rotate-mobile
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

La guardia del Paradiso

Giovanni da Casale, ultimo amore di Caterina Sforza, personaggio dalle origini oscure: il suo contributo alla storia resta controverso

“Uomo di vilissima nazione, ma pervenuto a qualche grado onorato perché nel fiore dell'età era stato grato a Ludovico Sforza, e poi famoso per l'amore noto di quella Madonna”. Così Guicciardini delinea la figura invero sfuggente di Giovanni da Casale. La “Madonna” di cui parla è Caterina Sforza; si può porre dunque quest'uomo di umili origini tra la galleria amorosa della Tigre di Forlì. Anzi, visto che i di lui meriti non sono chiarissimi, pare proprio che sia entrato nella storia soltanto perché drudo della tre volte vedova Contessa. Si sa che, negli ultimi mesi della Ravaldino a gestione Riario Sforza, rivestì il ruolo di guardia del Paradiso, quasi un cherubino carnale. Paradiso, cioè la parte privata della Rocca, le stanze della Tigre e dei suoi cari. Va da sé che anch'egli fosse molto caro alla Signora. Aveva meritato pure competenze di comando e di difesa sulla Cittadella, cioè l'ampia zona ora occupata dalle carceri. Non si è in grado di risalire all'anno di nascita di tale Giovanni (vien da pensare alla metà degli anni Settanta del Quattrocento) né tantomeno è nota la provenienza: chi dice Casale Monferrato, chi dice Carate Brianza. Pare che il suo cognome fosse Pirovano, cosa che fa propendere che si trattasse di un lombardo. Fino al 1496 è un signor nessuno, in tale frangente viene citato per la prima volta tra la scorta dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo e qualificato come “favorito” di Ludovico il Moro. Divenne pertanto, in quel di Milano, confidente, agente, portavoce del Signore zio di Caterina specialmente per gli affari di Romagna e Casentino. 

Nell'estate del 1498, Ludovico il Moro aveva inviato a Forlì un personaggio dal nome favolistico: Gaspare Sanseverino, detto Capitan Fracassa, o Fracasso, per dare manforte contro le continue aggressioni dei veneziani. Cosa volevano i veneziani? Ci sarebbe da perdersi in rivoli e parentesi, quindi su molto pare meglio soprassedere: basti pensare ad anni di forte competizione tra Venezia e Firenze (in palio c'era specialmente Pisa). Il fatto che la Tigre di Forlì avesse sposato (benché – e forse tale lo credeva solo lei – si trattasse di un matrimonio segreto) un Medici e avesse mandato il figlio Ottaviano al servizio della repubblica fiorentina erano motivi sufficienti per aizzare l'astio dei lagunari che si spinsero fin quasi alle mura liviensi. Il 15 settembre del medesimo 1498, però, Milano mandò un altro sostegno a Caterina: Giovanni da Casale, appunto. In questa cornice avvenne il primo incontro tra i due. Si ricorda che in quel momento Caterina Sforza era per la terza volta vedova da ventiquattr'ore, in seguito alla morte del marito segreto Giovanni de' Medici. Sembra che Cupido abbia avuto ben modo di scagliare frecce anche se i tempi concitati non avrebbero concesso nozze o filiazioni. 

Esordì dunque un rapporto complesso tra Giovanni, Capitan Fracassa e Caterina Sforza, in una delicatissima cristalleria che si sarebbe presto infranta. Il secondo dimostrò un rapporto conflittuale con Forlì, ovvero bipolare: invero fu lui che scelse Giovanni come capo delle truppe forlivesi. Si trova spesso Fracassa in Città, a volte pro, a volte contro ma si sa, per i capitani di ventura (come per parecchi mestieri) pecunia non olet. Quando cadrà in disgrazia perché accusato di tradimento e bandito da Milano, sarà Giovanni da Casale a tentare una mediazione chiamandolo di nuovo a Forlì. Successivamente, Giovanni sarà nominato governatore della Rocca d'Imola come “favorito di Caterina Sforza”. In questa veste s'ammalò della “sindrome Feo” e, come il secondo marito della Tigre, uscì volentieri dal suo ruolo proprio per diventare “vicesignore”. In effetti lo si trova a trattare, invano, con Venezia per ottenere una tregua con Milano e anche ciò lo fa dal Paradiso. 

