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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Il Giappone? Troppo caro!

Lo sfogo e le richieste del marchese Raniero Paulucci di Calboli, ambasciatore italiano nel Paese del Sol Levante nel 1920

Discendente dell’antica famiglia forlivese, il marchese Raniero Paulucci di Calboli fu un politico e diplomatico: pur avendo girato il mondo e vissuto, se in Italia, prevalentemente a Roma, era molto legato a Forlì cui lasciò l’importante gruppo di sculture di Adolfo Wildt. Padre di Fulcieri, dopo la morte di quest’ultimo fu trasferito come ambasciatore italiano da Berna alla capitale giapponese. Aveva fatto in tempo a leggere un articolo sulla Gazzetta del Popolo del 30 novembre 1919 che salutava il Giappone come “terza Potenza mondiale”, ovvero una “strapotenza gigantesca, balzata dalla guerra”. Quindi partì, un po’ di fretta, un po’ perplesso. Ebbe le sue soddisfazioni, come quando accolse l’avventura del “raid aereo Roma-Tokio” nella primavera del 1920. Tuttavia, il 9 agosto di quell’anno scriverà al ministro Carlo Sforza una lettera dai toni poco diplomatici: era un elenco di spese sostenute da lui e famiglia per l’arrivo e la permanenza in quel luogo tanto lontano. Ora, si pensi che una lira del 1920 corrispondeva a un euro di oggi (1,12 euro, per la precisione) sicché le cifre che seguono possano essere convertite, giusto per rendere ragione allo sfogo del marchese ambasciatore e scoprire un carovita inimmaginabile. 

Riportò quindi “la nota delle spese del viaggio da Berna a Tokio, da me sostenute nell’interesse mio e della mia famiglia quando dovetti, sul finire dell’anno scorso, lasciare la Svizzera per recarmi al mio nuovo posto di Ambasciatore di Sua Maestà in Giappone”. Lamenta che la vita agiata del diplomatico è profondamente mutata: “La guerra, prima, e l’armistizio, poi, hanno fatto sentire la loro influenza anche su questo campo. La progressione, in un solo settennio, fu invero spaventosa”. Il confronto con i costi sostenuti dai predecessori sono impietosi, rivela che “i soli due biglietti di viaggio da Trieste a Yokohama per me e mia moglie, costarono, secondo la nuova tariffa, duecentodieci sterline, ossia 16.800 lire”. Troppo: “trattandosi di un piroscafo requisito dal R. Governo, una tariffa di favore si sarebbe imposta per l’Ambasciatore di S.M. e la sua famiglia”. Dovette sborsare di tasca sua per il lungo viaggio sulla nave “Africa”, per lui, sua moglie la marchesa Virginia, sua figlia Camilla e genero Giacomo che, più avanti, divenne a sua volta ambasciatore in Giappone anch’egli. “La Direzione del Lloyd di Trieste mi aveva anzi scritto aver io diritto al viaggio gratuito: ma quando mi imbarcai, trovai altre disposizioni e mi convenne naturalmente pagare come qualsiasi altro passeggere”. 

Sono curiose (e care) altre noterelle che si ricavano nel medesimo documento conservato nel Fondo Paulucci di Calboli presso l’Archivio di Stato, come la “piccola spesa di 544 lire di bevande (vino ed acqua minerale) a bordo, per me e la Marchesa, durante i 52 giorni di viaggio”. Sono citati dunque i prezzi “che si fanno pagare a bordo d’un piroscafo italiano per i vini Italiani”: cioè “40 lire di nostra moneta per un fiasco di Chianti”. E nelle 544 lire “sono pure comprese poche bottiglie di Asti a 52 lire!” che “dovetti offrire al gruppo di giornalisti giapponesi venuti a bordo a salutarmi prima che io sbarcassi a Yokohama”. A bordo avrebbe inoltre offerto “la somma di 600 lire elargite per mance, di cui 500 al personale in masse e cento alle tre persone più particolarmente addette al servizio mio e dell’Ambasciatrice”.

