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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

La paura veniva dal cielo

Nel marzo 1916 si guardava il cielo e si spegnevano le luci, non per romanticismo, ma per terrore. La minaccia dei bombardamenti.

Se marzo è da paura, si spera che aprile lo sia meno. Si può fare un salto indietro nel tempo e, messi come siamo messi, provare una sensazione simile a chi viveva nel medesimo mese del 1916. La paura era causata anche in quel caso da un nemico sconosciuto. Dunque, l'Italia era in guerra da circa un anno e una cosa che da queste parti non si era mai vista si rese probabile: il bombardamento aereo. Non rimaneva un'ipotesi remota, visto che la pratica fu sdoganata proprio in quelle settimane. Se la vera tragedia dei bombardamenti aerei si sperimenterà nel 1944, in quel 1916 si percepiva l'angoscia del nemico che sbucava improvvisamente dall'alto, coinvolgendo tutti in un fronte non più chiaro, non più definito, senza spazio né tempo. La guerra non era lontana, poteva improvvisamente fare ombra alla quotidianità forlivese dove già si era in pensiero per i figli al fronte. Il 19 marzo 1916, Filippo Guarini annota un nuovo manifesto del Prefetto, secondo il quale "è proibito assolutamente, durante il periodo d'allarme, il suono delle campane; ed è vietato ai cittadini sparare armi da fuoco". Misure simili erano già in vigore da febbraio, onde evitare brutte ripercussioni in seguito ad eventuali bombardamenti aerei austriaci, ma un mese dopo era necessaria una stretta, e ciò fu reso incontrovertibile da "due nuove disposizioni stampate in un foglietto verde". Vi si leggeva: "Si consiglia di aprire le finestre e chiudere le persiane".

Quella che adesso, mutuando da terminologia clinica, si chiamerebbe psicosi, si manifesta ben presto: "Neanche a farlo apposta, sulle 11.45 passa su Forlì uno dei nostri dirigibili, che si conosce benissimo dalla bandiera e dai contrassegni. La gente corre nelle vie e nelle piazze per vederlo; e sebbene non si dia naturalmente l'allarme, i più, ignoranti, domandano se è austriaco; ne avrebbero magari provate le bombe! La sera poi si dice che altri dei nostri aeroplani abbiano perlustrato il littorale, essendo corsa voce che oggi, onomastico dell'Imperatore d'Austria, il nemico volesse festeggiarlo coll'incursione dei suoi velivoli su Bologna". Il bombardamento aereo, come detto, era una novità storica: colpire anche i civili per fiaccare il loro sostegno ai soldati al fronte pareva una cosa che aveva sempre disgustato qualunque governante. La tecnologia dell'aereo, poi, era ancora rudimentale e, salvo primitivi esperimenti nella guerra italo-turca, nella prima guerra mondiale l'aereo era visto ancora come un cavallo d'aria, con gli eroi che si sfidavano nei cieli. Invece, più che altro, sarebbe toccato al dirigibile il compito di incombere minaccioso a scaricar bombe. Tuttavia si erano registrati proprio in quei mesi alcuni attacchi aerei su città italiane, come Milano e Monza, ma anche la vicina Ravenna, con decine di morti. Così, anche da queste parti, si puntava sulla prevenzione: come si riconosce un velivolo nemico? Si consigliava altresì di tenere botti d'acqua vicino ai tetti per estinguere subito incendi, e di spegnere le luci quando si fossero avvicinati dal cielo. 

Il problema, mutatis mutandis un po' come adesso, è che la preoccupazione (abbracciata alla limitazione di alcune libertà personali) era dettata anche dal "fino a quando?". Domanda cui nessuno sapeva dar risposta. E se ogni tanto si guardava in alto con timore, l'umore si avviliva pure per altri motivi. Il 30 marzo 1916, però, è la Segavecchia e anche a Forlì "si veggono ornate le botteghe dei fruttivendoli". Festa dimessa in quanto "stanotte sono giunti dei feriti: alle 9 ne giungono altri; fra tutti sono 287, dei quali molti gravi. Il numerosissimo reparto dell'11° Fanteria parte per Brisighella a fare un campo di esercitazioni. Si affigge un manifesto del Comitato di Preparazione Civile che chiede quattrini e lamenta che moltissimi, specialmente in campagna dal Maggio che si cominciò, non abbiano dato nulla. Le offerte sono in un periodo di languore, e la guerra si prolunga senza che se ne preveda la fine!". Altro "decreto luogotenziale" pubblicato il successivo 2 aprile "proibisce per tutta la durata della guerra le contrattazioni concernenti rottami o tornitura di ferro, acciaio, ghisa, rame, bronzo, ottone, piombo e alluminio, eccettuate quelle che si fanno direttamente col Ministero della Guerra". In parole povere: "Chiunque detiene tali rottami in quantità superiore a chilogrammi 500 pel ferro, acciajo, ghisa e bronzo, ciò a chilogrammi 50 pel rame, ottone, piombo ed alluminio, deve entro 15 giorni denunciarli ai RR. Carabinieri e tenerli a disposizione dell'Autorità Militare". Da lì in poi, per lunghissimi mesi, si replicheranno decreti simili, anche legati a un contingentamento alimentare; Forlì, piangendo morti, curando feriti e tirando la cinghia, tratterrà il fiato fino alla vittoria del 4 novembre 1918. 

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