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Venerdì, 19 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il terzo uomo della Tigre

Giovanni “il Popolano” de’ Medici: chi era l’ultimo marito di Caterina Sforza e l’unico a non essere ammazzato?

L’ultimo marito di Caterina Sforza era un Medici, Giovanni, appartenente al ramo cadetto conosciuto come “Popolano”. Un personaggio noto al tempo per la sua cultura e per il suo bell’aspetto, giunto a Forlì nel 1496 durante una campagna militare. Il lutto per l’amatissimo Giacomo Feo, assassinato nell’estate precedente, fu tutto sommato breve: la coppia si sposò in segreto. Le cronache del tempo non ne parlano moltissimo un po’ perché si tratta, almeno da queste parti, di una meteora medicea. E poi emerge chiaramente lo scarso gradimento di Caterina Sforza nei confronti del chiacchiericcio. Molti forlivesi si erano accorti di un particolare di cui però, almeno in pubblico, non osavano parlare: perché quell’ambasciatore fiorentino se ne stava sempre nella Rocca di Ravaldino? In cosa consisteva questa lunga ambasciata? E quel bambino partorito dalla Tigre, chiamato Ludovico, di chi era figlio? Insomma, il popolo aveva imparato a starsene zitto, mal colse, infatti, a chi aveva osato esplicitare illazioni sulla paternità di un altro figlio, Bernardino. Si narra di gente impiccata perché in giro avrebbe mormorato che il padre fosse Giacomo Feo (infatti era così). “Catarnòn”, come detto, non apprezzava il pettegolezzo da parrucchiere. 

La singolare e lunga ambasciata malcelava un segreto di Pulcinella: in realtà Caterina e Giovanni erano moglie e marito avvinti in un legame segreto e vien da pensare con amore sincero. Così a Forlì tutti immaginavano tacendo perché la Signora “non volea che si savesse, né che si dicesse”, come scrive Cobelli. Il “magnifico Zohanni de’ Medici l’avea isposada” ma la notizia non veniva divulgata “per amore del governo de Forlivio”. Forse perché molti speravano che il prossimo sposo fosse Antonio Maria Ordelaffi, corteggiatore più volte respinto, per coniugare l’antico col moderno nell’esaltazione della forlivesità. Novacula conferma: “Tale sposalicio era secrete, che per al popule niente se sapea”. Le voci però circolavano e il giurista Giovanni dalle Selle fu mandato a Milano a persuadere Ludovico il Moro che i rapporti tra la Sforza e il Popolano erano “innocui”. Correvano, tra l’altro, anni di nervi tesi con Venezia che pericolosamente si lanciava in scorribande nel territorio forlivese. 

I cronisti coevi insistono col dire che Giovanni abitava nella Rocca di Ravaldino, per speziare un po’ la questione aggiungono che la Tigre fece fare “una camora nobile et dipinta bella in rocca apreso a la sua camora”. Lì, “logiava el magnifico Zohanni”. Si tratta del “Paradiso”, la residenza privata della Contessa all’interno delle austere mura della Rocca, definita splendida e ricchissima da chi riuscì a vederla sebbene ben presto sia andata perduta. Tale palazzotto, costruito sugli antichi avanzi di una parte ormai obsoleta della Rocca, sarebbe sorto nel 1496 e pare che Melozzo abbia curato le decorazioni con l’arte dei suoi affreschi. Ma che dire, la cronaca afferma che già Cesare Borgia non poté scorgerne che ruderi tra le rovine causate dal suo stesso assedio. Camere comunicanti, decorazioni sparite, fatto sta che alla due volte vedova Caterina un figlio sarebbe nato: Ludovico, appunto. 

