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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

La confidenza del bracco

Nelle campagne di Forlì, duecento anni fa, un personaggio era indispensabile per celebrare i matrimoni. Come si sposavano i nostri antenati?

Duecento anni fa, a Forlì fu pubblicato il primo studio sul folclore in Italia. L’opera “Usi e pregiudizi de’ contadini della Romagna” è un lavoro serio e faceto compilato minuziosamente da Michele Placucci.
Come segretario municipale di Forlì, Placucci aveva raccolto prezioso materiale per rispondere alla Direzione generale dell’Istruzione pubblica del Regno italico (napoleonico) che voleva indagare sulle usanze nelle campagne forlivesi. Con la Restaurazione, nel 1818, Michele Placucci si rivolse allo stampatore Barbiani per rendere fruibile il suo lavoro. 

Tra le copiose curiosità, qui si può citare la figura del bracco, un singolare personaggio simile a un sensale che entrava in gioco come pedina fondamentale nell’accompagnamento di due fidanzati al matrimonio. 
Dopo un lungo amoreggiare, determinatosi il giovine di unirsi finalmente in matrimonio colla sua diletta, viene scelto col consenso de’ genitori un uomo di confidenza per pronubo delle nozze, il quale, col nome di bracco, si porta alli parenti della futura sposa e concerta il tutto, appianando ogni difficoltà. 
L’accordo tra il bracco e i genitori della promessa sposa si fa nella stalla dei buoi o nel retro del pagliaio. Se c’è reciproca soddisfazione, il bracco entra in azione: il padre della sposa accede con un qualche pretesto alla casa dello sposo per fare un vero e proprio esame, per vedere la qualità e la quantità delle mobilie. S’ingenera un teatrino descritto con distacco e ironia, come il caso in cui la reggitrice di casa fosse prevenuta di tale visita avrebbe sicuramente disteso con ordine matasse di accia, refe o lana perché facciano pomposa mostra.
Tra gli accordi vi sono punti fissi: guai sposarsi a maggio perché credono che li contraenti sposati in tal mese diventano pazzi, e mai di venerdì in quanto temono d’incontrare un sinistro evento
Il bracco, inoltre, si reca sull’Ave Maria a casa della sposa, chiamandola. Lo seguono i parenti dello sposo eccetto la madre. La ragazza non risponde subito, si nasconde ad arte, questo per ribadire che non corre dietro all’uomo, ma vuol essere pregata. Il bracco si esibisce in tale rito curioso, cercandola dappertutto con la consapevolezza che sarà lei a farsi scoprire: finalmente chiamandola più volte ed anco ad istanza della madre, esce fuori decentemente abbigliata. Seguono rallegramenti tra le parti con queste parole: E' Signor u ja fatt, e me a jo accumpagnee, e advintarì parent. Il bracco prende la mano dei due promessi e li unisce insieme. Così parla il ragazzo: am rallegar, cham so truvee una sposa, e lei timidamente risponde: am rallegar, cham so truvee un spos. Questa sorta di liturgia si perfeziona sull’uscio, fuori dalla porta restano i parenti dello sposo che vengono presi per mano a uno a uno dalla giovane e cordialmente introdotti in casa. 

Segue una serie di congratulazioni tra il bracco e i parenti di lui e di lei e tutti si prendono per mano. In seguito, il bracco afferra un boccale colmo di vino e lo porge allo sposo che a sua volta lo consegna alla sposa, poi ai parenti di lei, e parenti di lui. Bevono tutti. Terminata anche questa cerimonia, il bracco si rivolge agli sposi con gioia dicendo: dbegne e bee di parent (beviamo il vino dei parenti). Tutti ripetono le medesime parole e da quel momento si considerano parenti. Subito dopo, a tavola: è prevista una cena divertente con giochi e balli e continui spari di pistole in segno di allegrezza che durano fino a che partono i parenti della detta casa. Questa bizzarra funzione viene detta toccamano che spesso è preceduta da un’ulteriore esibizione di teatro rurale. Il bracco, infatti, domanda al padre della giovane se ha una figlia da maritare ed egli risponde che non sa, però poi gli presenta intanto tutte le altre ragazze fuori di quella che se volergli ricercare fino a quando esce la prediletta e il futuro sposo esclama: l'è questa; questa l'è quella, cham piis, e a la voj per sposa. In questo frangente la ragazza è in abito dimesso, pertanto tosto corre a vestirsi decentemente. Quindi segue la bevuta e la cena. Finito il toccamano e prima del matrimonio, in tutte le domeniche, martedì, e giovedì va lo sposo verso sera a trovare la sposa, in compagnia della quale si trattiene fino dopo la cena, e poi se ne ritorna a casa

Di sabato si va dal parroco della sposa per chiedere il consenso, cosa che nel linguaggio dei nostri avi era detto andeer a dì e Paternoster. In un giorno di mercato si procede alle pubblicazioni e gli sposi vanno a Forlì per andare alla mostra, cioè per provvedere abiti, anella, fazzoletti… In questo modo i promessi sposi testimoniano la loro intenzione alla cittadinanza, facendosi vedere insieme al mercato chiunque potrà riconoscerli come coppia ufficiale. Tuttavia vengono seguiti da vicino dalle due vecchie madri, tenendo la destra quella della sposa ed aventi appesa al braccio una paniera per cadauna, coperta con bianco tovagliolo.
La giornata di mostra non può che comprendere l’osteria: lo sposo vi conduce la sposa e le madri, il bracco e il sarto. Dopo pranzo tornano tutti a casa della sposa con una specie di corteo: davanti i due contraenti, dietro e a distanza le madri per lasciare ad essi una onesta libertà di esprimersi a vicenda i loro affettuosi sentimenti.

