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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

La lingua italiana nacque a Forlì

Va bene Dante, ma Cinonio? Come tutti i titoli è un po' un'esagerazione: però chi ricorda il gesuita forlivese “utile a tutti” Marco Antonio Mambelli e la sua opera?

Quest'anno si farà un gran parlare di Dante: quel ch'è giusto è giusto, lo si celebri nel suo anniversario sperando che si smetta il vezzo di riempire di inglesismi superflui il gergo contemporaneo da colonia americana. Vien da pensare, però, che un personaggio, assai forlivese pure nel nome, permarrà nel suo cono d'ombra, anche perché conosciuto solo da una manciata di specialisti. Si tratta di Marco Antonio Mambelli nato appunto a Forlì nel 1582 da una famiglia di Fiordinano, un borgo tra Meldola e Predappio.

La sua famiglia, con qualche quartino di nobiltà, era benestante e avviò ben presto il rampollo allo studio. “Un bravo ragazzo” avrebbero risposto i suoi conoscenti a un'intervista ante litteram, infatti Marco Antonio, tranquillo e studioso, appassionato di letteratura, entrò già nel 1606 nella Compagnia di Gesù, cioè nei Gesuiti, presso il collegio della sua città natale. Qui volle per sé il nome arcadico Cinonio (che vorrebbe dire “utile a tutti”) prendendo parte ai lavori culturali dell'Accademia dei Filergiti. Trasferitosi a Palermo, fin dal 1613 mise mano alle “Osservazioni della lingua italiana”, opera in due libri che pose le basi del primo studio grammaticale di un idioma allora non codificato. Aveva infatti preso sul serio la richiesta a lui rivolta da uno dei Superiori del suo ordine “di raccogliere in breve, quanto bastasse all'uso dello scrivere correttamente e regolarmente parlare nella nostra lingua”.

Di lui scrivendo il cronista Bonoli, non usa nemmeno il termine “italiano” riferito alla lingua, ma “toscano”, e questo “bello scrivere” sarebbe “di somma bellezza ed utilità” sebbene “a talun moderno saccentino non dia troppo nell'umore, forse perché fa lor vedere quell'aureo libro li tanti strafalcioni co' quali deturpano la bellissima nostra favella”. Insomma, l'Italiano nasce nonostante i “saccentini”, e anche oggi, nonostante “saccentini” anglofoni, pare sopravvivere. Dopo un decennio in Germania, tornò vicino a casa, a Ferrara, dove nel 1644, malaticcio, pubblicò “Delle osservationi della lingua italiana, dal Cinonio Accademico Filergita raccolte in gratia d'un predicator siciliano”, cioè la seconda parte della sua più nota tra le opere. Il suo intento sarebbe stato di comprendere la sua fatica grammaticale in un unico volume, cosa che non ebbe esito perché, il 24 ottobre 1644, morì improvvisamente. Il corpus più rilevante della sua opera sarebbe stato pubblicato poi nel 1685 a Forlì a cura dell'Accademia dei Filergiti e del vescovo Giandemaria con addenda di Alessandro Baldraccani. Il Cinonio si distinse anche in filosofia e nella nobile arte della retorica. 

Marco Antonio Mambelli, da letterato qual era, ha lasciato anche opere poetiche secondo il gusto del tempo. Tuttavia la sua fama deriva dalle “Osservazioni”, cioè il primo studio sistematico della grammatica italiana, si precisa “italiana”, e non “volgare” come fino ad allora si poteva definire, dando il via a un Risorgimento linguistico poi consolidato nell'Ottocento. Così raccolse da Dante, Petrarca e altri grandi padri esempi di articoli, pronomi, avverbi, preposizioni, congiunzioni, interiezioni, codificando altresì tempi e modi verbali. Il lavoro meticoloso e appassionato del gesuita forlivese ebbe grandi diffusione e successo nei secoli successivi tra gli eruditi i cui nomi, oggi come oggi, non dicono più nulla. Seguendo l'autorità dell'Alighieri, intuì la centralità della lingua italiana nel toscano fiorentino dunque fu forse il primo a “sciacquare i panni in Arno” come poi avrebbe fatto Manzoni.

Inoltre si sa che a un giovane marchigiano, Giacomo Leopardi, venne proposto di curare un rifacimento delle “Osservazioni” in quanto già aveva trattato alcuni stralci del Cinonio. Il poeta si arrese: nonostante la sua propensione per le “sudate carte”, sentì di avere davanti a sé un lavoro troppo complesso e non se ne fece nulla. Allo studioso, Forlì ha dedicato una piccola strada nel rione Schiavonia. Forse il Cinonio meriterebbe qualcosa in più? Soprattutto in quest'anno di celebrazioni dantesche ci si potrebbe pensare. Il forlivese Mambelli, infatti, fu “accuratissimo e savio grammatico” come lo ebbe a definire il filologo settecentesco Bottari e agli occhi dei posteri si sarebbe rivelato padre e maestro “di tutti i grammatici posteriori” e alle sue fatiche avrebbero attinto “tutte le loro grammatiche”.

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