rotate-mobile
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Musei: un "quadro" storico

La città e i musei civici: un bilancio molto semplificato di un rapporto non sempre sereno, tra bellezza e porte chiuse, dal 1838 a oggi.

Forlì dispone di una dote artistica di tutto rispetto. Che poi non sia sufficientemente conosciuta o segnalata come meta turistica è un altro discorso. Per riportarla alla mente, anche ai forlivesi stessi, spesso distratti, occorre fissare nella memoria alcune date.

Il primo anno è il 1722: l'architetto Giuseppe Merenda concepisce, lungo la “Strada Petrosa” (corso della Repubblica) un grande edificio, tra i primi in Romagna, destinato ad essere ospedale. È ora noto col nome di “Palazzo del Merenda” e tutti ricorderanno lo scalone che, se un tempo conduceva a cure e preoccupazioni, dal Novecento è un vero e proprio simbolo: si esce dal rumore urbano per salire, nel silenzio, in una dimensione ovattata, la città della cultura. Un confine necessario che fino a qualche anno fa era sempre aperto e comunicava così con il corso, accogliendo chi volesse guardare opere d'arte o recarsi in biblioteca. Da anni la porta è chiusa e il colpo d'occhio non è più visibile. Dal 1922 fino all'inizio del ventunesimo secolo (e in parte ancora), infatti, il palazzo ha accolto la Pinacoteca e i Musei Civici. La prima venne istituita ufficialmente nel 1838 grazie alla generosità di alcuni maggiorenti che, lasciando in eredità al Comune le loro opere, le aggiunsero ai quadri provenienti dalle chiese già soppresse nel periodo napoleonico. Il primo “conservatore” fu il canonico Brunelli, bibliotecario: accolse anche alcune opere d'arte tratte dalla Residenza municipale. Donazioni del conte Pietro Guarini ampliarono la raccolta nel 1842 che, sotto la direzione di Giuseppe Marri, fu finalmente aperta al pubblico nel 1846. Altri arricchimenti e catalogazioni ottocentesche portano il nome di Filippo Guarini, Casali, Santarelli, Venturi. Pinacoteca è un termine di derivazione greca per dire quadreria, e in effetti a poco a poco si accumulò nel Palazzo della Missione (ora sede della Provincia) una cospicua raccolta d'arte. 

La sede cambiò, come detto, nel 1922: trasferito l'ospedale poco più in là (il vecchio “Morgagni”), il palazzo accolse a via a via la vasta Biblioteca Saffi, l'importantissimo Fondo Piancastelli e altri Fondi antichi, la Pinacoteca, il Museo archeologico al piano terra, l'Armeria Albicini e, sopra, in locali decorati secondo lo stile dell'epoca, il Museo etnografico, nato in seguito alle Esposizioni romagnole riunite del 1921 e rilevante testimonianza di un mondo che non c'è più. 
Opera meritoria, approdati i Musei Civici nella nuova sede, fu la direzione del conte Benedetto Pergoli. Nel 1936, il Ministero dell'Educazione Nazionale pubblicò un libretto a cura di Adriana Arfelli intitolato “La Pinacoteca e i Musei Comunali di Forlì”. Fu lo stesso libretto che assai probabilmente sfogliò, nel 1938, Vittorio Emanuele III durante la visita alla mostra su Melozzo che si svolse nei medesimi spazi. Da tale volumetto è tratta la piantina riportata in immagine (si trovino le differenze con un'attuale).

La distribuzione delle sale risulta la seguente:
Primo Piano: I) Pittura Barocca, II) Sala d'Ebe, III) Sala dei Monumenti, IV) Sala Ranieri Paolucci di Calboli, V) Corridoio delle Ceramiche, VI) Sala dei Pittori forlivesi, VII) Sala dei Ritratti, VIII) Sala del Pestapepe (che qui si dà per scontato essere di Melozzo), IX) Sala dei Primitivi, X) Corridoio delle Stampe, XI) Sala Maroncelli, XII) Sala Saffi, XIII) Sala del Risorgimento, XIV) Sala dei Caduti forlivesi, XV) Armeria Albicini, XVI) Corridoio. 
Secondo piano: XVII) Sala della Romagna, XVIII) Sala del Camino, XIX) Sala dei carri, XX) Sala dei ferri lavorati, XXI) Saletta ravennate, XXII) Tinello borghese, XXIII) Cucina campagnola, XXIV) Camera da letto, XXVI) Tribuna, XXVII) Corridoio delle piccole industrie, XXVIII) Sala Masini, XXIX) Arte moderna, XXX) Arte moderna, XXXI) Sala dell'Ottocento, XXXII) Museo Archeologico, XXXIII) Museo Archeologico, XXXIV) Museo Archeologico, XXXV) Sala del Medagliere. 

Come si nota, è tutto compreso, dall'archeologia all'etnografia, glorie di guerra e del Risorgimento, dall'arte antica a quella moderna, il tutto in trentacinque sale. Ora una non piccola parte di queste raccolte rimane a porte chiuse. Quantunque le donazioni siano continuate nel tempo, molto materiale rimane serrato nei depositi. Superfluo sottolineare che occorrerebbe incentivare l'arricchimento dei Musei Civici grazie alla generosità di chi possiede arte o memorie di vario genere. 

Col recupero del complesso conventuale dei domenicani, la gran parte della Pinacoteca è stata trasferita nei cosiddetti “Musei San Domenico”, mentre la sezione novecentesca di essa è ora a Palazzo Romagnoli (specialmente la Verzocchi e le sculture di Adolfo Wildt). Altre collezioni (Pedriali, per esempio), sono oggi pressoché irraggiungibili, stessa sorte per il Museo Etnografico e quello Archeologico chiusi, salvo rarissime ed episodiche eccezioni, dal 1996. 
Da allora non pare che tra le priorità vi sia quella di rendere fruibili i musei chiusi da oltre vent'anni, aprendoli al pubblico e allestendoli secondo una sensibilità più contemporanea. Nel frattempo, operazioni meritevoli d'attenzione sono state il recupero del “San Domenico – San Giacomo” (sede di quasi tutte le opere dal XII al XVIII secolo nonché di allestimenti temporanei) e di Palazzo Romagnoli col suo Novecento (Morandi,  Campigli, Cantatore, Carrà, Casorati, Cassinari, de Chirico, Guidi, Guttuso, Maccari, Migneco, Rosai, Sassu, Sironi, Soffici, Turcato, Vedova…). 

È da dire che se il Palazzo del Merenda non gode di ottima salute, nemmeno Palazzo Gaddi (Museo del Teatro e già sede del Museo del Risorgimento) sta tanto bene. Riuscirà Forlì città d'arte reperire volontà, idee, risorse e fondi per dare la possibilità a tutti di mostrarne i tesori con allestimenti rigorosi e accattivanti, in modo da attrarre (o non perdere) altre donazioni?

Si parla di

Musei: un "quadro" storico

ForlìToday è in caricamento