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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il secondo che si fece primo

La storia di Pino II Ordelaffi: il cadetto ambizioso e godereccio che divenne signore di Forlì

Nel novembre del 1386 moriva in prigione Sinibaldo Ordelaffi: vinse il secondo che si fece primo. Con parole simili chi ama la sintesi potrebbe riassumere la vicenda antica di Pino II Ordelaffi. Nella serie familiare degli omonimi, ora questo Pino è meno noto del terzo e meno oscuro del primo. Chi era, dunque, costui? Il cronista Leone Cobelli, con la lingua del tempo, ne scrisse: “Se fe’ signore lui”. E non fu esperienza effimera, giacché alla sua morte, il 16 luglio 1402, “avea signorizato circa anni 18”. Non era certo il primo in linea di successione nella potente famiglia degli Ordelaffi: in quel momento toccava a Sinibaldo reggere Forlì, e ne era un signore tutto sommato giusto e ben voluto. Era figlio del grande Francesco II, come tale era il padre di Pino, Giovanni che ebbe a sposarsi con Taddea Malatesta.

La coppia aveva dato alla luce due figli maschi: Cecco e Pino, una combinazione di nomi che due generazioni più avanti si ripeterà con esito simile. Cecco, il primogenito, appariva come un omone irascibile, amante del vino, belloccio e di barba rada ma quasi del tutto cieco. Aveva vista corta pure il fratello Pino, spesso paonazzo in volto, allegro, pingue (buongustaio), aitante e godereccio. Nel gennaio del 1385 aveva sposato una giovane marchigiana: Venanzia Brancaleoni di Casteldurante. Una donna raffinata, alta e bella ma – così malignano i cronisti del tempo - avrebbe istigato il marito a impadronirsi del potere. Potere che, come detto, in quel momento era impersonato dallo zio Sinibaldo. Così iniziarono gli intrighi che portarono al colpo di Stato la cui regia fu tutta del secondogenito. Cecco non era certo un imbelle, anzi, però “non s’empaciava di niente”, amava più che altro il quieto vivere e la caccia; Pino invece aveva una gran smania di potere e ciò divenne palese quando coinvolse il fratello in una trama torbida e vincente. Dimostrò nei fatti di non essere secondo a nessuno. 

Sinibaldo aveva trascorso la giornata tra le voluttà nei pressi di Campostrino nella sua villa detta Primavera (da cui l’omonima via), quando Pino (per primo) e Cecco, nottetempo vi entrarono come ladri. Era il 13 dicembre 1385. I due fratelli costrinsero lo zio a cedere i contrassegni dei castelli degli Ordelaffi. Nella stessa notte, spogliatolo delle vestigia del dominio, lo condussero nella vicina rocca di Ravaldino e lo imprigionarono. Qui, il signore spodestato morrà meno di un anno dopo, forse avvelenato. Per suggellare chi sarebbe stato il signore della città era uso “correre la piazza”, cioè fare tre giri a cavallo annunciando il nome del nuovo potente in mezzo alla folla. Questo significava, davanti ai cittadini, una sorta d’incoronazione: non fu diarchia, però, il nome gridato era quello di Pino. 

Papa Bonifacio IX lo confermò quale suo vicario (cioè signore) per uno Stato che comprendeva, oltre Forlì, pure Forlimpopoli, Castrocaro, Sarsina e Oriolo. A prova di questa sintonia faceva fede la nomina di suo zio Scarpetta Ordelaffi (di anni 25) a vescovo di Forlì. Come si suol dire, fece anche cose buone: per esempio si segnala un’azione particolarmente efficace contro “una gran compagnia de gente d’armi” che “multo danizava lo paese”. Come finì lo scontro con questi briganti, noti come “la compagnia della rosa”? Furono “sfracassati dai forlovesi” e tale impresa divenne memorabile in tutta Italia o quasi. Vero è che di tanto in tanto emergeva una spina nel fianco: Giovanni Ordelaffi. Uomo d’arme noto e invidiato, era rimasto l’unico degli Ordelaffi che si opponeva agli usurpatori. Il grande condottiero, altro omone spregiudicato e altero, non poté nulla contro il cugino che si era fatto signore. Che Pino o chi per lui fosse pratico di veleni sembra chiaro, dal momento che pure Giovanni, valente capitano di ventura, negli ultimi giorni del 1399 vide passare i suoi ultimi giorni. 

Pino, pur reggendo Forlì e i castelli vicini, rimase un grande uomo d’arme e lo si trova impegnato a favore dei bolognesi contro i Manfredi di Faenza per il controllo di Solarolo. Infine, il 19 luglio 1402 ebbe un colpo apoplettico e morì nel suo letto: il suo funerale si celebrò in Sant’Agostino e fu sepolto in San Francesco Grande. Due chiese scomparse, come è scomparsa nei forlivesi la memoria di questo concittadino antico. 

Alla sua morte, il vescovo Scarpetta Ordelaffi sgomitò per diventare signore, credeva che Cecco “non fosse sofficiente al regimento de Forlivio”, non lo reputava “cauto” nè “malicioso”. I ghibellini vedevano col fumo negli occhi questa cosa, significava un totale assoggettamento al Papa, a Roma: non sia mai! Nemmeno la vedova di Pino, madonna Venanzia, pare avesse molta stima nei confronti del cognato. Finché valenti uomini d’arme vollero svegliare dal torpore Cecco, il fratello ipovedente e disinteressato al potere. Si riportano le loro suppliche come scritte dal Cobelli: “O Cecco Hordelaffo, che stai a fare? Nui deliberamo tu sie signori e non el vescovo. Nui non volemo signoria de prieti, perché non sta beni a’ prieti essere signori”. E ancora: “Viva viva Cecco Hordelaffo, e mora la parte guelfa, e ‘l vescovo Scarpetta”. Inutile aggiungere che Scarpetta venne prelevato, imprigionato a Ravaldino e condotto cadavere in Cattedrale nel giorno di Ognissanti del 1402. Episodio raccapricciante, giudicato come “gran disonestà da tutti i romagnoli”. Cecco (anch'egli II, o, come Francesco, III) bene o male sarà signore ma morrà assassinato nel 1405. Aveva cinquantasei anni e non ebbe modo di conoscere il suo nipotino: Pino III, l’ultimo grande e forse il migliore degli Ordelaffi. 

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