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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Lunga vita al viale della Libertà

Con l'entrata in funzione della nuova stazione ferroviaria (1927), il piano regolatore aveva previsto una strada ariosa e solenne. Oggi, tra luci e ombre, cosa resta del viale della Libertà?

Il viale della Libertà ha novant'anni. Uno spettacolo di architettura, un museo a cielo aperto, queste erano le intenzioni quando fu varato ufficialmente nella primavera del 1930. Lungo i lati del viale e nei pressi della Stazione dovranno sorgere nuovi ed eleganti edifici che daranno un’impronta di modernità al nostro paese scriveva Ettore Casadei nel 1928, tra le pagine della sua celebre Guida. In effetti, il viale allora dedicato a Mussolini esisteva già, benché apparisse come boulevard nel deserto; era stato inaugurato assieme alla nuova stazione ferroviaria alla presenza del ministro Luigi Federzoni il 30 ottobre 1927. Solo tre anni dopo fu collaudato, quando i cantieri della solerte ditta Benini tiravano su palazzoni avveniristici.

Coi suoi 650 metri di lunghezza e 40 di larghezza risultava ideale per marce e sfilate marziali, mentre nel dopoguerra divenne un luogo quasi frivolo, di appuntamenti e passeggiate sotto i lecci scuri. Mussolini aveva pensato anche a un prolungamento del viale oltre il piazzale della Vittoria: progetto che rimase sulla carta. Lo speculare viale Kennedy, benché di tutt'altra epoca, conserva la traccia del viale incompiuto. I lavori del nuovo “foro” della Piccola Roma si arrestarono col protrarsi della guerra, per sempre: sicché di là dalla colonna persistono i Giardini pubblici che avrebbero dovuto lasciare il posto a edifici grandiosi. Il viale, destinato a collegamento della città con la nuova stazione ferroviaria, fu progettato da Luigi Donzelli e Pietro Marconi e approvato definitivamente dalla Giunta nel '26: una carreggiata centrale, due vialetti pedonali alberati, due carreggiate laterali e due ulteriori marciapiedi. Il progetto precedente fu scartato perché non sembrava abbastanza importante: l’intenzione del Comune era fare le cose in grande, anche nelle piccole cose. Infatti, fu accuratissima la scelta dei materiali coi cordoli e le panchine in granito, la pavimentazione in asfalto colato e le cunette in cubetti di porfido. Minuzie che all’occhio di oggi o non si vedono, o sono scomparse, o sono abbruttite da annosa trascuratezza.

Il viale, già dedicato a Mussolini, nel 1935 venne denominato “XXVIII ottobre” e dal 1945 è "della Libertà". L'illuminazione originale presentava eleganti pali in ghisa a “pastorale”. Fra il 1930 e il 1933 sorsero la scuola elementare Rosa Maltoni Mussolini (ora intitolata a Edmondo De Amicis), le Case Incis, le Case Economiche per i Postelegrafonici, le Case Economiche per i Ferrovieri e il Villino Boni. Negli stessi anni vennero definiti anche l’inizio e la fine della nuova arteria cittadina: in piazzale della Vittoria il monumento ai caduti della prima guerra mondiale (1931) e la fontana artistica collocata davanti alla stazione ferroviaria, ad opera di Cesare Bazzani (1935). Nel frattempo, si lavorava per finire entro il 1941 i mastodontici complessi educativi della Casa del Balilla poi della Gioventù italiana del Littorio (Gil), il Collegio aeronautico e l’Istituto tecnico industriale.

Negli anni della ricostruzione, oltre al recupero dei danni della guerra, seguì una ripresa dei lavori e sorsero nuovi edifici ben inseriti nel contesto. Il viale ebbe un secondo periodo di splendore negli anni ’60, quando i lecci maturi offrivano una sorta di porticato naturale, meta ideale per camminate ed effusioni amorose. Così parve necessario un nuovo impianto di illuminazione, basso, sotto le fronde, con buona pace della filologia architettonica. Poi le gelate che pelarono gli alberi, discutibili interventi moderni e la larga arteria si è lasciata andare. 

