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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Le ossa di Caterina Sforza? Un mistero

La Tigre di Forlì e l'enigma della sua sepoltura. Esiliata, non riuscì a tornare in Romagna nemmeno da morta. Forse nell'Ottocento fece un ultimo saluto prima di svanire per sempre.

Nel 1835 giunse a Forlì una misteriosa cassa di legno: conteneva delle ossa e le istituzioni vollero vederci chiaro. Il mittente era un pittore fiorentino. Per poco meno di dieci anni rimasero in città, scortate dall'attenzione del Gonfaloniere e delle magistrature urbane. Di chi erano i resti dell'urna? Il mittente aveva dichiarato: Caterina Sforza. 

Prima di svelare i contorni di questa strana vicenda, occorre ricordare che la Tigre di Forlì morì ad appena 46 anni a Firenze nel maggio del 1509. Una vita vissuta all'acceleratore: dal momento che in seguito al violento matrimonio precoce con Girolamo Riario, si trovò a reggere le sorti della città dopo Pino III Ordelaffi, dal 1480 al 1500. Prima da giovanissima moglie, poi da madre, rappresentò il governo come una forte arzdora del suo piccolo Stato comprendente Forlì, Imola e dintorni. Intercapedine tra il medioevo degli Ordelaffi e l'età moderna, dovette rassegnarsi a vivere gli ultimi anni della sua vita intensa in esilio, ormai ogni carta era giocata e il Papa pigliatutto aveva vinto: la Romagna sarà stabilmente pontificia per secoli. Finirà così l'equilibrio (si fa per dire) all'italiana: Venezia, Milano, Firenze. Forlì era contesa un po' da tutti. Venezia era vicina agli Ordelaffi, Milano aveva fatto maritare da queste parti la giovane Sforza che poi si coniugherà con un fiorentino dando origine ai granduchi medicei. Con Giulio II, il Papa guerriero, si risolverà l'equivoco: la Romagna recherà le chiavi di San Pietro. 

Anno cruciale è il 1500: il 12 gennaio cade la Rocca di Ravaldino di Caterina Sforza, ormai ultima enclave a non rassegnarsi ai Borgia tanto da meritarsi l'appellativo di figlia della perdizione per la sua ostinata difesa. In quel giorno, però, i francesi entrano nelle mura. Caterina continua a resistere combattendo in prima persona con le armi in mano, fino a quando si arrende. Ravaldino era caduta, forse per un tradimento. La Tigre di Forlì si dichiara prigioniera dei francesi. Nell'immagine il mastio della Rocca forlivese dall'interno, di sera: se ci fosse una luce interna accesa si potrebbe vagheggiare la presenza di Caterina, ben più attaccata lei (forlivese d'adozione) che i forlivesi stessi (specialmente i contemporanei) alla cittadella fortilizia che ora contiene le carceri e poco altro. Dispiace che sia una "città proibita" e, chiusa in se stessa in un pudore antico, la Rocca - anziché ospitare, per esempio, l'Armeria Albicini o farne un percorso turistico - rimane segreta e visitabile solo a pochi. Nell'estate del 2009 furono inaugurati i camminamenti di ronda (era possibile camminare su una parte di essi e visitare dall'interno uno quattro torrioni circolari): terminati gli entusiasmi per l'anniversario cateriniano (la Contessa defunse nel 1509) ora anche questa bella iniziativa pare lettera morta. Il complesso difensivo necessita di urgenti restauri e una dignitosa opera di recupero, non solo sporadico o destinato a manifestazioni saltuarie. Lì si svolsero episodi dell'epica urbana, ed è tempo che la città se ne riappropri. Prima che i capperi e l'umidità sgretolino anche questa memoria. 

