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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Una visita agli antichi ospedali

Fino a tempi recenti, a Forlì c'erano due ospedali pubblici. Qualche secolo fa, esistevano strutture sanitarie diffuse in modo capillare nei pressi di quasi tutte le chiese cittadine e periferiche. Che tipo di ospedali erano?

Credo che chi legge questa rubrica ricordi che a Forlì, fino ad almeno il 2004, esistevano due ospedali pubblici. Uno, centrale, il “Morgagni” con i suoi padiglioni cresciuti e costruiti fino a cinquant'anni fa e poi, i più recenti, abbattuti per fare spazio al Campus universitario. Era l'ultima testimonianza di una tradizione sanitaria che aveva individuato la sede, almeno fin dal Settecento, dell'antico ospedale Casa di Dio presso il cosiddetto Palazzo del Merenda in Borgo Cotogni e qui, ancor prima, aveva raccolto le competenze e la buona volontà degli antichi Battuti. Poco al di fuori del suddetto Palazzo, ai primi del Novecento fu iniziata la costruzione dell'ospedale che, con una lunga gestazione, sarà prima dedicato a Saffi e poi, appunto, a Morgagni. L'altro, il già Sanatorio inaugurato nel 1937 nei pressi di Vecchiazzano come struttura per contrastare la tubercolosi, poi fu chiamato "Pierantoni" e adesso è l'ospedale "Morgagni - Pierantoni" perché si è scelta la reductio ad unumIn città, i cartelli stradali ricordavano questa duplice “ospitalità”. Da decenni esistono note strutture sanitarie private: c'è sempre bisogno di stare bene. I tempi cambiano in fretta, le Unità sanitarie si fondono ma il mondo della salute forlivese ha salde e profonde radici che hanno una dignità di tutto rispetto e una tradizione che meriterebbe - chissà - un corso di laurea all'ombra del campanile di San Pellegrino.

Già si ha un patrono taumaturgo contro i tumori, il Laziosi ghibellino convertito che ancora oggi si festeggia il primo maggio tra banchette accese di giallo e cariche di cedri. Altri religiosi forlivesi hanno avuto un simile carisma. E poi si ha una gran copia di dottori che hanno scritto la storia della medicina. Salta subito in mente Giovanni Battista Morgagni, il "principe anatomico", ma occorre rammentare almeno anche Giacomo della Torre (notissimo in quel di Padova), Girolamo Mercuriali (l'inventore, se così si può dire, della medicina sportiva) e Francesco Padovani. Inoltre, Maurizio Bufalini, di casa a Forlì, fu aggregato alla nobilità liviense ed ebbe incarichi municipali. In tempi recenti si ricorda la feconda attività di Sante Solieri. I più ricordano le ambulanze della Dam Una Man sbucare fuori con sirene lagnose dagli angusti spazi di piazza XC Pacifici e il Pronto Soccorso in via San Pellegrino Laziosi: non sono passati tantissimi anni, bisogna essere stati nel ventesimo secolo. 

Forse non tutti sanno che anticamente c'erano molti più ospedali. Si è già parlato di quelli dei Battuti e della Casa di Dio in Borgo Cotogni. Ma la Forlì medievale era caratteristica proprio per l'alto numero di strutture dedicate alla cura della salute delle persone e all'accoglienza dei più svantaggiati. Destinati a pellegrini e infermi, gli ospedali nascevano sotto una chiara impronta cristiana. Infatti, va ricordato che la città era una tappa per i pellegrini diretti a Roma e quindi sottoposta a un passaggio di genti che poteva avere bisogno di cure. Così è frequente trovarne associati a chiese: si annoverano quelli di Santa Croce, di San Mercuriale, di San Bernardo, di Santa Maria Maggiore (Ravaldino), di Santa Maria in Schiavonia, delle Suore di Santa Maria “de Fundo Plegadici”, di Santa Maria della Ripa, di San Giovanni Evangelista (anche questo era in rione Ravaldino), di Santa Maria in Valverde (idem), dei Santi Sebastiano e Pietro

Fuori dalle mura, si citano, presso gli odierni Cappuccinini, l'ospedale di San Giovanni in Vico o di Gerusalemme e, sempre fuori porta Cotogni, l'ospedale di Sant'Ellero. Nell'omonima frazione c'era quello di San Martino in Strada.
Oltre la Porta Liviense (prima chiusa poi scomparsa, esisteva tra viale Salinatore e via Battuti Verdi), c'era l'ospedale di San Varano. Risalirebbe al 1454 la prima documentazione dell'ospedale di Santa Caterina oltre porta Schiavonia, quello di Bonzanino poco prima di Cosina, quello di San Cristoforo in Villagrappa, di San Lazzaro (ora lo ricorda una traversa di viale Bologna presso Villanova). Non mancava un ospedale a Villafranca.
Oltre Porta San Pietro c'era l'ospedale dei Santi Vito e Modesto (a Santa Maria del Fiore), quello di San Colombano (detto comunemente Ospedaletto, come l'omonimo quartiere) e l'Hospitale de Sans. In secoli molto più vicini si ricorda un Ospedale Invalidi fondato nel 1808 dal Conte Domenico Matteucci in rione San Pietro. 

L'ospedale forlivese del medioevo era, come detto, molto diverso da come ci si aspetterebbe: la sala principale ospitava una decina di letti con coperte e guanciali di penna, oltre e separato da essa il vano destinato ai moribondi. L'ingresso alla sala principale era generalmente un atrio arredato con qualche seggiolino, una cassapanca e poco più. Una porta conduceva alla sala dei malati, un'altra alla "portineria" dove alloggiava il custode (l'ospitalario). Non mancano le stanze "nobili" dedicate al priore e ai medici, le cantine, la cucina, uno studiolo, il granaio e il ripostiglio. Niente servizi, cioè niente bagni: a quei tempi le cose andavano così. 
Girava di ospedale in ospedale una piccola pattuglia di medici (tre o quattro in tutto) di due tipi: “fisici” e “cerusici”, questi ultimi erano propriamente chirurgi.

Chi se lo poteva permettere si faceva curare in casa. L'ospedale o lazzaretto (per chi legge Manzoni), in buona sostanza, era un luogo per derelitti oppure veniva utilizzato per la quarantena in occasioni di pestilenze. C'era l'abitudine, tra l'altro, che chi vi morisse lasciasse i suoi averi (che evidentamente non dovevano essere cospicui) alla confraternita, all'istituzione o all'ordine da cui aveva ricevuto le cure. Molto spesso, dunque, era l'ultima spiaggia per chi proprio non aveva nessun altro tipo di assistenza. 

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