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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

L'altra Caterina: chi era?

Qualche anno prima della Sforza, Forlì fu retta da una donna altrettanto forte. Chi era e cosa ci ha lasciato "madonna vecchia"?

Non solo Caterina Sforza. Prima di lei, un'altra donna con lo stesso nome resse le sorti di Forlì. La Reggitrice, o Reggente (in lingua indigena: arzdora) Caterina Rangoni, esercitò il potere per almeno quattordici anni. Nei giorni scorsi, la Rocca di Ravaldino è tornata nel glossario della politica locale giacché merita interventi improcrastinabili e un utilizzo consono, come più volte segnalato in questa rubrica e non solo. Ecco, dunque è tempo per i forlivesi di riappropriarsi dei personaggi del loro Quattrocento. Per esempio, appunto, l'arzdora Caterina Rangoni, donna risoluta e interessante. Vedova di Antonio Ordelaffi, è un personaggio degno di una sceneggiatura o di un romanzo. Meno studiata di Caterina II (Sforza), Caterina I (Rangoni) ha bisogno di un po' di luce sulla sua vicenda storica piuttosto travagliata. Di stirpe emiliana, aveva conosciuto quale ospite di famiglia in quel di Spilamberto Antonio Ordelaffi, Signore di Forlì in due tempi: dal 1433 al 1436 e dal 1438 al 1448. L'occasione dell'incontro era la mansione di procuratore per il matrimonio di Guelfo, conte di Dovadola e Tredozio. Sarebbero convolati a nozze anche Antonio e Caterina.

Dopo la morte del marito, mantenne le redini della città poiché i due figlioli erano troppo acerbi. Cominciò in giorni in cui a Forlì imperversava una pestilenza. I giovani figli Cecco e Pino, legittimi eredi della Signoria, erano a Forlimpopoli. La madre Caterina li fermò prima di entrare in città a cavallo: meglio non rischiare di contrarre la perniciosa malattia. I "signorini" si esibirono in tre giri del Campo dell'Abate e tornarono a Forlimpopoli a spron battuto. Del resto, avevano l'età da ragazzini delle medie e la mamma, vedova di fresco, attendeva sull'uscio di casa con una roncola in mano. Non si sa di preciso se sia stata persuasiva o se i rampolli si persuasero da soli dal lasciare Forlì. Anch'ella, comunque, preferì per qualche giorno l'aria salubre di Bertinoro. 

Così, rimasta a palazzo, la Rangoni fu de facto Signora, o meglio, Reggente in nome dei giovani figli. Donna forte, energica, di carattere: nonostante queste sue virtù, preferì avere con sé, nell'amministrazione della città, il fratello Ugo. Costui, poco amato dai forlivesi fin da subito, si preoccupò più che altro di reprimere il dissenso. Caterina, invece, pensava soprattutto al futuro della Signoria, cercando vie per buoni matrimoni per i figli. Trovò una soluzione gradita: i due fratelli Ordelaffi si sarebbero sposati con due sorelle Manfredi di Faenza. L'annuncio fu dato dalla Reggente il 16 dicembre 1455, davanti a maggiorenti, dottori e un folto pubblico. Un'alleanza inedita per due città vicine ma spesso rivali nella storia. Elisabetta andrà a Cecco, Barbara a Pino. Ciò ebbe una ricaduta positiva sul tenore di vita per forlivesi e faentini. La reggenza di Caterina, detta in seguito madonna vecchia, ebbe il merito di consolidare il quadro istituzionale (invero molto spesso precario, da queste parti). Ella era affiancata, negli atti di governo, dagli anziani e dal Consiglio detto dei Quaranta e dal parlamentino degli anziani. Questo era previsto dalla "Costituzione" di Antonio Ordelaffi dal 1442 ma con Caterina I e i due giovani figli, divenne un solido appoggio istituzionale e, anzi, madonna vecchia sembra aver dato ancor più ascolto ai pareri degli anziani. E per la Reggente, "anziani" non erano soltanto i papaveri delle più inclite e nobili famiglie, ma anche i più spicci artigiani. Nel frattempo, Cecco cresceva nelle armi al servizio di Venezia, e Pino presso gli Aragonesi. 

La "cura" Ugo Rangoni, invece, si scontrò con il già complesso equilibrio delle litigiose famiglie forlivesi. Che si divisero in fedeli al potere costituito (i cosiddetti cagnetti) e i suoi oppositori. Tra i cagnetti si ricordano gli Orceoli, Andrea Deddi detto l'Orso (stirpe che poi cadde in disgrazia con l'altra Caterina), i Serughi, i Pansecchi. Tra le vittime di questo regime figurano Ruggero Numai, Giacomo Laziosi, Giovanni Palmezzano, Pietro Maldenti; questi, con altri, furono assassinati o gettati nelle prigioni della Rocca di Ravaldino. Se i due giovani fratelli Cecco e Pino, ben presto rivali, pensavano più ad addestrarsi al mestiere delle armi che a risolvere le beghe intestine del loro Stato, la situazione degenerò. Per esempio, tale Romagnolo Pontiroli ebbe l'ardire di parlare in toni poco entusiastici della reggenza, asserendo che sarebbe stato meglio se madonna vecchia si fosse occupata di lavori femminili. Fu convocato al suo cospetto e lei lo fece spogliare, legare e incappucciare. Quindi venne lanciato sulla piazza e finito con una lancia. 

