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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Quando Forlì era... Cava

A pochi chilometri da piazza Saffi, un quartiere sorto negli anni Cinquanta vanta radici antichissime: il primo insediamento avrebbe settemila anni.

Abitate alla Cava? Sotto di voi c'è un'importantissima necropoli dell'età del rame. Scavare anche sotto la periferia di Forlì significa trovarsi travolti dalla storia. E in questo caso scavare è proprio il verbo più indicato. Infatti: perché la Cava, quartiere moderno collocato tra i Romiti e Villanova, ha questo nome? Occorre precisare che il toponimo è piuttosto recente, non si sa bene perché, ma un certo punto è invalso l'uso de La Cava come terra di mezzo tra due frazioni con una storia propria. La seconda metà del Novecento determinerà il sopravvento del nome, fino ad allora, la località, era indefinitamente Villanova. Se ne comprendono le ragioni grazie a una serie di congetture: era cava la via Emilia nell'alto medioevo, quando dell'antica strada romana non rimaneva che qualche tratto lastricato, incavato rispetto al suolo dei campi. Campi che dovevano essere paludosi, un vasto acquitrino generato dal tratto incerto e dagli argini ancora più incerti del Montone, zona che un tempo doveva denominarsi, appunto, Lacuna Cava. Altra lampadina si accende quando si scopre che il grande fossato di confine della città romana si chiamava cavea, cioè cavità. 

Il termine in sé deriva da un'antica radice che identifica due opposti: l'essere gonfio o pregno ma anche cavernoso, infossato; cioè sia concavo sia convesso. In tempi più recenti, in direzione Quattro, era presente una cava di argilla che poi fu colmata da una discarica di rifiuti a cielo aperto. Ma sembra improbabile (o assai poco poetico) che ciò abbia meritato di generare un toponimo. Alla fine dell'Ottocento, quest'area era una zona rurale con qualche casa qua e là: gli unici possidenti fondiari erano la Parrocchia di Villanova, la Parrocchia di Schiavonia, il cav. Casati e Angelo Gellini. Questi terreni resteranno senza un nome preciso anche molto dopo: ancora negli anni Sessanta del Novecento La Cava non esisteva, almeno come nome ufficiale. Tempi addietro in viale Bologna c'era la chiesa di Santa Maria in Scofano o in Tempio, demolità già nel 1768. Esisteva, nello stesso fondo, la celletta degli Arbazzi, riedificata nel 1814 come celletta del Divino Amore nel luogo in cui Papa Pio VII incontrò, per la prima volta dopo la prigionia napoleonica, i forlivesi. La celletta fu abbattuta negli anni Sessanta per far spazio alla pista ciclabile e a una pompa di benzina BP. Sempre lì, ma più verso l'interno, sarà poi edificata un'altra celletta. Non distante c'è (pare che a breve non ci sarà più) un ettaro di bosco curato da trent'anni dal vivaista Silvestroni e balzato alle recenti cronache per questioni legate alla prospettiva del suo abbattimento. 

Oggi La Cava si palesa quando, passando per viale Bologna, compaiono i palazzoni del cosiddetto quartiere Ina Casa, edificati tra il 1956 e il 1963. Architetti di estrazione romana guidati da Giovanni Gandolfi misero mano al progetto che prevedeva, nell'allora podere di Marcadèna, la pianificazione di case che tenessero conto dei bisogni spirituali e materiali dell'uomo che non ama e non comprende le ripetizioni indefinite e monotone dello stesso tipo di abitazione con particolare attenzione a fattori quali il soleggiamento, il paesaggio, la vegetazione, l'ambiente preesistente, così si leggeva nella premessa progettuale. Colorate formelle in ceramiche suggellano tuttora i palazzoni, a mo' di sigillo di tempi proiettati verso il futuro. 