A questo punto è tempo di un ulteriore pranzo festoso tutti insieme. Prima, però, è prevista un’altra tradizione piuttosto macchinosa: 
Affinchè lo sposo intervenga a tale pranzo, si é dovere dei parenti più prossimi della sposa l'andarlo a prendere dalla propria casa, ove giunti sono trattati di abbondante zuppa. Il giorno della terza pubblicazione si é quello, in cui si dà gran pranzo con indicibili reiterate mangiate; ed ecco l' ordine, con cui si procede in proposito. Gli attinenti della sposa invitati si radunano in casa di lei, e quelli dello sposo nella di lui abitazione; riuniti in tal modo li parenti, rompono il digiuno con una colezione consistente in una zuppa, ed un pajo galline, se gli attinenti sono pochi; e di più, se sono molti. Terminata la colezione, li detti attinenti della sposa unitamente ai fratelli della medesima, se ne ha, vanno a prendere lo sposo dalla propria casa; riuniti questi nella casa del medesimo, viene ad essi preparata altra zuppa con quattro galline, se sono pochi, e di più, se sono molti; indicando, che se per una famiglia vi volevano due galline, per due famiglie ve ne vogliono quattro. Terminata questa mangiata, partono tutti gli attinenti in corpo, precedendoli lo sposo. Giunti alla casa della sposa vengono serviti di una terza zuppa con due grossi gallinacci; poscia tutti uniti partono, e vanno alla Chiesa Parrocchiale ad ascoltare la Messa, quale finita ritornano a casa della sposa, ove trovano un lauto pranzo.
A pancia ancora piena si aprono i regali, in genere al bracco vanno due fazzoletti e una camicia che dovrà essere indossata il giorno delle nozze in chiesa. In tale fausta giornata sono invitati gli attinenti tutti e segue una zuppa. Saranno quindi uniti in matrimonio da un parroco su un inginocchiatoio. La nubenda, però, non si alza subito; c’è bisogno di una donna, chiamata popolarmente filippa, che le strattoni la veste per farle capire che è ora di sposarsi. Prima del fatidico “sì”, il bracco porta al cospetto dello sposo una o due altre donne della famiglia, e le più brutte e vecchie chiedendo se tra esse ci sia la sua promessa. Lui ovviamente dice “no” e si svela la futura sposa, suscitando grida di gioia. Dopo la messa, si ritorna alla casa della sposa che viene regalata dagli attinenti di galanterie delle quali erano venuti carichi
Prima del 1818 vigeva l’istituto (se così si può dire), della gallina arrabbiata: il bracco per strada precedeva il corteo nuziale tenendo in mano una gallina viva che spennava a poco a poco. Per Placucci si tratta di un cattivo costume ormai abolito. Al suo tempo, ormai, meno cruentemente il bracco portava una gallina levata dalla casa della sposa ma giunto a quella del marito gliela consegna viva senza pelarla. Ciò significa: buona fortuna. 
Il bracco entra in gioco ancora, quando la sposa deve mostrarsi afflitta per il distacco dalla casa paterna. Suo compito è saltellare davanti a lei cantando questi versi, all'ascolto dei quali la sposa è costretta a ridere:
L'éltra sera a fop invidee alla festa, l'era la melta, e non potev' andèere; 
A tus so e mi cavallen, e andé di trotte, quand a fop i lá che l' era mezza notte; 
quand a fop i là la torta si cuseva, la sposa s'amaneva, e la piangeva: 
Cs' aviv mo sposilena cha piangì chi vi l' ha fatti to sa ne voliv? 
An aviva za la lengua in tra li foi, ch' an ne potessuv dir quest' a ne voj; 
An aviva za la lengua in fra li ram, ch'an ne putessuv dir quest a ne bram.

Nel pranzo nuziale (verrebbe da dire, uno tra i tanti), la sposa sta a destra dello sposo, mangiano insieme nello stesso piatto, e accanto alla donna ecco ricomparire il bracco. I genitori seguono a distanza questo pasto, in cucina, vestiti degli abiti più meschini, per indicare di lasciar per quel giorno la padronanza ai novelli sposi. Seguono grida, gioia, lazzi e spari in aria. 
Il bracco è presente anche in un momento estremo: quando muore una donna nubile, ai piedi della salma viene collocato un fazzoletto per lui, gli sarebbe stato regalato se mai la povera signorina si fosse sposata. 

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