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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Quando esisteva un cantone di seta

Piazza XX Settembre era caratterizzata da un lungo porticato che comprendeva Palazzo delle Poste e Pavaglione. Inutile cercarli ora, non esistono più. Cinquant'anni fa si completò l'ultima demolizione.

C'è una piazza a due passi dalla “piazza” che riesce a essere un esempio di un sincretismo alienante. Tanto da aver perso il suo ruolo per diventare un parcheggio. Un tempo serviva anche per sapere che cosa “davano” in questo o in quel cinema, poi le luci si sono spente, e buonanotte. Per aggiungere qualche indizio in più: il Medioevo guarda il Novecento dall'alto verso il basso, in tutti i sensi. Il luogo porta il nome di una data: quel XX Settembre 1870, la presa di Porta Pia, la fine dello Stato Pontificio, data fino al 1929 festeggiata come nazionale e civile. Dunque, la piazza XX Settembre mantiene la promessa di non essere mai uguale a se stessa. Ogni secolo ci ha messo mano, anche in modo pesante: specialmente (come sembra ricordare la “doppia ics” del venti romano odonomastico) il XX°.

Se un lato è (quasi) integralmente occupato dal Tribunale, bianco scatolone di pregio, ornato dalla fontana - da trent'anni in secca - di Quinto Ghermandi, l'altra parte è dominata dal retro di San Mercuriale, rimaneggiato in maniera cospicua poco prima dell'ultima guerra e danneggiato dal conflitto stesso. L'isolato sconvolto dal Palazzo di Giustizia ha almeno trovato, per così dire, un dialogo con il porticato (anche questo più recente di quanto non si pensi) più esterno del chiostro di San Mercuriale, aperto dal 1940.

Pare una grave perdita, invece, l'abbattimento dell'elegante loggiato che costeggiava il lato opposto a quello del tribunale. Così, se si ha tra le mani una cartolina della piazza XX Settembre di cent'anni fa, l'osservatore fa davvero fatica a orientarsi. In quel luogo, denonimato popolarmente Pavaglione si svolgeva un importante mercato dei bozzoli da seta ma parte di esso fu smantellato già ottant'anni or sono per consentire il passaggio tra piazza Saffi e il Tribunale, aprendo, tra l'altro, il chiostro di San Mercuriale. Una delle ipotesi che per fortuna non prevalse chiedeva addirittura di abbattere tutto, chiostro monastico compreso, per allargare ancor di più la piazza e isolare così l'Abbazia di San Mercuriale. Il chiostro, nonostante le mutilazioni, c'è tuttora. Il Pavaglione in corrispondenza di esso, no. Ne sopravvisse una parte fino a tempi recenti, poi cadde vittima del modernismo architettonico dettato da una città che si vedeva dinamica, in crescita, al passo coi tempi, appunto. Come si vede dall'immagine, il gusto personale di chi scrive pensa che sarebbe stato meglio salvare il salvabile, conservare il conservabile. Ma fu preferito altrimenti. L'immagine si riferisce all'angolo con via Allegretti, l'ultima parte superstite dell'elegante passeggiata all'ombra di archi omogenei ed equilibrati. 

Nella parte verso via Allegretti (già delle Stallacce) del loggiato, infatti, si slanciava il Palazzo delle Regie Poste (che poi sarà trasferito in piazza Saffi). Costruito tra il 1906 e il 1910 su progetto di Olindo Umiltà, sarà inaugurato nomen omen in tutta umiltà: senza cerimonie ufficiali. Dal 1909 divenne, appunto, sede degli uffici postali che prima (come dopo) erano in piazza Saffi, in un palazzo ora scomparso tra la Camera di Commercio e San Mercuriale. Così, un continuo ed elegante porticato si susseguiva lungo via Allegretti e piazza XX Settembre, omogeneo, interessante nella sua signorilità neoclassica. Nulla d'innovativo o particolarmente originale (anzi, sembrava nato già vecchio), ma il complesso Palazzo e Pavaglione rappresentavano uno scorcio che la Forlì del dopoguerra non ha saputo rendere altrettanto bene. Considerato maestoso e grazioso fino a tutti gli anni Venti, l'edificio fu ben presto ritenuto insufficiente, cosa che portò all'inagurazione, nel 1932, dell'attuale Palazzo delle Poste di Bazzani. Quindi, il palazzo abbandonato fu sede della Casa della Madre e del Bambino di Forlì, inaugurata da donna Rachele, per ospitare l'Onmi: Opera Nazionale Maternità e Infanzia.

Di questa pregevole struttura, una cornice bianca, come si vede dalle cartoline dell'epoca, ora non rimane nulla. Occorre ricordare che il completamento della rimozione avvenne negli anni Sessanta. Nonostante che un recupero sarebbe stato - a quanto pare - possibile, si preferì un palazzo contemporaneo con un più freddo e arioso chiostro squadrato di cemento armato. Destinato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, ancora oggi ospita un istituto di credito e uffici. Le voci del Pavaglione, invece, non saranno mai più restituite ai forlivesi. E pensare che sotto quegli archi si svolgeva uno dei più rilevanti mercati della regione di bachi e bozzoli destinati alla produzione della seta. 

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