Facendo un salto indietro, occorre dire che quest'area, già nei primi anni Cinquanta, era inurbata in modo massiccio, puntellando la via Emilia di case anche piccolissime, costruite a poco a poco. A tale zona più risalente si affiancarono le costruzioni Ina Casa e il centro del quartiere lasciò la via Emilia per spostarsi verso l'interno. Si creò un reticolo di strade dai nomi di paesi romagnoli che negli anni Sessanta cedette il passo a corsi d'acqua, per chiarire: via Modigliana è diventata via Sillaro, via Savignano si trasformò in via Tevere, via Sarsina divenne via Senio, via Meldola ora si chiama via Tramazzo e via Galeata è via Ausa; via Rimini oggi è via Savio. E via dicendo. Difficile capire le ragioni di questo mutamento, vero è che alcuni nomi di paesi resistono (Argenta, Tavullia, Firenzuola, Carpegna, Badia Tedalda...) e forse restano per dimenticanza, o perché amministrativamente non sono località romagnole. In origine, in queste strade dai nomi di centri abitati non avevano luce pubblica né fogne. Ben presto, in questa estrema periferia settentrionale, si costituì un Comitato di Villaggio con il parroco don Mario Ricca: scopo del sodalizio era ricordare a chi governava la città che gli abitanti della Cava meritavano la stessa dignità degli altri. Una delle prime vittorie del Comitato fu l'insediamento della scuola elementare Livio Tempesta, inaugurata nel 1965. Seguono negozi e servizi come il Centro Sociale, la farmacia, la banca, l'ufficio postale. Era in progetto anche un mercato coperto a forma esagonale che però non sarà mai realizzato. Nel 1957 avrebbe aperto le porte la chiesa di Santa Maria Ausiliatrice, progettata dall'architetto Gualandi, che si segnala per essere stata indicata quale la più bella fra le chiese nuove. E' del 1972 il primo asilo nido a bacino comunale di Forlì, l'Aquilone, che proprio in questo quartiere ha sede come, dal 1974, la scuola materna Quadrifoglio. La Cava è anche la pioniera del decentramento librario: aprì qui la prima biblioteca di quartiere. Ora ci sono anche impianti sportivi e supermercati.

Tornando ancora indietro, consultando vecchie cartine, si può scorgere, all'altezza della Cava, la dicitura Stazione Preistorica. Non si tratta di una riserva di stegosauri ma la traccia degli scavi condotti dall'archeologo Santarelli tra il 1886 e il 1891. Furono sondate le zone sotto le vie Alferello e Samoggia, già terreno della Parrocchia di Schiavonia, e dove ora sorgono i palazzi del complesso Ina Casa tra via Tevere e viale Bologna. A 70 metri di profondità vennero rinvenute tracce di insediamenti preistorici; cosa che continuò ad avvenire anche decenni dopo, quando furono costruiti i palazzoni. Come si suol dire, quei primi indizi ottocenteschi furono solo la punta dell'iceberg: con i lavori del nuovo carcere, tra il 2009 e il 2010 emerse la più estesa necropoli eneolitica (dell'età del rame) della Regione. Si tratta di reliquie di ancestrali progenitori del quarto millennio avanti Cristo, distribuite su mezzo ettaro tra il Quattro e via Cava. Inutile ripetere che è ora di riallestire e riaprire il Museo Archeologico di Forlì giacente nascosto da decenni. E sarebbe lecito chiedersi cosa sarà della gigantesca e preziosa necropoli della Cava, tra i più estesi e più antichi centri preistorici dell'Emilia-Romagna, come si vorrà valorizzarla, come si vorrà trarne studio e fonte per entrate da turismo. In quest'area sono tornate alla luce oltre settanta tombe a inumazione con corpi supini dalle braccia lungo il corpo e una brocca in ceramica ai piedi. A parte uno: chissà perché, è prono. Le fosse sepolcrali non si sovrappongono: era un immenso cimitero, come quelli dei giorni nostri. Alcune sepolture risultano manomesse già da quel tempo giacché si usava, allora, prelevare ossa o frammenti del defunto per il culto degli antenati. In una delle fosse, un progenitore adagiò il corpo di un cagnolino di cinque mesi forse per guardia alle tombe orientali. Tra il corredo funerario si notano pugnali e asce di rame, oppure punte di freccia in selce. Ciò che è stato scoperto si riferisce solo a una parte dell'area funeraria; chissà quanti tesori sono nascosti nei pressi della Cava. 

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