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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Quanto costa bestemmiare a Forlì?

I blasfemi, nel Cinquecento, venivano puniti con severità, fino a farli esporre al pubblico ludibrio presso il Palazzo del Podestà

“Bestemmiare ti costa” così potrebbe intitolarsi la “campagna di sensibilizzazione” (secondo un’espressione cara ai giorni nostri) messa in atto dalla magistratura forlivese nell’autunno di 480 anni fa. Anche oggi – va ricordato – il bestemmiatore può incorrere in una sanzione amministrativa fino a circa 300 euro. Ma che successe il 13 novembre 1541? Evidentemente stanca, già allora, di ascoltare improperi e blasfemie, la Comunità forlivese emanò un regolamento che prevedeva dure sanzioni.

Fino a tre bestemmie la si poteva risolvere pagando: alla prima si versavano due scudi, la seconda ne costava quattro, la terza otto. Ora come ora è difficile convertire questi valori secondo il conio attuale, magari qualche esperto numismatico può risolvere il garbuglio. Non si precisa che gli scudi dovessero essere d’oro, si potrebbe presumere dunque che il metallo di riferimento fosse l’argento. Secondo congetture non troppo attendibili, uno scudo di allora poteva corrispondere agli attuali 50 euro. Si attendono volentieri smentite e precisazioni. 

Dopo la quarta bestemmia, però, c’era poco da scherzare: era previsto “l’esilio di due anni” e, nei casi più eclatanti, “altre pene corporali” come quella “della berlina”. Quest’ultima, prevedeva la permanenza in una gabbia collocata sull’attuale Palazzo del Podestà, dove ora si vede il grazioso terrazzino neogotico a cono. Si noti, comunque, la bontà dei forlivesi: la berlina era alta, pertanto era difficile lanciare ortaggi ai condannati, se ne vedevano a malapena le fattezze, così tutelando una certa pietà. In detta prigione pubblica all’aperto non ci finivano solo i bestemmiatori ma un po’ tutti i condannati idonei a subire un trattamento umiliante. 

Le immagini seppiate di un secolo fa ci mostrano il Palazzo del Podestà in tutta la sua severità quattrocentesca e privo del terrazzino in luogo della berlina. L’occhio dei nostri antenati potevano scorgere i segni della tamponatura, sulla facciata, della ringhiera che conteneva il condannato.  Curiosamente, la berlina era lì almeno dal 1427 (anno in cui – così si sa – ospitò il primo prigioniero per tre giorni), ancor prima della costruzione del palazzo odierno che nelle sue forme risale, invece, al 1459. Il bell’edificio sarà restaurato nel 1942 (il progetto iniziale prevedeva pure una merlatura ghibellina che non fu mai realizzata) e gli fu impresso, come detto, quel cono posticcio che ai puristi della storia urbana fa storcere il naso.

Vi è da dire che tra tutti gli interventi di quel periodo è sicuramente quello più aggraziato e non stona, i forlivesi si sono abituati e sembra che sia sempre stato lì. Tornando ai bestemmiatori, una domanda potrebbe porsi il curioso o il giurista: tecnicamente, come si procedeva? Per denunciare i bestemmiatori, furono poste a Forlì due cassette, “una affissa nell’anticamera dei Conservatori” e l’altra ad una colonna della Cattedrale. Ogni cassetta aveva due chiavi, l’una era tenuta dal Governatore, l’altra da tre (poi due) membri segreti dei Novanta Pacifici, giudici dell’esecuzione delle pene. 

Che poi ciò avvenisse in una città che si ammanta di fama ghibellina e anticlericale (in verità amplificata) questo non dovrebbe destare stupore. E questo non solo perché in quel 1541 Forlì era governata dalla Santa Sede (Papa Paolo III) o perché di lì a poco si sarebbero aperti i lavori del Concilio di Trento. Per esempio: alle orecchie, anche atee, anche agnostiche, della sensibilità liviense dei primi del Novecento, la bestemmia suonava malissimo. È un vizio “brutto, stupido, incivile, dannosissimo” si leggerà su “La Terra” periodico forlivese per contadini e braccianti ben lontani dalle parrocchie, il 17 ottobre del 1903. 

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