A rendere stabile la presenza di Giovanni a Forlì sarà l'avviso di sfratto da parte di Alessandro VI, papa Borgia che aveva dichiarato decaduta Caterina Sforza da Forlì e Imola a vantaggio del di lui figlio Cesare. Nel maggio del 1499, la Tigre – avendo capito che avrebbe fatto le valigie, sì, ma senza fretta – chiese allo zio Ludovico il Moro di inviarle “secretamente fino a qui messer Joanne da Casale” perché “alla Excellentia Vostra fidelissimo et verso me amorevolissimo”.  Qualche merito, insomma, questo Giovanni l'avrà pure avuto se nel luglio del 1499 Niccolò Machiavelli annoterà il prestigio che godeva in Forlì il misterioso amante della Contessa. Pare che quest'uomo dalle origini oscure avesse carta bianca, in effetti Caterina manteneva ancora poche carte da giocare. La prima: Firenze. Giovanni vi andò per cercare un accordo onde trascinarla in un'alleanza militare a favore di Forlì contro Borgia e i francesi. I toscani, però, temporeggiarono preferendo la neutralità.  La seconda: Venezia. Il campo avverso, alla disperata. Anche qui per Giovanni fu un no: nessun aiuto, nessun'alleanza. Così, nella calda estate del 1499, Forlì rimase sola e si preparò a un durissimo autunno: Imola fu la prima a essere perduta. Probabilmente anche un oratore più abile non avrebbe avuto risultati diversi se non la resa, ci si rassegnò a un assedio inevitabile e sempre più vicino. 

Il temuto assedio durò circa un mese, finquando le artiglierie del Borgia aprirono una breccia per penetrare dentro Ravaldino. Giovanni permise l'ingresso di molti nemici per farli saltare per aria all'interno della Rocca però ben presto si rese conto di ammazzare inutilmente giovani uomini e, senza chiedere nulla a Caterina, alzò bandiera bianca. Pare che la coppia avesse pure tentato di ingannare il Duca Valentino, Cesare Borgia, avendo ordito per lui una trappola col ponte levatoio. Giovanni, tuttavia, aveva rovinato tutto per fretta, per eccesso di zelo, per faciloneria o per la concitazione. 

Il solitamente verboso Sigismondo Marchesi cita Giovanni da Casale solo per l'infamia definitiva: a lui, infatti, “era stata commessa la difesa del Paradiso” ed era altresì “Capitano del Presidio della Cittadella” ma “veduto il vittorioso successo de' nemici”, altro non fece che alzare “le bandiere bianche in segno d'arrendersi”. In tal maniera, “il Valentino, e Monsù d'Allegri entrarono dentro per la rottura del muro (il che fù à 12 di Genaro) due hore doppo il principio dell'assalto, che fù à hore 23”.

La caduta di Ravaldino sarebbe stata cagionata da un uomo: Giovanni, appunto. Le dita furono tutte contro lui. Venduto? Vigliacco? Pasticcione? Sfortunato? Lui diede la colpa della disfatta ad Alessandro Sforza, fratello della Tigre, Machiavelli alla struttura delle fortificazioni ormai obsoleta. Ci sarebbe stato comunque ben poco da fare se una piccola Rocca era sola contro la Francia e Roma. Tutto finì in quel 12 gennaio 1500, Caterina fu imprigionata e stessa sorte capitò a Giovanni. Per lui, tuttavia, venne pagato un riscatto e continuò a lavorare per Milano: morrà trent'anni dopo in Emilia assurto a nobiltà come Conte di Cavriago. All'indomani della caduta di Ravaldino erano volate contro Giovanni accuse di qualsiasi genere. L'unica a non rimproverarlo fu Caterina Sforza cui pare stesse più a cuore la vita dell'amante che la salvezza del suo Stato. 
 

Si parla di

La guardia del Paradiso

ForlìToday è in caricamento