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Mercoledì, 17 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Rivoluzione a Forlì

Una furibonda insurrezione popolare travolge Francesco III Ordelaffi: era il 3 settembre 1405.

Malato e odiato, tra la fine di agosto e l'inizio di settembre del 1405 per uno dei signori Ordelaffi tirava brutta aria. Francesco o Cecco III (da non confondere con un successore che certa storiografia chiama allo stesso modo mentre altri usano l'ordinale "quarto") salì al massimo scranno di Forlì dopo che un colpo apoplettico ebbe stroncato il suo predecessore, Pino II, tipo deciso, che si era sbarazzato di parenti scomodi in una delle consuete liti Ordelaffi contro Ordelaffi. Nonostante queste "sviste" (comunissime a quel tempo), si potrebbe dire che "dopo di lui, il diluvio". Gli annali del tempo lo ritraggono come "magnanimo nelle armi, forte e robusto, benigno, alto, alacre e liberale, pingue e grato al popolo ed ai suoi uomini". In poche parole: alla morte di Pino II andò di traverso a molti il fatto che lo scettro passasse al fratello Cecco, valoroso cavaliere in gioventù, livoroso Signore senza una particolare vocazione per il buon governo.

Una prima fronda di oppositori se la trovò in casa: la cognata (moglie del fratello Pino) Venanzia di Casteldurante e il vescovo, nientemeno che Scarpetta Ordelaffi, parente ingombrante e Signore mancato, in quanto primogenito illegittimo di Francesco II. La norma, infatti, prevedeva che il titolo di Signore fosse trasmissibile al primogenito maschio nato in costanza di matrimonio. Chi fosse nato da donne diverse dalla moglie, il figlio che fino a tempi recenti si sarebbe chiamato, appunto, illegittimo, non poteva pretendere nulla. Tuttavia Scarpetta era sostenuto dalla popolazione anche come Signore, ovviamente i titoli erano incompatibili e più che altro si pensava di restituire Forlì alla Santa Sede. Insomma, meglio Roma che il parente Francesco III. Venanzia appoggiava in pieno questo disegno e organizzò una sommossa nella quale il trentenne vescovo Scarpetta sarebbe diventato pure Signore. Ma si sa, a Forlì certe cose non possono funzionare, e una fazione sempre più rumorosa non voleva saperne di una "signoria di preti". Pur di non darla vinta ai guelfi, i forlivesi letteralmente trascinarono in piazza Cecco dimostrando un sostegno che avrebbe ben presto perso. Infatti, forse gonfiato dall'inaspettato successo, fece imprigionare il Vescovo parente nella Rocca di Ravaldino dove sarebbe ben presto morto. Un fatto che suscitò un'onda di disgusto nella gente comune di quel tempo, peraltro avvezza a nefandezze di ogni tipo. Sotto questa triste stella si aprì ufficialmente il governo di Francesco III detto Cecco II o III (come detto, nemmeno gli ordinali si danno pace, qui): nel marzo del 1403 il Papa conferì ufficialmente a lui e, dopo la di lui morte ai suoi figli legittimi, il titolo di Signore di Forlì. La condizione necessaria e sufficiente della legittimità della prole tornerà come un tormento anche per il terzo Francesco. Belloccio e a suo modo esteta (amante in particolare del vino), si era sposato con Caterina Gonzaga nel 1388 e fu festa in città per tre giorni. Da questo matrimonio, il 20 settembre 1389, nacque Lucrezia. Aveva, però, un altro figlio, e maschio: Antonio, illegittimo. In mancanza di figli "in regola", il Papa avrebbe fatto altre scelte, tenendosi per sè il territorio o trasferendone i titoli ad altre famiglie nobili. Cecco così si trovava davanti a un paio di questioni spinose: il figlio è illegittimo, la figlia era "in regola". A sua volta, Lucrezia Ordelaffi era andata in sposa ad Andrea Malatesta e questi brigava per avere voce in capitolo nell'eredità signorile, in particolare riguardo alle rocche. Cecco, invece, riuscì a ottenere dal Papa la dispensa, cioè un documento che rendeva Antonio suo possibile successore. Come ci si può immaginare figlio e cognato non si potevano vedere e Cecco risolse la magagna avvelenando la figlia e mandando in galera i sospettati complici di una probabile congiura.

Questa condotta scespiriana non piacque ai forlivesi che, ben lungi dalla proverbiale remissività che di fatto è solo recentissima tradizione, iniziarono a borbottare. Il malumore sfociò ben presto in furia cieca: Cecco era già poco amato, così distaccato, cinico e calcolatore benché nei primi tempi giusto, tanto che si approfittò di una sua infermità per far scoppiare una rivoluzione. Gli attori di questa pagina storica sono poi tre: gli Ordelaffi regnanti, il popolo forlivese, Santa Romana Chiesa che pur sempre teneva le chiavi in tasca. L'esito fu inimmaginabile: il Palazzo venne preso d'assalto, fu prelevato di forza dal letto Cecco malato e poi spinto per le scale. Rotolò giù davanti al popolo che lo scherniva ed esalò l'ultimo respiro. A questo punto il pallino era in mano agli insorti mentre il Papa stava a guardare. I forlivesi si trovarono a reggere per qualche mese un'autonomia statuale e a loro volta si divisero: chi voleva passare lo scettro ad Antonio Ordelaffi e chi desiderava tornare all'età dei liberi comuni. Si gridava "viva il popolo" con un misto di entusiasmo e di ingenuità. Fu così il tempo della Seconda Repubblica Forlivese, una parentesi per così dire romantica che lasciò il tempo che trovava. In un tale caos, Antonio Ordelaffi, diciassettenne, tenne per sé il potere per qualche giorno poi fu imprigionato. Ebbe la meglio Baldassarre Cossa, cardinale che governò Forlì dal 1406 al 1410 per conto della Santa Sede. In quel 1410 morto Alessandro V, il governatore di Forlì tentò di sedersi sul soglio di Pietro diventando a Bologna papa, rectius antipapa Giovanni XXIII. Forlì, lasciata senza capi, accoglierà Giorgio Ordelaffi che ne diventerà Signore. 

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