“Preparato, dopo l’esperienza di questi ultimi anni, alle cifre più stupefacenti, confesso di non aver creduto ai miei occhi quando mi fu presentata a bordo la nota di 24.949 lire e 75 centesimi pel solo mio bagaglio, di mia moglie, di mia figlia e di mio genero”. Eppure “prima di lasciar l’Europa avevo chiesto e fatto chiedere ai miei predecessori che cosa mi si consigliava di portar meco preferibilmente in Giappone”. Gli fu raccomandato “di portar tutto, eccezion fatta dei commestibili, per non aver poi pentimenti tardivi”. In seguito ammette: “A differenza di quel che avrei fatto se un vento più propizio mi avesse spinto a Londra, a Parigi, a Berlino o a Bruxelles, venni a Tokio provvisto abbondantemente di tutto. La biancheria personale, gli abiti, la biancheria di casa, i libri (qui non esistono biblioteche europee), le carte, le cristallerie, il vasellame da cucina, le argenterie, i bronzi da tavola ecc. compongono la grossa spedizione. La cifra del mio bagaglio può parere eccessiva a chi non ha avuto delle lunghe missioni lontane. I miei colleghi qui, e parlo di quelli scapoli, sono venuti pure a Tokio con più di cento casse e bauli”.
Questo non fu certo eccesso di zelo, se è vero che “dovendo fare il primo giorno del mio arrivo, una visita ufficiale e non trovando il cilindro, mi si osservò che non mancava quel genere di cappelli, ma che li avrei pagati da 450 a 600 lire l’uno”. Non manca di far sapere “l’idea dei prezzi di questo ambiente”, dove “un abito semplice costa non meno di 1300 lire, una camicia 180 lire”. È un “posto ingrato” il Giappone, qui “le sigarette Melachrino costano 140 lire il cento, una bottiglia di Wisky 100 lire, ed un quartuccio di Chianti 35”. 

Si sofferma poi sui “rialzi esagerati nei prezzi ferroviari e per l’automobile”. Dove l’automobile è anche “macchina” ed è di genere maschile. Qui, una “Itala 12-16HP vale 144.000 lire” mentre una più semplice “Temperino da otto cavalli, 30.000”. “Non avrei potuto fare a meno di una macchina a Tokio” dove ricorda che tutti i suoi colleghi “ne sono provvisti dai Governi rispettivi” mentre “tariffe d’affitto” di un’auto da quelle parti “sono fra le più esagerate ch’io mi conosca”. Così si fece arrivare dall’Italia la sua “Spa”, che era “sbarcata da qualche giorno a Kobe”. 
“Qui non ci si può muovere di casa senza questo mezzo di locomozione. Vi ha è vero il Kuruma ma solo per le piccole distanze ed una rigida etichetta poi ne vieta l’uso agli ambasciatori”. Inoltre, “tutti sanno non esistere qui né il comodo metro di Parigi né il rapidissimo Tube di Londra né i taxis delle nostre grandi e piccole città. Aggiungi che lo stato deplorevole della viabilità non permette poi neppure il gusto di una passeggiata a piedi”. 

I toni si fanno sempre più accesi: per i suoi predecessori “i servizi ferroviari e marittimi, benché si fosse in tempo di guerra, non erano ancora in mano ai ladri” e “i bagagli, principalmente quelli d’un ambasciatore, erano rispettati”. Invece, “partendo da Berna, nel dicembre scorso, mi rifiutai, benché annusassi il vento infido, ad assicurare, non ostante l’insistenza dei miei, le casse ed i bauli che dalla Svizzera dovevano essere inviati a Trieste per l’imbarco”. Del resto, “la Ditta speditrice” aveva giurato che “i vagoni sarebbero stati piombati” senza contare che “il prezzo di 13 e più mila lire mi spaventava”. Capitò però il fattaccio: “Durante il viaggio i vagoni furono aperti nella stazione di Arona e quattro casse asportate da ladri”, ciò avrebbe prodotto “un danno di varie migliaia di lire”. Inoltre, “allo sbarco di Yokohama, ben trentun casse furono trovate manomesse ed una sostituita” con “danni per più di quarantamila lire”. 

Una cifra elevata, perché gli furono sottratte suppellettili preziose, “arredamento” che concorre alla “rinomanza del Paese”: “Se fossi venuto in Giappone a stabilirmivi per qualche tempo come semplice privato non avrei trasportato né quei bronzi né quelle argenterie”. 
Per finire il suo resoconto lungo una decina di pagine, auspica che il Regio Ministero eliminerà “quei criteri di illogica uniformità burocratica” che rendono “questa residenza di Tokio non più un premio ma una punizione”. Non dimentica di lamentare la “mancanza di un medico addetto alla R. Ambasciata”, pertanto “per una semplice visita di qualsiasi mediocre dottore, si chiede anche 300 lire”. Situazione “ben differente da quella degli altri nostri colleghi in Europa e in America”. “Non si può avere da una farmacia un rimedio, anche il più innocuo e comune, senza la ricetta firmata da un medico locale, vale a dire senza una sua visita”. 

Raniero Paulucci di Calboli che dopo la permanenza di un anno in Giappone diverrà ambasciatore in Spagna e poi senatore, conclude il lungo e dettagliato memoriale con altre rimostranze: “È forse mia la colpa se il mio viaggio da Roma a Tokio, invece di soli quindici giorni, come era una volta con la transiberiana o di meno di un mese, attraverso l’America, dura oggi otto settimane? Perché devo io sopportarne il danno materiale che da questo ritardo a me deriva? Ed è forse pur mia la colpa se partito precipitosamente da Berna per lasciare il posto all’impaziente mio successore, dovetti restare tanti mesi senza assegno non avendo potuto trovare che dopo molte settimane un posto sul piroscafo per il Giappone?”. 

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