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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

La Società dei Liberi Tiratori

Le agitazioni del 1868 a Bologna e un gruppo di studenti forlivesi con grandi ambizioni e scarsi risultati

Anche e forse soprattutto in ambito locale, esiste un fenomeno che fa sì che uno (con o senza competenze specifiche) sia sempre presidente di qualcosa, talora par proprio che “presidenti” si nasca. Ecco, questa cosa all'ennesima potenza toccò al semidio del Risorgimento. Nella Forlì degli anni Sessanta dell'Ottocento, Giuseppe Garibaldi era presidente o, meglio “preside”, di qualsiasi sodalizio possibile, sempre ovviamente orientato alle idee del nizzardo. Chi sa se poi, l'eroe dei due mondi, venisse a conoscenza di tanti incarichi. Probabilmente mai non seppe di un tentativo dal nome suggestivo: la “Società dei Liberi Tiratori”. L'attività, vista con sospetto, finì nel fascicolo n.54 del 1868 della Regia Prefettura di Forlì. 

Qual era il problema? Siamo negli anni in cui nascono parecchie Società di Tiro a Segno e, così per dire, Giuseppe Garibaldi erano stato nominato “Presidente di tutti i Tiri a Segno” della Nazione appena nata, già nell'estate del 1861. La motivazione allora appariva chiara: l'eroe dei due mondi vedeva l'arte del maneggio della carabina come necessaria in quel periodo storico. Da Torino giunsero fondi alle Province  per promuovere le locali sezioni di Tiro a Segno. Lo scopo non era propriamente ludico, voleva essere una specie di “servizio militare di massa”: i giovani, a Unità d'Italia raggiunta, dovevano saper sparare, dovevano aver quei rudimenti tali da non far sfigurare i padri che di schioppi risorgimentali se ne intendevano bene. 

A Forlì, la prima vera e propria Società di Tiro a Segno venne costituita il 25 marzo 1884. Dopo un anno i soci erano 375, cui si aggiungevano 54 aspiranti distribuiti nei riparti: “scuole”, “milizia”, “libero”. Ora però, qui non si vuole dettagliare la storia – invero molto interessante - della più antica associazione sportiva esistente in città, la sezione forlivese del Tiro a Segno Nazionale, appunto, e del vasto poligono su viale Roma (l'immagine si riferisce a questa gloriosa realtà). S'intende, invece, qualcosa di altro genere, qualcosa che suscitava grattacapi alle autorità. 

L'anno '68 porta sconvolgimenti: nell'aprile del 1868, appunto, scoppiò il caos per una “tassa sulla ricchezza mobile” che farà chiudere le serrande a commercianti. Divampavano gli scioperi e addirittura venne chiusa l'Università di Bologna, sede di professori e studenti “attenzionati” dalla Polizia. No, non la si sta prendendo alla larga perché la storia dei “Liberi Tiratori” è tutta concentrata nel caldo aprile del 1868 e pone in connessione l'Università di Bologna con i mazziniani forlivesi; però, almeno qua, sarà un fuoco di paglia. Pare evidente che allora la gente si arrabbiava sul serio.

A Forlì, la locale Società Democratica o del Progresso (presieduta anch'essa da Garibaldi) era stata malgestita “dopo i furti e gli smanchi di cassa commessi dal vecchio Danesi, ora defunto, e dall'avv. Camillo Amadio” tanto che “la società stessa siasi quasi totalmente sciolta avvegnaché nessun socio paga la dovuta tangente e nessuno si presenta alle adunanze”. A questo punto è bello sentire la voce dell'Ottocento, lasciando, del fitto carteggio istituzionale, alcuni brani che sembrano ricamare un libretto di Verdi. Da tempo si pensava di “introdurre un'altra Società ossia di riorganizzare la vecchia con altri capi e sotto il titolo di Società dei Liberi Tiratori, il di cui programma ancora non si conosce quantunque già a ritenersi per certo tenda ad uno scopo mazziniano”. Così, nella sera del 17 aprile 1868, alcuni studenti forlivesi domiciliati a Bologna, tornarono a Forlì per sondare il terreno dell'insurrezione in questa città. “Il noto avvocato Alessandro Fortis parrebbe uno dei promotori ed il caporione di questa compagnia, ed anzi per dargli una attenzione e credito maggiore avrebbe pregato di fare propaganda anche nella classe di ben pensanti e dei moderati”. Infatti, “tentò di fare una piccola adunanza per prepare l'elemento necessario per fondare questa società, ed estese l'invito ad onesti cittadini che poi non si presentarono”. Pertanto “si unirono quindi nel solito locale della Società Democratica il Fortis agli studenti Pasqui, Panciatichi, Gaudenzi, Rossi Nino e l'avv. Amadio ed altri che in tutto non erano che dieci o dodici”. Fortis, a quel tempo, era praticante del Deputato forlivese e avvocato Oreste Regnoli, professore a Bologna. 

Per la Prefettura si tratta di “scompaginati elementi della democrazia forlivese” che “si raccolsero per veder modo di ripigliare la mala vita già vissuta”. E questi “obbedivano evidentemente ai cenni dell'audace conventicola bolognese, la ormeggiavano anco pel vincolo che unisce e subordina al maestro; e maestri infatti erano Ceneri, Filopanti, ed altri con loro, i quali li sfruttavano per loro fini personali, pei loro prepotenti spiriti demagogici, per cavarne l'apparenza d'un seguito numeroso fra le Romagne”. Tutto torna, perché i “maestri” citati, cioè quei professori universitari, erano stati arrestati, e tra i più caldi insorti contro questa censura ci “furono questi giovani che ho ricordato avanti” perché “dettarono le proteste, tennero balia (e il Pasqui qual presidente) in quelle accozzaglie di gioventù scapestrata che pretendeva imporsi a tutto e a tutti” e  “con intimidazioni sopraffecero i pochi giovani rimasti fedeli al dovere” fino a compiere “atti deprecabili, attentati verso la Legge, le discipline interne, le convenienze pubbliche tutte”. 

Però, tanto tuonò che... non piovve: “Non ottennero accordo fra di loro, per pochi che fossero; sicché si sciolsero senza avere niente assodato, ripigliando il Pasqui la via di Bologna” dove arriverà alle 20.10 (era partito in treno da Forlì alle 17.30, giusto per capire la velocità di allora). In particolare viene seguito tale “noto giovane Tito Pasqui” giacché “la sua gita avrà un qualche scopo sinistro” per esempio “intrigare presso gli studenti onde impedire che si riapra l'Università”. In effetti era stato lui “uno dei principali agitatori per far chiudere l'Università stessa, già Preside nelle adunanze che si tennero dagli studenti ed affigliato ai Ceneri, Filopanti, Caldesi ed altri”. 

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