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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

La Forlì che scaldò l'Italia

La Becchi e le sue stufe hanno rappresentato l'eccellenza di una città con un passato di fasti industriali. Storie e luoghi dell'imprenditoria geniale forlivese meritano tutela e una riscoperta.

Ci si sta avviando verso la fine di un inverno che non passerà certo alla storia per i suoi rigori. Quando il freddo faceva sul serio, ogni casa aveva un angolo di conforto: una stufa Becchi di Forlì. Negli anni '90, tra via Oberdan e corso della Repubblica, riapparve la scritta "Becchi" in tutto il suo biancore, inserita nel rilievo di una stufa fiammante. Per diverso tempo il fregio era coperto da un'ala di un vecchio aeroplano collocata in senso verticale. Infatti, il fabbricato che per qualche anno ha fornito anche aule e uffici all'Alma Mater, ospitò pure il biennio dell'Istituto aeronautico. Prima degli anni Sessanta, lì invece c'erano gli uffici e la portineria dell'industria che ancora viene familiare chiamare "Becchi". La fabbrica si estendeva dov'è ora la galleria Vittoria e il giardino Annalena Tonelli, cioè l'isolato tra le vie Oberdan, Nazario Sauro e corso della Repubblica. All'interno di questa vasta area, un tempo periferica benché dentro le mura, c'era perfino un'arena all'aperto per spettacoli pubblici. Il cuore dell'antica industria adesso non c'è più: sorte non nuova per la Forlì industriale, le cui principali testimonianze architettoniche, da cinquant'anni a oggi, sono lasciate alla mercé del tempo, dell'incuria. Nella maggioranza dei casi si è provveduto a buttare giù tutto, cancellando una pagina importantissima della storia urbana e di un ceto imprenditoriale che ha dato lavoro e sviluppo. Anche la Becchi avrà le sue fiammate nel periodo d'oro delle industrie forlivesi, subendo in seguito cali e trasformazioni. 

A conferma di un'identità, si può ricordare che a Forlì esisteva un'altra fabbrica di stufe di terracotta, la Irsica: aveva sede in via Ravegnana vicino al ponte della ferrovia. Quelle della Becchi mantenevano il caldo con poca legna e oggi sono oggetti di culto di cui Forlì potrebbe vantarsi. Hanno riscaldato l'Italia per più di un secolo, essendo diffuse per altro in modo capillare in aule scolastiche, ospedali, caserme e altri edifici pubblici. Gli esemplari tutt'ora esistenti, se funzionanti, conservano un'ottima resa e sono veri e propri gioielli tecnologici. A tre o a cinque cassettoni, le stufe venivano tinteggiate con acqua rossa, colore derivato dagli scarti delle fornaci. Poco, da queste parti, si tributa alla famiglia Becchi, imprenditori illuminati che, oltre a far girare nel mondo il nome "Forlì" sulla terracotta, ha dato lavoro a generazioni di forlivesi. Per capire il senso dell'aggettivo "illuminati" basta citare il fatto che per gli operai, dagli anni '30, nello stabilimento produttivo di corso della Repubblica c'erano una mensa, uno studio medico, una palestra e un dopolavoro. 

L'attività era stata avviata nel 1850 da Pietro e Valerio Becchi, figlio e padre. Costruivano all'anno circa venti stufe in cotto usando argilla mista a sabbia quarzosa. I tentativi accompagnati dall'esperienza fecero sì che, con le dovute modifiche, la materia prima diventasse più omogenea, più porosa, tanto da resistere meglio agli sbalzi di temperatura. Così nacque la stufa monolitica in cotto d'argilla: nel 1866 la fabbrica riusciva già a produrne 120 all'anno. Con l'idea della stufa a cassettoni, o a ripiani, la Forlì del riscaldamento conquistò il mercato: non solo Romagna, non solo Italia, ma anche Sudamerica e i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Nel primo decennio del Novecento piovvero premiazioni e medaglie, sviluppo che portò a produrre 1500 stufe all'anno nel 1906. 

Nel 1906, però, morì Pietro Becchi e l'erede, la figlia Norina, affidò la conduzione dell'impresa a Ettore Benini, già noto e consolidato industriale forlivese. La famiglia tornò in possesso della fabbrica nel 1919 grazie ai nipoti Pietro e Giuseppe Mattioli Carpi. Qualche anno dopo si registrerà un'ulteriore grande espansione: 20 mila stufe fabbricate all'anno negli anni Trenta, circa 300 addetti, nuovi macchinari, impianti moderni che permisero di stare al passo coi tempi. Ed erano giunti i tempi delle cucine economiche (ne uscivano 8 mila all'anno, nel medesimo decennio) mentre le stufe a cassettoni iniziarono il loro pensionamento tecnologico. Tali cucine erano "economiche" perché la famiglia risparmiava nel costo del riscaldamento mentre la massaia risparmiava tempo per la cottura dei cibi. Avevano, infatti, un forno e una vasca per l'acqua calda. Nel 1933 lo stabilimento era esteso per 14 mila metri quadrati con ambulatorio e mutua sovvenzionata dalla Becchi stessa. Nel solo anno 1935 si toccarono le 24 mila cucine economiche fatte a Forlì, con l'impiego di 600 tonnellate di lamiere, come seicento erano diventati gli operai. Il crescendo sembrava inarrestabile ma gli impegni bellici contingentarono l'uso civile dei materiali ferrosi. I dipendenti calarono e vennero rivalutate le stufe in cotto anche per motivi autarchici; manovra, questa, che salvò dal rosso in bilancio. E una nuova linfa percorse la fabbrica di Borgo Cotogni, ormai Società per Azioni: nel 1941 c'erano 721 dipendenti (per il 40% donne e minorenni, per ovvi motivi legati alla guerra). Si potevano vedere, così, dalle parti di via Nazario Sauro, bambini con carriole cariche di terra rossa avanti e indietro per diverse ore al giorno. 

Nel dopoguerra si volle diversificare, e dalla Becchi uscivano anche frigoriferi, scaldabagni a gas elettrici, lavatrici. L'entusiasmo imprenditoriale permise l'apertura di una filiale a Milano e di un magazzino a Torino, nonché di un deposito a Napoli. Gli anni Sessanta, dopo un cambio di proprietà, videro ancora grandi numeri (55 mila cucine gas e 25 mila cucine a legna nel 1963) e s'innestò la nuova linea di caldaie a gas per il riscaldamento centralizzato. Nel 1965 fu terminato il nuovo stabilimento a Villanova di Forlì su un'area di 15 ettari, cosa che consentì di produrre, per la marca Electa, cucine a fornelli a gas, caloriferi a cherosene, stufe a gas, stufe a fuoco continuo, cucine economiche, frigoriferi e lavabiancheria e, più tardi, televisori. La sede legale della società migrò tra Forlì e Milano per insediarsi a Pordenone. Da qui la sua trasformazione in ciò che è ora. Nonostante il capitale sociale salito a un miliardo e 300 mila lire nel 1968, la Becchi cessa ogni attività il 31 luglio del 1971 in seguito all'incorporazione nelle industrie Zanussi. Nel 1984 esse saranno rilevate dal Gruppo Electrolux. Ora, con una nuova veste rispetto ai tempi delle stufe a cassettoni, l'attività è ancora lì, sulla via Emilia, a Villanova di Forlì.

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