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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il Trebbo di Mozzapè

Uno degli angoli della piazza ha un nome misterioso. Da sempre è stato un punto di ritrovo. Ora è tempo di riscoprire il cantone, valorizzare il suo nome, la sua identità.

Appreso con favore che la Commissione Toponomastica dedicherà alla "Baia del Re" un largo nel cuore della stessa, come si era auspicato qualche settimana fa su questa rubrica, un altro nome della tradizione è bene riscoprire. Di etimo incerto, è centralissimo, oggi. Meno doveva esserlo quando piazza Saffi era il Campo dell'Abate al di fuori della città propriamente detta. Quando la piazza divenne veramente tale, risultò così grande che era inevitabile la divisione in "cantoni". Vasta com'è, è dura per un forlivese essere agorafobico. 

Al Cantone di San Mercuriale (il nome più facile da identificare) trovavano casa, oltre l'Abate, anche i Calboli, poi Paolucci di Calboli e rampolli vari. Oggi c'è la piazzetta don Pippo, il largo de Calboli e l'omonimo e grandioso palazzo. Diciamo che poteva considerarsi l'angolo guelfo della piazza. Tra via delle Torri e corso Mazzini era il Cantone del Gallo, nome scomparso completamente e - ahimé - nulla, nemmeno un bar, ricorda l'eponimo pennuto. Negli anni '30 del Novecento, questo spicchio della piazza fu stravolto dalle nuove architetture, ma non ebbe pace nemmeno nel Dopoguerra come dimostra l'inizio di quello che fu il Borgo San Pietro. Era detto anche Cantone Numai perchè la nobile famiglia qui (dove ora sorge il Palazzo degli Uffici Statali) aveva casa. L'inizio di via delle Torri copre ciò che resta dell'antico Ponte dei Cavalieri.

Dal lato opposto della piazza, l'unico cantone il cui nome è ancora nelle orecchie dei forlivesi, il Rialto detto per singolare ibridazione Rialto Piazza. Era separato dalla piazza dal torrente Acquaviva, uno di quei corsi d'acqua misteriosi come quelli del Paradiso terrestre. Probabile alveo antico del Rabbi, fu poi canalizzato e ora scorre sottoterra: pochissimi testimoni viventi potrebbero ricordare ormai il suo riaffiorare lungo la via del Sole (oggi Pedriali) e inabissarsi dopo la Torre Numai. A scavalco di esso c'era il Ponte del Pane, per giustificare il termine "Rialto". Ora è inimmaginabile una piazza così. La storia ha manomesso in modo massiccio anche questo cantone che pare il più arcaico, con il palazzo del Podestà dal loggiato irregolare. Eppure anche il Rialto ha subito numerosi rimaneggiamenti. Per esempio: interrato il ponte, fu innalzato un arco, poi anch'esso abbattuto (eh, il traffico del 1824).

Dal Ponte del Pane alla chiesa del Suffragio, come oggi, si succedeva una serie di palazzi con porticato, detto Loggia dei Signori. I palazzi, perpendicolari a quelli del "potere" (Ordelaffi, Legati, Sindaci...), conferiscono una grazia tutta particolare, altrove assente. Era una passeggiata frequentata ed elegante: tra l'edicola Damerini e il Caffé di Macaron. Pare di vedervi, su seggiole di buon gusto, signori con giacca e cappello che parlano del più e del meno mentre camerieri in livrea attendono i loro desiderata. Il porticato collega il palazzo Talenti Framonti (poi Orsi Mangelli, poi Scroffa, poi Mangelli, poi Zoli, poi ci pensò una banca a comprare tutto e ancora oggi per i canuti è il "palazzo del Credito Romagnolo", ora la proprietà è altrui), con i palazzi Albertini e del Podestà, tra i più sobriamente leziosi della città, entrambi di radici quattrocentesche, il primo dei quali definito "geniale edificio" nella guida di Casadei (1928).

Il Cantone che segnava l'inizio di Borgo Cotogni (alias corso della Repubblica) sarebbe detto Trebbo di Mozzapè, curioso toponimo scomparso e da ripristinare. Da lì a San Mercuriale un lato meno fortunato: il palazzo Serughi fu sventrato, sebbene ne sia stata intelligentemente conservata la facciata, per spalancare agli entusiasmi economici la Camera di Commercio (nell'immagine notturna, piazza Saffi vista dal Trebbo di Mozzapè). Il suo gemello è una sorta di tappabuchi che ha il pregio di imitare il vicino, ma è una recente copertura dello iato creato dalla demolizione del vecchio palazzo dell'Intendenza, buttato giù senza troppi complimenti per progetti arrestati dalla guerra. Nei pressi del Trebbo di Mozzapè, da alcuni italianizzato anche con Mozzapiedi morì Luigi Napoleone Bonaparte (1831), fratello maggiore del poi Napoleone III e nipote del I, e qui soleva sfogliare avidamente il giornale il giovane Benito Mussolini nella più antica edicola di Forlì (dal 1884), aperta da un burattinaio avente nome Angelo Damerini sul lato della chiesa del Suffragio, per meglio dire di Santa Maria della Visitazione. 

Mozzapiedi. Difficile individuare il motivo di un nome tanto singolare: una delle ipotesi - e non sembra poi così assurda - ritiene che la curva della piazza che forma il detto cantone fosse particolarmente pericolosa per i cavalli che il 30 aprile di tempi ormai remoti percorrevano il Palio. Femori rotti di equini, di fantini, di spettatori? Non si sa. Si conosce altresì che i Pasolini dall'Onda di Granarolo erano detti da Mozzapè: Costanza, di tale famiglia, fu la dolce e sfortunata moglie del conte Ercole Gaddi di Forlì, morta ad appena trentatrè anni nel 1834. Che il Trebbo parli di lei? E poi: Mozzapè con l'accento o Mozzape' con l'elisione? E se invece l'origine fosse tratta dalla Mota, dal fango che probabilmente distingueva il Campo dell'Abate dalla Strada Petrosa (poi Borgo Cotogni, cioè corso della Repubblica)? Oppure se il  altro non fosse che una contrazione di piadina, o una corruzione di , cioè vino? Lì c'era la storica Osteria della Pace. E "tagliare il vino" è un espressione consegnata all'enologia. Probabilmente si potrebbe girare intorno a inventarsi ipotesi, ma il "mozzapiedi" da Palio sembra il più plausibile. 

Nella memoria di chi scrive sono ben vive le immagini di signori, per lo più anziani, a cavallo della bicicletta davanti al Trebbo a parlare di piccole e grandi cose. Tutti rigorosamente uomini, con cappello. Chi serio, chi cordiale; barzellette, massimi sistemi. Chi elegante, chi sportivo, c'era un mondo di voci e di presenze che sapevano bene che quello era il Mozzapè. Qualcuno scendeva dalla bicicletta mantenendo la sportina ben salda al manubrio, chi non aveva il cappello spesso esibiva un malcelato parrucchino o una chioma vistosamente colorata. In parte il fenomeno si ripete, ma mai quanto fino a un paio di decine d'anni fa. Erano sensali che trattavano affari? Chissà cosa si dicevano. Chissà perché sceglievano di riunirsi sempre lì, sempre alla stessa ora. Curioso, infatti, che questo sia l'unico cantone della piazza che preferisca chiamarsi Trebbo, cioè riunione di amici, punto d'incontroTrebbo è anche derivato di trivium: da lì si diramano corso della Repubblica, via Volturno e la via Emilia che prosegue attraversando piazza Saffi col suo chilometro zero proprio lì, ombelico del mondo forlivese, collocato all'esterno della Loggia dei Signori

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