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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Il giorno di San Mercuriale

Il 26 ottobre si è celebrata la solennità del primo Vescovo di Forlì. Ma talora la festa è indicata al 30 aprile. Ecco perché.

Nei primi anni del Cinquecento, l'abside romanica dell'abbazia di San Mercuriale crollò. In essa vi erano le reliquie dell'omonimo santo, primo Vescovo di Forlì. I malumori tra clero diocesano e monaci dell'abbazia si acuirono: chi avrebbe pagato i danni? I continui litigi fecero sì che le reliquie del Santo dovessero essere incastonate, murate, in modo che non potessero essere estratte. Settant'anni più tardi, i resti furono ritrovati e collocati alla base dell'altare maggiore, senza una particolare evidenza.

Papa Gregorio XIII, però, concesse un'indulgenza quotidiana di cinquanta giorni a chi si fosse recato a visitare le reliquie del Santo. Per il giorno della traslazione di allora (16 agosto) in quel 1578, i forlivesi poterono lucrare l'indulgenza plenaria, e lo fecero in massa. Inizia così la parte recente della storia di una tradizione un po' in secondo piano ma decisamente importante nella storia della città: San Mercuriale, la sua festa, la sua ricorrenza. A lui Forlì attribuisce le proprie origini cristiane all'inizio del Quinto secolo (o forse ancor prima). Si tratta - e recenti ricognizioni scientifiche lo dimostrano - di un uomo di origini armene vissuto in età tardoantica, considerato dalla tradizione della Chiesa forlivese il "protovescovo", cioè il primo vescovo. Chi è curioso avrà notato che talora la solennità di San Mercuriale è segnata al 30 aprile, mentre la data che oggi risulta ufficiale è il 26 ottobre. Per quale motivo? 

Il culto di San Mercuriale è testimoniato fin dal Nono secolo, con annesse storie suggestive come la liberazione di Forlì da un orrido dragone e dei forlivesi deportati in Spagna da un tiranno barbaro. Tuttavia non è mai stato considerato un patrono principale, rimanendo - con discrezione - sempre un passo indietro.  Un passo indietro rispetto a San Valeriano, campione del clero con sede nella Cattedrale, oggi declassato (se interessa, si vedrà un'altra volta perché). Un passo indietro alla Regina incontrastata della città: la Madonna del Fuoco. Un passo indietro a San Pellegrino, ricordato e venerato più altrove che in patria (nemo propheta...). Ufficialmente, pertanto, oggi è considerato "patrono secondario della Diocesi". Occorre però dire che da qualche anno si tenta una riscoperta della tradizione legata a questo santo antico. Così, pure nei giorni scorsi, alla vigilia del 26 ottobre, è stata trasportata in Cattedrale la reliquia della Testa accolta nella chiesa della Trinità. In Cattedrale, eccezionalmente, perché ora l'antica abbazia è chiusa per lavori. In tale occasione, il Vescovo ha consegnato alle autorità il suo "messaggio alla città", pronunciato pubblicamente in coda ai primi vespri della solennità. 

Ora, si veda con gli occhi del cronista Sigismondo Marchesi ciò che accadde nel 1603. Era il 26 ottobre, non a caso. Egli scrive di una "Traslatione che si fece la Domenica doppo Vespro" delle ossa del "Glorioso Protettore S. Mercuriale primo di nome, e d'ordine trà Vescovi di Forlì dall'Altar Maggiore della sua Chiesa". Le reliquie furono, infatti, collocate "nella contigua Capella con mirabile sontuosità dal tanto nominato Girolamo Mercuriali". Si fa menzione del grande medico che sarebbe morto tre anni più tardi: nel frattempo egli aveva fatto erigere la sua tomba, quella che ancora oggi è ammirabile come "cappella Mercuriali". Così "s'inviò da S. Mercuriale la processione di tutto il Clero, venendo da quattro Abbati levate le SS. Reliquie, che le portarono sotto il baldacchino sostenuto dal Magistrato". Il corteo religioso si fermò "alli gradini del Cimitero" (era presente un camposanto accanto all'Abbazia). Qui, tanto per cambiare, "era nata contesa fra il Clero, e Monaci Vallombrosani". La tensione scemò ben presto "cedendo i Monaci al Clero il Santo Corpo".