Tra il 1500 e il 1504 muore la Forlì medievale. Si succedono tre Papi: Alessandro VI (1492-1503) che già aveva immaginato un Ducato di Romagna guidato da suo figlio Cesare, il Duca Valentino. Per un mesetto governò Pio III (incoronato da Raffaele Riario, parente del primo marito di Caterina Sforza). Poi fu il turno di Giulio II (1503-1513), definitivo per "mettere ordine" qua. In questi anni, Caterina, vinta dai Borgia, fu portata dapprima a Roma dove viene incarcerata a Castel Sant'Angelo. Per giustificare la sua prigionia, il pontefice la accusa (forse falsamente) di avere tentato di avvelenarlo con delle lettere spedite in risposta alla bolla pontificia con la quale la Contessa era stata deposta dal suo feudo. Fu carcerata fino al 30 giugno 1501 quando venne liberata su iniziativa (incredibilmente) francese e, in particolare, di Yves d'Allègre, giunto a Roma con l'obiettivo di conquistare il Regno di Napoli con l'esercito di Luigi XII. Tuttavia, Caterina sarà obbligata da Alessandro VI a firmare la definitiva rinuncia ai suoi Stati. Soggiornò nella residenza del cardinale Raffaele Riario e, ritiratasi in Toscana, visse dapprima a Livorno, quindi a Firenze. Pur a distanza, Caterina continuò ad avere nel cuore Forlì: mantenne legami in particolare con le monache di Santa Maria della Ripa, dimostrando a quarant'anni un radicato senso religioso. Seppur caduta in disgrazia, fece di tutto per proteggere e aiutare gli abitanti di Forlì. Ahi, i forlivesi, sono sempre gli stessi. Quando la Tigre ormai doma, nel 1503, tenterà di riprendersi il suo Stato, i mercuriali le volteranno le spalle. Così torneranno in via effimera e fuori dal tempo gli ultimi rampolli Ordelaffi e nel giro di un anno la Romagna sarà parte dello Stato Pontificio fino al 1860. Gli ultimi momenti fiorentini non saranno felici per Caterina: lamenterà ristrettezze economiche e maltrattamenti nei suoi confronti. Una grave polmonite la stroncherà alla fine del maggio del 1509. 

Viene sepolta nel convento delle Murate a Firenze, davanti all'altar maggiore. Senza lapide, senza fronzoli. Suo nipote, Cosimo I de' Medici primo Granduca di Toscana, in seguito farà apporre una pietra dove si esplicita la sepoltura della Comitissa et Domina Imolae Forolivii. Nel 1835 il convento venne trasformato in prigione statale, cosa che comportò lavori di non poco conto. Fu rimossa una tomba dalla lapide rovesciata. Non si sa chi manomise l'iscrizione voluta da Cosimo ma è altamente improbabile che non si trattasse della tomba di Caterina Sforza. Il capomastro raccolse le ossa per consegnarle al pittore Carlo Ernesto Liverati. Per intermediazione dell'abate Melchiorre Missirini, forlivese, Liverati inviò le ossa a Forlì. Ancora una volta i forlivesi, tanto per cambiare, consacrarono l'adagio nemo propheta in Patria e, diffidenti, iniziarono a muovere centomila sospetti. Le più alte magistrature chiesero perizie e documenti di autencità. Liverati fornì le credenziali firmate dallo scultore Pampaloni e dell'architetto Giraldi che descrivevano nei particolari la scoperta dei resti mortali della Signora. L'amministrazione locale di allora continuò a non fidarsi e rispedì al mittente le ossa nell'agosto del 1844. Liverati morrà pochi mesi dopo, senza eredi, e delle ossa non si saprà più nulla. Così Forlì e i forlivesi persero l'ennesima occasione per accogliere la rinascimentale Caterina, donna dalle fattezze botticelliane, sintesi di grazia e ferocia, di audacia e sofferenza. Donna complessa, enigmatica, con un temperamento che gli ha affibbiato il nome di “Tigre di Forlì”. Capo di Stato che, tra innumerevoli premure derivanti dall'assedio perpetuo di Stati ben più forti, trovava il tempo di elaborare ricette e cure di bellezza. Spietata coi nemici, volle bene ai forlivesi: amore non ricambiato nel momento del bisogno, nemmeno tre secoli dopo la sua morte. Visto che sono in progetto delle rotonde nei pressi della Rocca di Ravaldino, sarebbe un gesto di amore per il decoro urbano e della storia inserirvi delle statue dedicate a Caterina Sforza e a Giovanni dalle Bande Nere. Sarà una fissazione di chi scrive, ma le figure citate sono glorie cittadine che meritano molto di più del nome di una strada. E - repetita iuvant - la Rocca va restaurata con sollecitudine. 

Unica consolazione: è assai probabile che - se i forlivesi fossero stati più accorti - la Contessa sarebbe stata sepolta nella sua cara San Biagio. Quindi sarebbe andata in polvere comunque per sempre. Rimane un paradosso della storia: i Re di Francia, che da sempre avevano avuto un rapporto conflittuale con Forlì (almeno dal sanguinoso mucchio in poi), da allora discenderanno da Caterina Sforza. Inoltre, il figlio prediletto Giovanni dalle Bande Nere si sarebbe dovuto chiamare Ludovico, cioè Luigi. I Re francesi che vengono subito alla mente portano quel nome. Maria de' Medici, trisnipote della Contessa, sposerà il Re di Francia Enrico IV: sicché i ben più famosi Luigi, tra cui il Re Sole, hanno avuto in parte il sangue della Tigre di Forlì

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