Dopo decenni di incuria e in seguito a un lungo restauro (durato suppergiù otto anni) è stato riaperto al pubblico il palazzo della Gioventù italiana del littorio, la "casa stadio" nota come ex Gil. In questi giorni ospita un'esposizione storica, fotografica e documentaria organizzata in occasione del novantesimo anniversario dell’entrata in funzione della stazione ferroviaria di Forlì. Il grande contenitore per lungo tempo ha ospitato (e ospita) le palestre gestite dalla Polisportiva Edera e il fu cinema Odeon (1949-2007), ringiovanito con l'aggiunta del nome Digital e di portentose amplificazioni audio. A nulla valse una petizione per salvare la storica sala che spense le luci. Dieci anni fa, appunto, si diceva che l'ex Gil avrebbe accolto il Museo Nazionale della Ginnastica. Difficile capire, ora, quale destino avrà tale progetto. Scoppiò la polemica della scritta del Giuramento del Balilla impressa sulla parte sommitale della torre alta 30 metri. Benché non fosse cogenita con la struttura (inizialmente vi erano tre fasci che slanciavano meglio la verticalità), si decise di preservare ciò che la storia aveva salvato. Le lettere "in negativo" sono leggibili e non sono state nascoste come qualcuno desiderava. Se finalmente il complesso (un modello per l'Italia intera come connubio architettonico per sport e cultura) è rinato, c'è da dire che l'intonaco originale è stato sostituito con un rosso più acceso mentre iniziano già a comparire, nella base di (ancora) bianco travertino, la traccia dei soliti imbrattamuri. Per lungo tempo, l'abside della struttura è stata avvolta da rampicanti mentre la torre ha avuto il buon gusto di non crollare

Il resto del viale, nonostante anni di buone intenzioni, rimane con aiuole spoglie (si ricorda un'ultima fiorita di esse nel 1986, visita di San Giovanni Paolo II), lecci decimati in molti tratti, lampioni originali rimossi (ora fanno bella mostra di sé in un'altra città) o ridotti a moncherini su cui s'innestano pali incongruenti. Un palazzo da cartolina o da rivista come quello dell'Istituto tecnico industriale, nella facciata e nei fianchi è rimasto privo qua e là di mattoni decorativi in seguito a lavori di qualche anno fa, sperando che le lacune siano colmate al più presto. Eppure questa parte di Forlì era nata con uno spirito di eleganza, di solennità e di orgoglio. Una raccolta fondi per ridare decoro a ciò che un tempo era voluto razionalista, è così lontana dalla realtà? Davanti alla stazione, fino agli ultimi bombardamenti, resisteva la fontana di Bazzani, mai più ripristinata benché sia sopravvissuta la vasca, poi tolta. Ora campeggiano i totem delle mostre ai Musei San Domenico. Stupore e molti interrogativi, tra l'altro, sono suscitati nel momento in cui, entrati nella bellissima (si può usare il superlativo assoluto) stazione ferroviaria e, con tutta la sua pomposità, ci si rende conto che ci sono solo due binari. Nessun collegamento per il mare, nessuna direzione verso l'Appennino. E non si è mantenuto il numero 1 per il primo binario, ora in disuso, mentre si è spostato tutto oltre, sul salvagente che un tempo era riservato ai "2" e "3". In altre città, come Bologna, si contano anche i binari non più in uso o per solo transito e si riprende la numerazione progressiva. Un sottopassaggio che funga da ingresso della stazione sulla via Pandolfa, inoltre, sarebbe utile per decongestionare il traffico. Nonostante le ombre, la prospettiva tra i due fuochi, estremi del viale, suscita emozione e, con le luci notturne, conserva fascino. Così, nonostante le vessazioni del tempo, viale della Libertà o della Stazione che dir si voglia rimane bello, ma dev'essere "adottato" dai cittadini per ridare lustro a particolari che a un turista balzano all'occhio.  

Uno squarcio di novità è rappresentato dal perimetro firmato dalla Società Ettore Benini, la ditta forlivese che diresse i cantieri del Cittadone nel Ventennio, poi confine dell’industria degli Orsi Mangelli. Il manufatto anni Venti, fino a un decennio fa era velato da pertinace vite americana e ingrigito dal tempo, in un suo tratto nascondeva una remota insegna pubblicitaria dell’Albergo Moderno già situato in viale Roma. Ora è luminoso e se ne apprezza la bellezza: peccato che si sia voluto lasciarne in piedi solo alcuni tronconi i cui fornici lasciano trasparire una nuova quinta urbana. Come dispiace aver assistito all’abbattimento della parte superiore della ciminiera dello stabilimento Orsi Mangelli, intervento probabilmente ineluttabile, che ha reso lo slanciato manufatto una specie di sigaro surreale all’ombra del quale, d’inverno, era prassi pattinare sul ghiaccio. 

Viene in mente Fellini quando si osserva, tra l'erba alta della zona detta dei Portici, la "più grande ruota panoramica semi-movibile" alta 40 metri con 21 gondole per 130 persone illuminarsi con 250 mila evoluzioni di colori grazie ai 15 mila punti luce. Grandi numeri che probabilmente non hanno sufficientemente colmato il distacco dei forlivesi nei confronti dell'area. Vi sarebbe stato bello creare una terrazza pubblica o una montagnola per guardare Forlì. Il Belvedere Forlion, così si sarebbe potuto chiamare, in riferimento a ciò che industrialmente qui si produceva. Si è preferito infilare una serie di palazzine ben squadrate e neorazionaliste, disposte in una prospettiva metafisica che crea un certo straniamento: rassicurano le torri del centro che occhieggiano di tanto in tanto.

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