La processione quindi si diresse, percorrendo "la strada de' Cavalieri" (cioè via delle Torri) fino alla chiesa della Trinità "già dal medesimo Santo costrutta" e "dove fù già lasciata la di lui benedetta Testa". Da lì, per l'occasione, "per la strada Flaminia detta dal volgo Borgo di Schiavonia fecero ritorno alla piazza" sicché la Testa fosse trasportata "nella predetta Badia" (cioè a San Mercuriale) con baldacchino tenuto da Magistrato e Consiglieri, "prima li Graduati, e poi gli altri". Presso l'abbazia di San Mercuriale, "ripigliarono novamente quel sacro pegno li Monaci, portandolo alla detta Capella". I resti del Corpo erano adagiati "in una cassetta di piombo" e vennero lasciati "tutto quel giorno sopra l'Altare all'adoratione di tutto il popolo, che senza numero vi concorreva". Durante la notte, "sotto l'Altare medesimo la racchiusero per via della Sagristia, e murarono per modo quel luogo, che mai più senza grande difficultà possono venirne rimosse". Pare che in seguito a questa traslazione, la festa di San Mercuriale, fissata tradizionalmente al 30 aprile, sia migrata al 26 ottobre. Se si vuole una città viva, è bene riprendere in mano queste antiche consuetudini o, per lo meno, un ripassino di storia fa bene a tutti. 

Non si sa se il 30 aprile, la data più risalente, ricordi, come per la maggior parte dei santi, il "dies natalis" di Mercuriale, cioè il giorno della sua morte. Pare verosimile considerare anche questa una data relativa a una traslazione. In effetti, la salma del Santo, inizialmente, venne sepolta nella pieve di Santo Stefano (dov'è ora l'Abbazia di San Mercuriale) ma in luogo volutamente nascosto, occulto, per evitare la profanazione della tomba, cosa che allora, in quel 450, era orrida prassi. Già, perché il Vescovo, uomo di carità e di ferma dottrina, aveva anche i suoi oppositori: gli eretici, in particolare gli ariani. Cosa poco nota in tal proposito è che alcune fonti asseriscono che fu proprio Mercuriale a dare il nome a Cattolica, località tra Rimini e Pesaro dove, perseguitato, si era rifugiato e che volle rinominare ricordando la sua Chiesa. Altre informazioni, però, sono così confuse (siamo lontani nel tempo...) che sembra di poter dire di avere a che fare con più "Mercuriali", o con una serie di pionieri episcopali dall'unico nome, il cui merito fu di aver fondato e cementato una comunità resistendo alla babilonia della barbarie di quel tempo e, pietra su pietra, ricostruendo il Forum Livi guardando alla Civitas Dei. 

Il 30 aprile, certo, era più suggestivo: un po' per la stagione migliore, un po' perché la piazza diventava ogni anno sede di un palio che ai contemporanei pare cosa superata pertanto non riproposto. Altrove avrebbero prolungato tale tradizione - il palio - fino ai giorni nostri ma ai forlivesi, più inclini ad amare le altre città più che la propria, questo genere di cose non sono mai interessate più di tanto, dall'età moderna in avanti. Inoltre, il 30 aprile offerto al Protovescovo, almeno dal Settecento, iniziava a "cozzare" con un'altra festa cara ai forlivesi, quella del 1° maggio, dedicata a San Pellegrino Laziosi. Anche per tale motivo pastorale venne preferito l'autunno alla primavera. Se si reputa San Mercuriale una figura fuori da questo secolo, un'inutile anticaglia, basti ricordare le parole di Cesare Albicini che nel 1878 lo definiva "il prototipo di quel po' di civiltà che salvò la società di quel tempo". Cioè il tempo dell'età tardoantica che tanto somiglia alla nostra età tardomoderna. 

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