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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Quanti anni ha il Parco Urbano?

Nell'aprile di 25 anni fa, dopo una lunga gestazione, apre al pubblico. Si tratta dell'ultima tappa di un progetto per dare a Forlì un ampio polmone verde.

Compie venticinque anni il Parco Urbano di Forlì. Un luogo frequentato della città che ora si dà per scontato, mentre fino a un quarto di secolo fa solo pochi avevano potuto godere della vista da quella zona allora misteriosa della città. Fu una sorpresa, si rimase a bocca aperta: i sentieri che si snodano tra una prateria ondulata punteggiata da alberini sostenuti da paletti. Quella che sino ad allora appariva come "terra di nessuno" arredata a giardino si palesò come inedito luogo di ristoro e "terra di tutti", di frescura, a poche centinaia di metri dal centro storico di cui si distinguevano bene le torri. Il terreno era stato in buona parte modificato dai lavori di antichi scavi per la vicina fornace (che resta in attesa di un giusto recupero), in alcune zone era perfino una specie di discarica. Da quel '94 sarà caratterizzato perfino dalla presenza di copiosi conigli e delle più esotiche nutrie. In realtà, il taglio del nasto del 1994 rappresenta solo l'ultima tappa di un percorso iniziato negli anni Settanta grazie anche a qualche studente a ai loro insegnanti. 

Il 3 ottobre 1971 si svolgeva a Forlì un convegno intitolato La Campigna Parco Naturale ma l'intuizione rimase lì. L'8 dicembre di otto anni dopo si riprenderà la questione lanciando in modo più ufficiale l'ipotesi di un Parco Nazionale della Campigna. Del resto, era lì lì per essere promulgata la nuova legge quadro sui parchi nazionali. Così la candidatura forlivese coinvolse anche Camaldoli, Badia Prataglia e la foresta della Lama. Ci vorranno molti anni (fino al 1993) nei quali, alla fin fine, prevarrà la voce dei vicini toscani, tanto che oggi si parla di Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, declinando in aretino toponimi anche forlivesi. Vero è che qualcuno, nel frattempo, avanzò la proposta di dedicarlo al Falterona, ciò non fece altro che rendere ancor più sesquipedale il nome ufficiale: Parco Nazionale delle Foreste Castentinesi, Monte Falterona e Campigna che però anche chi abita nel versante adriatico preferisce semplificare, offrendo al Casentino pure boschi romagnoli. Ma questa è un'altra storia. Storia che prova che negli stessi anni, comunque, il verde doveva suscitare un interesse veramente forte. Forse a causa della fine del boom, della crisi petrolifera, anche a Forlì s'iniziò a pensare che ormai la città stava diventando un'ininterrotta successione urbanizzata da piazza Saffi a San Martino in Strada. E quelle che nel gergo a venire si sarebbero chiamate aree verdi non compensavano l'espansione dell'abitato. Infatti, il Piano Regolatore del 1972 prevedeva un vasto parco, dal momento che i Giardini Pubblici, benché da poco ampliati, non risultavano più sufficienti per una città sempre più grande. Venne pertanto bandito un concorso nazionale di idee.

Al concorso parteciperà anche un gruppo di studio del Liceo Scientifico di Forlì. In particolare, la classe V B dell'anno scolastico 1972/73, con gli alunni Claudio Assirelli, Stefano Vittori e Carlo Ravaioli, guidati dagli insegnanti Gisella Pasqui e Sergio Selli, rispettivamente titolari delle cattedre di scienze naturali - chimica, e disegno - storia dell'arte. Gli studenti hanno inizialmente compiuto ripetuti sopralluoghi che hanno permesso di prendere visione della situazione relativa alle condizioni morfologiche del terreno, alla situazione dei corsi d'acqua interessati e all'esistenza di falde freatiche. L'indagine si è estesa anche all'ambiente culturale agricolo e allo studio della vegetazione spontanea ancora esistente nella zona. Dopo tutto questo lavoro, i tre ragazzi si sono divisi i compiti specifici per raggiungere gli obiettivi generali del concorso. Il principio basilare che ci ha guidati è stato quello di ricostruire un ambiente naturale tipico della Romagna. Il lavoro, nella sua stesura definitiva, si è concretizzato, oltre che in una parte descritta, in un'ampia documentazione nella quale figurano elaborati, grafici, schizzi, piante e un grande plastico illustrativo di tutta la zona. Il Progetto Liliana (così si chiamava il lavoro proposto dal Liceo Scientifico), immaginava un Parco della Confluenza proprio dov'è ora, invero molto più vasto di quanto sia adesso. Avrebbe compreso, oltre all'estensione dell'attuale Parco Urbano, anche la parte oltre il fiume, fino a via Firenze, e fino all'ospedale che allora veniva così abbracciato, nel suo promontorio, nel grande polmone verde. Si prevedeva quindi di attraversare il Montone (come nell'immagine) con ponti pedonali in più punti. Il progetto prevedeva un Parco con otto ingressi, sei locali destinati alla ristorazione, sei bagni pubblici, parcheggi, aree giochi, postazioni per la sorveglianza e zona socio-direzionale. Sei sarebbero stati i ponti sul fiume, cui era da aggiungere il Ponte Vecchio che conduce a Vecchiazzano. 

In sintesi, la proposta scolastica prevedeva: utilizzazione delle due rive del fiume per mezzo di collegamenti leggeri ad uso pubblico per consentire molti ingressi al parco in corrispondenza delle varie zone cittadine, stradine anche ciclabili che formino un sistema di anelli per ogni zona congiunti fra loro che presentino affacciamenti panoramici e che colleghino una rete di vialetti pedonali i quali si intersecano fra gli alberi. Poi: zone di bosco ad alto fusto di tipo spontaneo locale, bosco a basso fusto uso macchia, zona allo scoperto con prati coltivati a rotazione di aree per consentire il movimento spontaneo e rilassante alle persone durante il tempo libero. Non poteva mancare il laghetto con pesci e uccelli acquatici sul quale possano andare anche barchette spinte a remi; attrezzature per tennis, bocce, giochi per bimbi e giochi per giovanetti. In sostanza, si sarebbero mantenuti i fabbricati esistenti e ciò che era sulla carta (con tanto di alberi scelti con motivazione ragionata) è stato solo in parte realizzato: il Progetto Liliana prevedeva un parco ampio tre volte quello finora realizzato. 

Il concorso, tuttavia, non ebbe esito. Tutto sembrò fermarsi. Solo nel 1986 s'iniziò a fare sul serio: furono modellati i terreni e messe a dimora le prime piante. Si rimise così mano alla questione Parco della Confluenza ma i tempi non risultarono così veloci. La casa colonica sulla Collina dei Conigli era abitata fino all'anno successivo, poi fu inglobata dal polmone verde. I lavori, però, furono complessi e ci volle qualche anno ancora per passeggiare nel Parco che poi sarebbe stato dedicato al sindaco Agosto Franco (che poi è diventato per tutti Franco Agosto). Nell'aprile del 1994, finalmente, furono aperti al pubblico i primi ventisei ettari: il taglio del nastro fu rinviato per ben due domeniche a causa di un mese oltremodo piovoso. Nell'entusiasmo dei primi anni, sono state collocate opere d'arte e fa bella mostra di sé la grande fontana a piramide su disegno di Quinto Ghermandi (che in principio sarebbe stata destinata altrove). Così iniziò la storia del Parco Urbano che conosciamo oggi. Venticinque anni, ma non solo. 

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