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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Montepoggiolo e il museo invisibile

Al San Domenico la mostra dedicata a Ulisse. In questi mesi di riscoperta dell'antico, qualcuno penserà a riaprire il Museo Archeologico di Forlì?

Montepoggiolo è la rocca che sorveglia l'ingresso del fiume Montone in pianura. Si erge su una curiosa cupola chiamata monte Falcone, nome tonitruante per un rilievo che passa di poco i duecento metri sopra il livello del mare e che funge da confine tra i Comuni di Forlì e Castrocaro. Un tempo il colle era bagnato dal mare e sa stupire perché nasconde reperti antichissimi, paleolitici. La rocca, a dieci chilometri da piazza Saffi, è più che millenaria, forse nacque come torre per proteggere l'estrema propaggine toscana. I primi documenti storici che la citano, seppur indirettamente, risalgono all'anno 906. Poi avvenne che fu presa dai forlivesi, dagli Ordelaffi e dagli Orgogliosi, e poi viceversa. Nei lunghi anni dell'alto Medioevo fu contesa tra Faenza, Forlì e la Toscana: quest'ultima la spuntò, in definitiva. Uscì dalla Romagna nel 1382, quando il signore Francesco Paulucci de Calboli la vendette a Firenze e così rimase alla Toscana, facendo parte della Provincia gigliata fino al 1923. Furono proprio i Medici a renderla vera e propria rocca tra il 1482 e il 1490, negli anni in cui nella prossima Forlì stava accentrando il potere la sempre più forte Caterina. Il progetto di Giuliano da Maiano, risalente a un decennio prima, risulta di gusto antico e possente, era un presidio di confine, del resto: e in Romagna le lotte medievali non si arrestarono certo con l'avvento del Rinascimento. Castrocaro e Montepoggiolo erano l'avamposto toscano per la segreta ambizione di Firenze di arrivare al mare Adriatico. Da quelle tozze torri si scruta la pianura della Romagna, da Faenza a Ravenna: nessun esercito sarebbe passato inosservato. Non serviva, infatti, solo per difesa, ma anche per un'offesa che mai ebbe luogo. Con l'edificazione di Terra del Sole nel 1564, la fortezza cadde in obsolescenza e fu ridotta a vedetta. Un secolo dopo, un violento terremoto mise la parola fine alla sua rinascita, ormai fuori dal tempo. A che o a chi serviva più, del resto? Inutile orpello medievale, nel 1772 fu definitivamente disarmata dal Granduca Pietro Leopoldo I°, quindi il complesso fu acquistato da privati.

Il fortilizio in mattoni ha una pianta quadrilatera e impressiona per la pesantezza della struttura che pare schiacciata, compressa anche dal tempo e dall'incuria che, malgrado i numerosi appelli, la stanno sta facendo scomparire. Qualche intervento c'è stato, ma la rocca è transennata e irraggiungibile; inoltre dà l'idea di avere gli anni contati, di essere fragile pur nella sua spessa robustezza. Il torrione cilindrico è ben nitido dalla pianura e dal treno si vede quando si è a metà strada tra Faenza e Forlì, dopo l'altra torre di Oriolo dei Fichi. Così i pendolari hanno un punto di riferimento antico. Però la silenziosa macchina da guerra sulla cupola del monte Falcone si sta sgretolando fino a quando sarà un tutt'uno con l'altura. Questo il suo destino se nessuno interviene. Anche tale edificio avrà i suoi fantasmi, avrà i suoi passaggi segreti (una galleria misteriosa la congiungerebbe a Forlì, alla Rocca di Ravaldino di Caterina Sforza), avrà le sue storie come i tanti fortilizi che punteggiano la Romagna. Ma in più ha la presenza, poco più in là, di una straordinaria fabbrica paleolitica. 

In località Ca' Belvedere sul versante forlivese, dal 1983, sono stati trovati migliaia di reperti e manufatti in pietra risalenti a oltre ottocentomila anni fa. Ottocentomila anni fa: uno spostamento nel tempo inimmaginabile. Allora era qui la spiaggia, la riviera, e i primi romagnoli (solo erecti, non ancora sapientes) avevano impiantato una vera e propria industria litica restituita alla storia in tempi relativamente recenti. Un luogo eccezionale, anche questo lungi da una valorizzazione adeguata. I reperti sono conservati nel Museo Civico Archeologico di Forlì, chiuso da tempo al pubblico nella sua sede storica di Palazzo del Merenda. Secondo le intenzioni, si sarebbe dovuto riallestire nei sotterranei del San Domenico: qualcosa evidentemente è andato storto e i più giovani che hanno visto le preziose collezioni del mondo preistorico e antico hanno superato i quarant'anni. Francamente, è una lacuna incomprensibile e da sanare quanto prima. Soprattutto quest'anno; dopo l'inaugurazione della grande mostra dedicata a Ulisse si presume che qualcuno possa ricordarsi di uno dei Musei esistenti ma invisibili: l'archeologico di Forlì, appunto. Nel 1996, il capoluogo romagnolo fu sede del prestigioso Congresso Mondiale dell'Unione Internazionale di Scienze Preistoriche e Protostoriche: sembrava tangibile, allora, riscoprire, anche attraverso la fattiva valorizzazione della strepitosa fabbrica di Montepoggiolo, le antiche origini della Romagna, quando il suo territorio era ben diverso da quello odierno, quando nessuna delle città c'era. Contestualmente, e per qualche anno, si teneva la Rassegna del Cinema Archeologico negli spazi della Camera di Commercio. Oggi non si respira più quel fervore per i tanti ciottoli scheggiati: eppure le principali tra le testimonianze più antiche della presenza dell'uomo in Europa sono proprio in questa località. Giacimenti simili sono in Spagna, ad Atapuerca, dove è stato realizzato un interessante e modernissimo parco tematico, e in Francia, a Vallonet. Recenti scoperte hanno individuato altri reperti interessanti a San Lazzaro di Savena, sempre lungo la linea pedemontana che a quei tempi era costa. 
E chissà ancora cosa si nasconde sotto terra. Resta solo da sapere come si può fare per salvaguardare le radici antichissime della Romagna che qui hanno lasciato testimonianze assai importanti, non solo dal punto di vista locale. Nel frattempo, il torrione cilindrico di Montepoggiolo attende che si torni a parlare di lui e che si trovino fondi per preservare la rocca. 

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