 Nell'ottobre del 1454, dopo un impopolare provvedimento sull'acquisto del grano, il malcontento contro Ugo Rangoni salì alle stelle e si evitò per un soffio, grazie all'intervento di Cecco (febbricitante), il linciaggio. La congiura aveva come primo obiettivo sicuramente lui, ma anche la sorella Caterina. Gli insorti gridavano: Ordelaffo, Ordelaffo, quasi legati romanticamente ai dioscuri titolari della Signoria di Forlì. Insomma, i Rangoni erano gli avidi, gli usurpatori, i sopraffattori; i due giovani fratelli, invece, l'amore e la speranza per un futuro di concordia e di prosperità. Si può dire che qui gli Ordelaffi consolidarono definitivamente il loro legame con la città ghibellina. Il seguito è controverso: per una parte della storiografia dopo il tumulto non vi furono conseguenze e, anzi, fu promossa una sorta di amnistia. Secondo altri, come di consueto per il periodo, la repressione fu tremenda: arresti, confische, torture, impiccagioni... Ma l'odiato Ugo venne ridimensionato e destituito. Rimase così lei sola, Caterina. Quale migliore espediente per ritrovare popolarità se non organizzare un bel paio di matrimoni principeschi? Ecco, allora, come detto, le duplici nozze: nel 1456 Elisabetta sposava Cecco, nel 1462 Barbara sposava Pino. Da allora, i due fratelli iniziarono a mettere in ombra la madre nel governo della città. Non a caso, Ugo Rangoni lasciò definitivamente Forlì, in una notte del 1463. Nel medesimo anno, Pino si ammalò gravemente e la madre lo indusse a sospettare del fratello. Per la guarigione, Caterina finanziò un altare nella scomparsa chiesa di San Francesco Grande dove, ai piedi della Vergine, era dipinto Pino in ginocchio. 

Il rapporto fra i due fratelli sarà da qui spesso condito da dosi di arsenico. L'anno dopo, Pino partirà al servizio di Venezia e pare che ciò fosse cagionato dalla gelosia del primogenito, Cecco che non ambiva certo a dividere lo scranno con quel suo consanguineo malaticcio. Tuttavia il primo a morire sarà, appunto, Cecco, formalmente Signore di Forlì con il nome di Francesco IV dalla morte del padre al suo decesso. Sarà pugnalato (era comunque gravemente malato) il 22 aprile 1466 per una probabile ennesima congiura ordita dal fratello Pino che così divenne Pino III Signore di Forlì. Seguì un periodo controverso: nello stesso 1466 morì Barbara Manfredi che meriterà uno splendido sepolcro ora in San Mercuriale. I sospetti si sono addensati sul marito ma non è esclusa la causa naturale. Per chiudere definitivamente con i Manfredi, signori di Faenza, nel 1469 passò a miglior vita anche Elisabetta, vedova di Cecco, anche in questo caso fu avanzata l'ipotesi di un avvelenamento. Per completare la scia di sangue: Pino III, accusato di aver fatto eliminare il fratello, avvelenare la moglie Barbara, ecco che avrebbe intossicato fino alla morte anche la madre, Caterina Rangoni, il 26 maggio 1467. Perché sarebbe arrivato a questo, Pino? La donna rinfacciava in continuazione al figlio l'omicidio del fratello, era diventata una presenza ingombrante. A quanto pare la sua vita finì con un veleno somministrato a forza in un clistere.

Probabilmente della madonna vecchia c'era molto più materiale: scritti, ritratti, cose scomparse dopo la fuga dell'ultima moglie di Pino III che portò via da Forlì il tesoro degli Ordelaffi, sparito per sempre dal 1480. E ora, cosa rimane? Almeno due dettagli: nel portico del palazzo Comunale in piazza Saffi si notano alcuni antichi capitelli di ordine composto attribuiti a Francesco di Simone Ferrucci. Tre di essi recano degli stemmi: in uno c'è quello dei Manfredi, nel secondo quello dei Rangoni, e nel terzo quello degli Ordelaffi. Inoltre, la chiesa di San Francesco Regis (in via Pisacane) fu costruita alla fine del Settecento con avanzi della chiesa scomparsa di San Francesco Grande. Tra questo materiale figura un frammento del sepolcro di Caterina Rangoni, proveniente dal detto rimpianto luogo di culto ov'è ora piazza delle Erbe; è un prezioso marmo quattrocentesco attribuito ad Agostino di Duccio. Ora appartiene a una collezione privata. In esso (nell'immagine) accanto al leone ordelaffo, si nota la conchiglia di San Giacomo, propria dell'araldica dei Rangoni, forse riferimento alle ascendenze guelfe della stirpe. 

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