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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Scatti dalla villa scomparsa

Villa Giselda a Carpinello di Forlì: immagini inedite riscoprono spezzoni di vita dei dinamici Orsi Mangelli nella casa resa fantasma dalla guerra

L'impressione tra passato e presente è una labile impronta di luce su una lastra. Così, scovando tra mercatini, ci si può imbattere in antichi "negativi" di fotografie che hanno taciuto per decenni senza essere stampate. Questo è capitato a Michela Mazzoli che, appassionata del genere, si è imbattuta in una scatola di lastre fotografiche da cui trasparivano i volti, i vestiti, le scene di vita quotidiana di un'intera famiglia tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. All'incanto per la scoperta è seguita un'appassionante ricerca che presto si tradurrà in una mostra. Chi sono quei volti? In quale scenario sono racchiusi? Erano gli Orsi Mangelli (in particolare dovrebbero essere fotografie scattate dal conte Giuseppe). Se per alcune lastre è stato più semplice ricostruire l'ambientazione (Villa Giannina, come riconosciuto dal figlio dei mezzadri dei Solieri), per altre ci è voluto più tempo. Difficile trovare testimoni, era come una casa fantasma: un rompicapo che trovò la sua soluzione qualche mese fa, grazie al confronto con fotografie del Fondo Piancastelli esposte a Pievequinta.

Si poteva vedere, infatti, una residenza ingoiata dalla storia, nota col nome di Villa Giselda. In foto, accanto a Elena Orsi Mangelli velata da qualche macchia, Giselda (Girolimini) è ritratta a destra in abito bianco sguardo sorridente, disteso e fiero: era la moglie di Paolo Orsi Mangelli. La particolare espressività e la nitidezza delle immagini fa riaffiorare il passato di un luogo fantasma (si vede la villa come sfondo della foto), e consente di ricostruire un pezzo di storia locale. Come ancora oggi si può intuire, i fondi agricoli erano qua e là intervallati da sontuose residenze nobiliari accomunate da un parco che conferiva un’aura quasi sacrale, una separazione netta tra il faticoso mondo dei braccianti che oltre la siepe si consumava. Anche gli Orsi Mangelli di Forlì avevano, in frazione Carpinello, una residenza simile, chiamata Villa Giselda. A dire il vero, ancor prima apparteneva alla contessa Maddalena Matteucci, moglie del conte Giovanni Guarini, pertanto per buona parte della sua storia l’edificio fu chiamato “Villa Maddalena”.

All’aspetto, poteva somigliare al mastio di un antico fortilizio, in realtà era molto più “giovane”: risaliva, infatti, al primo Ottocento. L’effetto che doveva comunicare era l’imponenza e una certa sobria fierezza, con i piedi per terra ma con una consapevolezza antica. Così nella villa si potevano trovare vestigia provenienti dall’abbazia di Fornò. Del grande parco della villa ora rimane l’albero del Carducci, l’imponente platano orientale che si fa notare a pochi decine di metri dalla Cervese all’altezza e sul lato opposto della chiesa di Carpinello. Lì era anche la residenza che, per motivi bellici, è andata perduta. Giosué Carducci fu ospite di quella casa. Oltre al grande platano (di una specie rarissima in Italia), già a quel tempo monumentale tanto da essere particolarmente amato dal poeta, il parco era ricco di specie esotiche e particolari tra cui cedri, limoni, magnolie, ippocastani. Qualcuno ricorda che tra i rami del grande albero si sgranchivano gli arti della bimba Edda Mussolini, sotto lo sguardo vigile della guardia del corpo.

Negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale la villa fu requisita dal Comando tedesco e il 21 ottobre 1944 le truppe alleate bombardarono la zona radendo al suolo gli edifici. Era un tardo pomeriggio quando un aereo inglese, in picchiata, s’avventò sulla residenza lanciando tre bombe, due appaiate, una più distante. Si levò una vampata che avvolse quasi del tutto la struttura. Ben presto fu fatto scempio anche del bosco, utile come miniera di legna ardere: fu preservato il grande platano e pochissime altre alberature ora desolate in mezzo a un campo. Dopo la tragedia della guerra non rimasero che ruderi della Villa Giselda, ruderi che oggi sono spariti anch’essi. Ora a Carpinello di Forlì una strada porta il nome di tale residenza, non c'è molto altro. Eppure Paolo Orsi Mangelli su questo terreno sperimentava la sua passione: l’agricoltura “moderna”. Qui il conte allevava un tipo di mucca da latte che sviluppò l’attività casearia romagnola, qui coltivava anche tabacco, a prova di ciò il vasto essiccatoio. Nella struttura potevano accedere pure i piccoli coltivatori per lasciar maturare il loro prodotto. Il fondo di Villa Giselda, quindi, ebbe un ruolo importante per la sperimentazione agraria.

Figlio del suo tempo (era nato nel 1880), aveva vissuto l’apertura dell’agricoltura romagnola al mercato, con la resa più efficiente della zootecnia, della concimazione, della bachicoltura. Il trentenne Paolo Orsi Mangelli seguì l’onda e rese il fondo di Carpinello tra le più promettenti stazioni di monta bovina (tra l’altro nel suo stemma nobiliare c’è anche un manzo, da cui Mangelli). Sarà fra i primi a piantare frutteti in modo razionale e, vent’anni più tardi, la tenuta sulla Cervese si distinguerà in una delle mussoliniane battaglie del grano (1934). Qui ebbe luogo anche un caseificio pionieristico per la Romagna. Le rare foto conservate mostrano una facciata seriosa e sobria, elegante senza fronzoli. Una scalinata accompagna all’ingresso e, sopra il piano terra, si sviluppavano altri due piani. Questo particolare è stato un elemento definitivo per l'individuazione di quella che Michela Mazzoli inizialmente chiamava la Villa con i gradoni. La struttura padronale, a forma pressoché cubica, era collocata leggermente retrostante rispetto al grande platano orientale, testimone prezioso di una lunga storia. Oggi ha nome “Paolo e Giselda Orsi Mangelli” la Casa di Riposo di Vecchiazzano. 

La mostra Le lastre ritrovate: Memorie della famiglia Orsi Mangelli tra Forlì e il mare (1890-1915) sarà allestita alla Galleria Leonardo di Cesenatico dall'8 aprile al 13 maggio. L'organizzazione è curata dal circolo fotografico Tank Sviluppo Immagine. Si potrà vedere una trentina di ritratti stampati a contatto (come li avrebbero fatti allora) e una ventina di ingrandimenti con metodi innovativi. 

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