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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

La grotta di San Pellegrino

Nel 1951 venne apposta una lapide per indicare la casa in cui nacque il Santo dei forlivesi. Oggi cosa si sa dell’adolescenza del ghibellino Laziosi?

Con maggio torna la festa di San Pellegrino, una storia antica come Forlì e che, pertanto, non merita amnesie o rimozioni. Il calendimaggio forlivese è ancor più significativo se si ricorda l’anniversario dell’incredibile episodio che Dante (ora tanto di moda) chiamò “Sanguinoso mucchio”. Ecco, sarebbe bello che le promesse di rilancio del centro storico prendessero spunto dalla storia e non da smanie estemporanee, o fuochi di paglia figli della moda. La vicenda di Guido da Montefeltro e della vittoria memorabile che i forlivesi ebbero contro “il resto del mondo” s’innesta nell’agiografia del giovane Pellegrino Laziosi. Il Foro di Livio ha già dedicato tanto spazio a questi argomenti, chi non ricordasse può andare a ritroso a cercare.

Se tante parole sono state spese sul Santo vissuto tra il Duecento e il Trecento, pochissimo si sa della sua giovinezza, si può dire che prima di quel 1282 (aveva 17 anni), non si conosce quasi nulla. In effetti, il periodo è lontanissimo e volentieri le vicende dei santi venivano condite da fioriture poco documentabili. In ogni caso la domanda sul ragazzo Laziosi rimane. Si sa del suo temperamento, ma l’anagrafe è più discreta. Assai difficile dunque è dare per certe molte cose dei primi anni. Per esempio: di chi era figlio? Da metà del Seicento si asserisce che i suoi genitori si chiamavano Berengario Laziosi e Flora Aspini, entrambi aristocratici, lui ghibellino, lei (forse) guelfa.

Ci si azzarda a sottolineare che lei non fosse nota per la sua avvenenza, per contro si sarebbe rivelata una buona madre romagnola. La coppia è sepolta nella chiesa della SS. Trinità, sempre a Forlì, perchè in questa parrocchia avevano casa e in un palazzo non più riconoscibile nelle forme di allora il 27 dicembre 1951 fu collocata una lapide per ricordare che lì sarebbe nato il Santo. Almeno così ormai si dà per scontato. Nel Settecento, infatti, più voci confermavano che i Laziosi risiedevano al numero 15 dell’odierna via Giovita Lazzarini. Per esempio, il dottor Francesco Colombani giurava di aver conosciuto un discendente sacerdote, tale don Nanni, che vi abitava dicendo che per tradizione quella era la casa in cui nacque il Santo. Secondo indagini catastali e vecchie congetture sembra invece che l’antico palazzo dei Laziosi avesse la facciata su via Maroncelli.

Il ragazzo Pellegrino pare fosse un atleta: “La sana costituzione del fanciullo, resa maggiormente robusta dai frequenti esercizi ginnastici, era già refrattaria alla concupiscenza” riporta l’agiografia di padre Armadori del 1930 e “nelle ore di ricreazione dirigeva giuochi e passatempi bellici” mentre “coll’animo aspirava a cose migliori”. Come si usava a quel tempo, l’educazione comprendeva prove di scaramucce, battaglie, insomma, cose piuttosto ruvide. Tuttavia l’agiografo ricorda la sua “maschia bellezza” ornata di “belle maniere”. Era “cavalleresco”, “pronto”, “ardente”, “entusiasta” per nulla viziato o indolente. Tutto questo suo ardore, però, lo allontanò a poco a poco dalla famiglia “per attaccarsi interamente alla patria”.

Non solo: “rinunziando agli affetti domestici, con maggior facilità ripudiava l’individuale cultura; onde creavasi il cavaliere ignorante, borioso persino della sua incapacità di scarabocchiar sulla carta la propria firma”. Tra questi alti e bassi, l’agiografo più avanti risolverà così: “Come aveva imparato dal padre a mantenersi forte e robusto, e dalla madre a rendersi pio e religioso, così apprese da ambedue a divenire fiero repubblicano”. Insomma: “L’ardente suo carattere, messo a servizio di una causa santa, ne avrebbe fatto un apostolo, imbevuto al contrario di falsi principi, difensori d’una causa ingiusta, lo portò sull’orlo di un abisso. Ne avrà valutato l’adolescente la gravità del pericolo? Per allora no”. Si rialzerà dall’abisso prendendo sul serio la conversione che stava maturando e diventando, da uomo, il Santo dei forlivesi.

Come detto, duecentoventicinque anni dopo la canonizzazione venne collocata una lapide commemorativa al numero 15 di via Lazzarini con la seguente epigrafe dettata da padre Tommaso M. Santi: “Saluti riverente il popolo / la casa in cui all’Italia al mondo / Pellegrino Laziosi / tumultanti le fazioni umane / nacque ghibellino e santo / I Forlivesi al concittadino / I Servi di Maria al confratello / 27 dicembre 1951”. Alla cerimonia, erano presenti il vescovo Paolo Babini (che poi avrebbe benedetto la lapide), il Sindaco, rappresentanti del Prefetto e del Questore. Presenti pure monsignor Adamo Pasini e, per il convento di piazza Morgagni, padre Giovanni M. Pioppi. Al termine del rito fu deposta una corona d’alloro, legata da un nastro coi colori della città di Forlì.
Nei sotterranei di quest’abitazione che, come pressoché tutte le case coeve della zona, ospitano cantine con antiche volte in mattoni, si trova un luogo dove il Santo si ritirava per pregare. Qui egli avrebbe pregato prima di professare i voti perpetui. Sembra – e in fin dei conti, è – una piccola grotta cui si accede oltrepassando un cancello di ferro con le insegne dei Laziosi.

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