. Vi si tennero feste da ballo, concerti, spettacoli di varietà, operette e proiezioni cinematografiche. Con una capienza massima di 400 posti, fu poi “raddoppiato” con un'altra sala (ora non più esistente) negli anni '80. Il proprietario dell'Apollo, Leonida Vallicelli, nel 1918 aprì l'Arena forlivese, anfiteatro in via Giorgio Regnoli con ampio palcoscenico in muratura e vasta platea un tempo pavimentata con mattonelle esagonali. L'elegante spazio aperto, capace anche di 1200 posti, ospitò spettacoli lirici e “leggeri” fino a chiudere i cancelli negli anni Sessanta. Poi è stato riaperto in sporadiche occasioni. 
Esiste ancora quello che era il Teatro Mazzini (sala con balconata sopra il vecchio Cinema Mazzini di corso della Repubblica) già spazio dei magazzini oleari e granari dello Stato Pontificio: assunse l'aspetto attuale grazie al progetto di Emilio Rosetti. Luogo legato agli “Amici dell'Arte”, fu sede di spettacoli lirici, vocali e strumentali dagli anni successivi alla fine della Grande Guerra. Negli ultimi tempi è stato utilizzato dall'Università.
L'ingegnere Cesare Valle disegnò il Teatro Casa del Balilla, platea con galleria del 1936 nell'ex palazzo Gil di viale della Libertà. Il cinema teatro, aperto fino a dieci anni fa col nome Odeon e in attesa di una sua riutilizzazione dopo il restauro che ha interessato tutto il complesso, è capace di 800 posti e una platea di circa 30 metri quadrati.
Nel Dopoguerra fu usato il Salone Municipale, altrimenti detto Auditorium Comunale, dove furono collocate le stesse poltrone azzurre del Teatro Comunale andato distrutto. La sala svolse quindi la funzione di teatro provvisorio; anticamente pare che avesse avuto le stesse funzioni. 
In corso Diaz, in luogo del palazzo Brandolini Dall'Aste distrutto da un bombardamento, si ergeva la discutibile facciata giallina del Teatro Astra inaugurato nel 1947, sede di concerti e spettacoli di vario genere. Divenuto di proprietà comunale, prese il nome di Diego Fabbri, completamente ricostruito nel 2000 secondo le forme attuali: con i suoi 550 posti in platea e i 160 in galleria, è attualmente il teatro più importante della città.

Altri spazi, altri tempi
I cortili e gli spazi di numerosi palazzi, tra cui quello Pasquali (in via Caterina Sforza), quello Merlini (in via Maroncelli), quello Guarini Benzi (via dei Mille), Paulucci di Calboli Barone (via Maroncelli), Orsi Mangelli (corso Diaz), Piazza Paulucci (l'attuale Prefettura), Gaddi (corso Garibaldi), Albertini (piazza Saffi), Albicini (corso Garibaldi), Manzoni (corso Garibaldi), furono sede di filodrammatiche e di spettacoli teatrali di vario genere. Lo stesso avvenne per numerose sale parrocchiali e avviene anche in tempi recenti.
Sant'Antonio Vecchio (in corso Diaz) divenne teatro col nome bizzarro de La Gran Bretagna. Fu specialmente sala da ballo nella seconda metà dell'Ottocento. 
Bastava un semplice palco con sedie per allestire uno spettacolo lirico nell'Arena del Palazzo delle Esposizioni, collocato nell'area retrostante del già collegio aeronautico Bruno Mussolini. La platea, attiva specialmente negli anni '50, poteva contenere più di tremila spettatori. 
Più vicine nel tempo sono le numerose “sale polivalenti” o spazi come la Fabbrica delle Candele che recentemente hanno rilanciato attività giovanili e professionali che si spera abbiano continuità come è capitato al Teatro dell'Arca – Testori (dal 1977) e Il Piccolo (dal 1981). Tuttavia si tratta di strutture prive della “grazia” e degli abbellimenti decorativi tipici del tardo Ottocento. Il Palafiera (inaugurato nel 1987) è stato sede di eventi diversi da quelli sportivi, con l'auspicio che questi aumentino, come accade nelle città vicine. Non è passata inosservata la riapertura dell'antica chiesa di San Giacomo, spogliata da Napoleone e dallo Stato unitario, parzialmente rovinata dall'incuria, resa ai forlivesi dopo un importante restauro solo nel 2015 come sala per concerti e iniziative di vario genere. Non pochi, poi, sono i progetti per teatri mai costruiti, già dagli anni Dieci in cui si auspicava un Politeama, alle grandi opere previste dal Ventennio e poi arrestate dalla Guerra. Così, della vasta sala in piazza Saffi, o del grande auditorium nei giardini pubblici, non se n'è fatto nulla. E purtroppo la ricostruzione “com'era dov'era” del Teatro Comunale settecentesco è rimasta lettera morta. 

Si parla di

IL FORO DI LIVIO - Si apre il sipario sui teatri perduti

ForlìToday è in caricamento