Giovanni era figlio secondogenito di Pierfrancesco de’ Medici e Laudomia Acciaioli, nato a Firenze il 21 ottobre del 1467. Dalla morte del padre (era un bambino) acquisì proprietà e ricchezze su cui misero becco parenti più scaltri. Si trovò a essere suo tutore il cugino Lorenzo il Magnifico e nel suo ambiente raffinato e colto crebbe formato da importanti filosofi come Ficino e Poliziano. Si sa però che Giovanni, dall’adolescenza inquieta e turbolenta, avrebbe meritato la tipica frase: “è intelligente ma non si applica”. Vero è che chiunque, anche controvoglia, in un ambiente simile, avrebbe pure solo per osmosi assorbito la tradizione classica, la passione per l’arte e per il collezionismo, l’umanesimo. In effetti, messa a posto la testa, sfoggiava una profonda erudizione e, al contrario del bruttino Lorenzo, appariva anche nelle fattezze - e in senso meramente estetico - “magnifico”. I rapporti tra rami dei Medici andarono però a deteriorarsi per questioni di proprietà e di eredità con pesanti accuse da questa o da quella parte. Le ostilità tra cugini si riaccesero con la morte del Magnifico e il ramo “Popolano” subì il confino (per carità, in una villa splendida). Con l’ascesa di Carlo VIII di Francia (già caro a Giacomo Feo), il ramo “Popolano” uscì dall’ombra acquisendo tale soprannome per aver sostenuto le istanze repubblicane di Savonarola contro gli altri Medici più istituzionali. Giovanni, probabile brava persona, non approfittò della situazione favorevole e per lui fu destinato un ruolo sì importante ma da svolgersi fuori Firenze: ambasciatore in quel di Forlì. 

Era il 14 febbraio 1495 (giorno di San Valentino) quando Giovanni il Popolano e suo fratello conclusero l’accordo per la vendita di una gran quantità di grano a Caterina Sforza. Galeotto, dunque, fu quest’episodio (e ancora Giacomo Feo era in vita). L’intreccio è più gustoso se si pensa che Lorenzo de’ Medici aveva piacevolmente favorito l’omicidio degli altri due mariti della Tigre di Forlì. Insomma, in men che non si dica Giovanni diventerà ambasciatore di Firenze a Forlì e, in seguito, di Forlì a Firenze. Anche questa volta la dura e volitiva Caterina si era lasciata sedurre dai modi affabili ed eleganti del rampollo mediceo, avvenente, ardito, colto e con qualche anno in meno di lei (non quanto il suo caro Giacomo, però): nel 1498 si sposarono.  A dire il vero non è proprio chiarissima l’esatta collocazione del terzo matrimonio: fonti lo indicherebbero alla fine del 1496 oppure nel 1497. Per chi ama dare i numeri, però, si può stimare che Caterina Sforza, vissuta 46 anni, abbia avuto tre mariti e sia stata complessivamente sposa per 15 anni (alle prime nozze era appena decenne). Chi apprezza i dettagli suggerirà inoltre che i tre mariti erano accomunati dall'iniziale del nome: Girolamo (Riario), Giacomo (Feo) e Giovanni (de' Medici). 

Riassumendo: pare lecito sostenere che Giovanni de’ Medici fosse ben diverso da Giacomo Feo, si presentava, al contrario, come “puro gentilomo”. Non sembra vi siano stati screzi con il Signore titolare, l’ormai ventenne Ottaviano Riario. Rispettava il suo ruolo di principe consorte (e segreto), non si esaltava: temeva forse di morire ammazzato come i suoi predecessori? Oppure semplicemente il matrimonio fu troppo breve per inquadrare più di qualche impressione? Passò a miglior vita, infatti, presto: nessuno però lo uccise. Con le milizie dello Stato di Forlì e Imola, “Zohanni” aveva preso parte alla guerra di Firenze contro Pisa ma si ammalò per poi lasciare il campo di battaglia. Per curarsi si ritirò a Forlì poi tentò di recuperare la salute a Bagno di Romagna dove trovò la morte. Così le cronache forlivesi si accorgono di lui al suo trapasso, accaduto nella serata di venerdì 14 settembre 1498: l’ambasciatore fiorentino che non usciva dalla Rocca di Ravaldino era effettivamente coniugato con Caterina Sforza pertanto se ne scriverà a posteriori. In seguito, suo fratello portò la salma a Firenze dove fu sepolto. Al figlio Ludovico la madre cambiò nome e da allora si chiamò Giovanni come il padre, ma sarà più noto come Giovanni dalle Bande Nere.

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