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Martedì, 16 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Le fonderie perdute

Le Officine Forlanini di Forlì si estendevano per tre ettari tra la ferrovia e il centro storico. Dell'importante complesso industriale, cosa rimane?

Viale Vittorio Veneto è profondamente cambiato negli ultimi vent'anni. Fino a qualche tempo fa si percorreva una larga strada (come oggi), costeggiata in un lato da una doppia fila di pini marittimi non eccessivamente alti, sotto alla quale, in alcune occasioni, si è tenuto anche il mercatino di Natale. Dal lato opposto, da metà in avanti, un muro di edifici apparentemente monotono, spezzato da qualche cancello dove campeggiava la scritta sbiadita "Bartoletti". Una barriera di mattoni misteriosa, ferma, sospesa nel tempo. Nel 2000 si pensò di rimuovere quest'avanzo di glorioso passato. Fu sostituito da edifici moderni che rendono l'area sicuramente più aperta e ariosa, ma hanno snaturato un'identità legata al lavoro e alla storia industriale della città. Unico riferimento: i mattoni a vista. E la palazzina, singolare relitto di un primo Novecento con grandi aspettative, caratteristica per quel tetto "dalle molte punte", lasciata lì come un'anziana aristocratica vicina di casa piena di contegno invero un po' spaesata. All'interno della già sede industriale sono sorte anche due strade (via Ciani e via Olivucci); nomi di persone che non hanno alcun relazione con le vicende legate all'unico importante stabilimento metallurgico tra Bologna e Ancona. Così, infatti, era definito nella Guida del Casadei (1928) e oggi, nemmeno un secolo dopo, tutto è perduto. Almeno non si perda la storia. Un ampio locale, occupante una parte del nuovo fabbricato, ebbe la grazia di ricordare, almeno nel nome, "Le Fonderie". Chiuso quello, neppure un'insegna fa immaginare cosa ci fosse. 

Negli anni Venti vi lavoravano anche 400 persone. Lo stabilimento, a quel tempo, vantava una forza motrice di duecento cavalli vapore che aziona l'officina meccanica e l'officina calderai; parte della forza, invece, era trasformata in energia elettrica per accendere il macchinario delle fonderie. Dietro quei mattoni si celava un lavoro duro: orario continuato quando c'era la fusione, preceduta dalla fatica di sistemare la fossa profonda oltre quattro metri. Operai anneriti dal fumo e di terriccio lavoravano ininterrottamente nella grande fabbrica. Era una palestra per uomini che spesso, in quanto capaci di azionare caldaie a vapore, erano arruolati in marina benché fossero, nella maggioranza dei casi, esonerati dal servizio militare proprio per le importanti commesse assicurate dall'Arma nautica. Era chiara la suddivisione nei reparti: officina meccanica, officina calderai, fabbri e fucinatori, fonderia di tubi di ghisa fusi verticalmente (una specialità forlivese) e fonderia di getti diversi in ghisa e in bronzo. C'erano anche i modellisti che fornivano il loro lavoro per saracinesche idrauliche, verricelli per navi e molto altro. Da tale industria uscirono anche trebbiatrici per la montagna, materiale ferroviario, verricelli a vapore per il sollevamento delle ancore, cisterne e caldaie. Un patrimonio di conoscenze e lavoro di meccanica che non può essere taciuto o dimenticato. Davanti, dov'è ora il mercato ortofrutticolo, si trovava la discarica dell'industria: tra i cumuli di cenere si potevano vedere bambini cercare avanzi di carbone. Un ramo della ferrovia serviva la Forlanini con dei binari di cui, fino a una trentina di anni fa, erano chiare le tracce lungo viale Vittorio Veneto. 

Un segno dell'intensa operosità si legge dal marzo 2017; con un'acuta operazione filologica, da allora la rotonda "San Pietro" (in corrispondenza della barriera alla fine di corso Mazzini) è caratterizzata da due parti meccaniche di un antico tornio per lavorazione delle flange. Un allestimento, dunque, che riporta la Forlanini (la "ruotona" ottocentesca e gli altri elementi ferrosi vengono da lì) al centro dell'attenzione e del traffico urbano. Altre parti, semmai ce ne fossero, meriterebbero un'esposizione museale dedicata alla storia industriale della città. Storia che, per quanto riguarda la Forlanini ebbe inizio nel 1863, quando sorse la Società Anonima d'industria pel gas e fonderia di ferro a ridosso della ferrovia (inaugurata due anni prima) su quello che ora si chiama viale Vittorio Veneto. Con essa, il Comune voleva dare impulso all'industria forlivese. C'erano ancora le mura con il fossato colmo delle scorie della fusione. Ceduta alla Cassa dei Risparmi di Forlì dal 1895 come Società Anonima Forlivese per l'illuminazione a gaz per la fonderia di ferro, sarà diretta dall'ingegnere milanese Enrico Forlanini, noto anche per aver progettato e costruito diversi dirigibili. Così, già nel 1897, diventarono Officine Forlanini, nome che da allora permane indelebile. Qui, l'ingegnere nato nel 1848 pose in essere le sue conoscenze scientifiche, introducendo macchinari innovativi e realizzando persino un generatore di acetilene, gas usato per le lampade e per gli apparecchi di saldatura ma anche per la pubblica illuminazione. La Forlanini, infatti gestiva pure la fornitura del gas per i primi lampioni forlivesi. Non mancarono, certo, gravi infortuni sul lavoro. Si può citare il caso - mortale - di Ciro Bolognesi che, a cinquantatré anni nel 1900, fu colpito a più riprese dal bilancere di una gru. 

Forlanini morrà il 9 ottobre 1930. Seguirono anni difficili per il razionamento dei materiali ferrosi in vista della guerra. I nuovi proprietari: Guido, Francesco ed Anna Maria Forlanini, di lui figli, il 28 maggio 1942 dichiararono la cessazione della società. La grande industria sarà in seguito (dal 1958) acquisita dalla Bartoletti Spa, altro importante opificio forlivese. Le fonderie continuano a lavorare ma al servizio della ditta forlivese nota per produrre rimorchi per autocarri. Negli anni Settanta, piombò il silenzio della chiusura. I 30 mila metri quadrati di cui un terzo al coperto saranno rasi alla fine del Ventesimo secolo.

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