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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Saffi e la casa massonica

In via Maroncelli, un palazzo ha una storia che lo lega ad Aurelio Saffi e alla massoneria forlivese. Simbologie più o meno nascoste lo rivelano ancora.

Un aspetto misterioso e controverso che lega Forlì alla sua storia è il rapporto con le società segrete. Il 13 ottobre ricorre il bicentenario della nascita di Aurelio Saffi. Confidando che l'anniversario sia occasione per approfondire la memoria dell'uomo pensante in mezzo alla piazza che da lui prende il nome, si può tentare di riscoprire una parte poco frequentata della vicenda umana del triunviro. Oltre a essere stato tra i più conosciuti patrioti risorgimentali, fu massone fin dal 1862 e, dopo la sua morte, alcuni confratelli gli dedicarono una loggia tutt'ora esistente. In gioventù, benché legato a circoli torinesi e romani, il fulcro dell'attività massonica di Saffi era la casa dove visse i primi suoi trent'anni, in via Albicini, dimora che avrebbe un ingresso “discreto” lungo la via Mastro Pedrino. Casa Saffi, quasi davanti a Palazzo Romagnoli, si distingue per il bel portale cinquecentesco che arricchisce la facciata austera. Difficile capire oggi quando la famiglia ne divenne proprietaria, del resto la vicenda dei Saffi è lunghissima; già nel Trecento emergono figure nella storia della città con questo cognome. In seguito a un tracollo finanziario, la casa fu venduta, tanto che Aurelio, ormai deputato, risiedeva nella Villa di San Varano e qui sarebbe morto a settant'anni nel 1890. 

Il 23 ottobre 1900 fu aperta la loggia “Aurelio Saffi” cioè la “n° 105” del Grande Oriente d'Italia e che ancora svolge la propria attività nel luogo che la vide nascere: Forlì, appunto. Città che circa cento anni prima aveva promosso i primi sodalizi massonici, per esempio la Loggia Augusta, retta dal marchese sacerdote Ottavio Albicini. Stando ai numeri, si evince che nel 1903 faceva parte della "Saffi" una ventina di iniziati ed attivi: professionisti, insegnanti, medici, industriali, impiegati, possidenti, commercianti, contadini, operai. Non è ben chiaro dove avesse trovato sede per i primi tempi finché, il 4 gennaio 1908, sei confratelli si sarebbero dati appuntamento presso il notaio Temistocle Panciatichi. L'intento era l'acquisto di un immobile. Si sa che convennero Luigi Andreoni, ingegnere capo del Comune; Ettore Bondi, contabile e possidente; Ercole Galassi, possidente; Pietro Gavelli, medico condotto; Arturo Partisani, impiegato municipale; Attilio Saffi, ingegnere provinciale e figlio di Aurelio. Ci sarebbe stato un settimo, ma non essendosi presentato davanti al notaio, sarà depennato dall'atto. Insomma, i sei acquistarono dalla contessa Camilla Gerez vedova Sauli Visconti, un fabbricato posto in questa Città nella Piazza al Civico n.2, nella via Solferino e nella via Piero Maroncelli e precisamente il Fabbricato già ad uso Scuderia e Selleria costituito di pianterreno e di un piano superiore nonché una striscia dell'annesso per tutta la lunghezza del detto Fabbricato alla quale striscia di giardino se ne aggiunge altra che corre lungo il muro di confine della proprietà Taraborelli Conti-Aleotti, giungendo sino al locale già addetto a Lavanderia pure compresa nella presente vendita. Per chi avesse fatto fatica a individuare la zona, si tratta dell'isolato tra piazza Ordelaffi-del Duomo-Giovanni Paolo II, via Maroncelli, via Solferino, fatta eccezione del monastero del Corpus Domini e poco altro. In tal modo, la centralissima via Maroncelli (già il nome di per sè è significativo) diventa sede di sodalizi che, segretamente, ordivano e lavoravano per inverare l'unità d'Italia. 

In particolare, la parte più consistente dell'acquisto è quella che oggi è nota come “Casa del Mutilato” su tale strada al civico 3, la cui facciata – com'è evidente – risale a qualche anno più tardi. Una curiosità è che la compravendita avvenne con atto aleatorio, in quanto i compratori dichiararono che l'acquisto dei Fabbricati e terreno su descritti viene fatto esclusivamente a favore di quello fra essi Acquirenti che sarà per sopravvivere agli altri, il quale ultimo superstite potrà solo allora disporre come meglio crederà. In poche parole, dopo la morte di tutti gli altri cinque, l'ultimo avrebbe potuto decidere cosa fare degli stabili rogitati, divenendone a tutti gli effetti proprietario. La Casa Massonica forlivese chiuse i battenti nel 1925, in seguito all'approvazione della legge che prevedeva lo scioglimento delle logge in Italia; i nomi dei liberi muratori furono pubblicati in elenchi sulle colonne della piazza. Si segnala che, nell'ottobre dello stesso anno, quello di Forlì fu tra i templi massonici devastati dagli squadristi. Il labaro, con lo stile floreale proprio dell'inizio del Novecento, si salvò in modo rocambolesco: prelevato da Luciano Vittori, venne nascosto nel caveau della banca in cui lavorava. Sarebbe stato esposto di nuovo il 5 maggio 1945, quando la “n° 105” fu riaperta. Nel frattempo, però, lo stabile, dal 1930, era stato assegnato all'Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra e così oggi è conosciuta come Casa del Mutilato. In quell'anno, i superstiti del 1908 erano rimasti in tre, quindi l'atto aleatorio non fu mai perfezionato. Se l'attuale veste del palazzo rappresenta una compiuta testimonianza dell'architettura razionalista forlivese grazie alla firma di Cesare Bazzani (e conserva pure il piccolo ma prezioso museo storico Dante Foschi), della struttura originaria rimane un corridoio segreto che consente la fuga fino all'uscita da una porticina su via Solferino. Inoltre, in seguito a recenti lavori di restauro, sono emerse simbologie massoniche in un sottotetto. Può balzare all'occhio che, quasi a perpetuare l'esistenza di un tempio (massonico), Bazzani non vuole nascondere l'antica destinazione dello stabile donando ad esso un portale con timpano e fregi classici, simboli che fan sì che chi vi acceda viva la sensazione di entrare, appunto, in un tempio.

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