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Mercoledì, 17 Aprile 2024
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Silenzio sul Presidente

Il forlivese che divenne Presidente del Consiglio. Personaggio complesso e dimenticato su cui, dal suo "funerale proibito", è calato il silenzio. Chi era Alessandro Fortis?

Un forlivese a Palazzo Chigi. Un personaggio complesso s'innesta nel fervore politico della Forlì tra Otto e Novecento, fino a salire il gradino più alto dell'Esecutivo. Come spesso capita, non fu un propheta in Patria, tanto da non aver lasciato un gran ricordo da queste parti. Il suo nome campeggia su una traversa di corso della Repubblica ma, oltre a ciò, è per molti una figura sconosciuta. Alessandro Fortis, secondo una discutibile terminologia recente, fu - in città - un personaggio "divisivo". E, a Forlì, lo sembra essere anche da morto. Ora si cerchi di capire con una sommaria biografia, l'uomo chiamato familiarmente Sandrino

Nato il 16 settembre 1841 in corso Garibaldi, 40 (un'iscrizione lo ricorda) da una famiglia agiata, legata al commercio in bachi da seta, si sarebbe laureato in Giurisprudenza a Pisa. Da qui deriva la sua attività forense nello studio di Oreste Regnoli, celebre avvocato forlivese, principe del foro di Bologna. Fu attratto dalla politica sotto la stella di Saffi, tanto che sua figlia Maria sposò il figlio di Aurelio, Rinaldo. Fece il suo ingresso nella loggia massonica "Livio Salinatore" e si ritagliò il suo ruolo in ambienti mazziniani. Giovane garibaldino da guerra, fu poi tra gli arrestati dei fatti di Villa Ruffi (1874). Tale contesto (un convegno repubblicano in vista delle imminenti elezioni politiche) era stato letto dal Governo Minghetti come un episodio sovversivo, un complotto, tanto che 28 partecipanti furono imprigionati e rilasciati dopo qualche mese. 

Dagli anni '80 dell'Ottocento abbandonò le posizioni intransigenti per diventare un moderato. Collocabile nella "Sinistra storica", divenne deputato nel 1880 e lo fu per quattro legislature quale portatore di un ampio programma di riforme. Nel frattempo, nel 1888 aveva reso possibile e sicura la visita di Re Umberto e della Regina Margherita a Forlì (1888), città che certo avrebbe potuto dare dei grattacapi ai reali. Fu ancora lui a mediare per l'amnistia concessa dal Re all'anarchico Amilcare Cipriani. Nel 1890 toccò l'apogeo: ben 5468 voti alle politiche di quell'anno, contro i repubblicani di Ferrari, Vendemini, Turchi e Fratti. In città, la parabola politica di Fortis passò da Saffi all'accostamento al liberalismo e alle istituzioni monarchiche. Grazie al suo ingegno e al suo prestigio, fu in grado di creare un gruppo attorno a sé che sapeva coinvolgere un elettorato eterogeneo rappresentando, fino al 1888, la maggioranza repubblicana, dal 1892 i liberali progressisti quindi i monarchici e i clericali. Ben presto, dunque, si convertì alla causa sabauda, seguendo le posizioni di Crispi che pure da mazziniano era diventato monarchico. Onta, questa, che sembra rimanere ancora nell'immaginario collettivo della città. Forse il motivo di tanto silenzio. Essendo ormai nella Capitale, al di fuori delle beghe forlivesi, lasciò come suoi luogotenenti in città il repubblicano Livio Quartaroli e il liberale Giuseppe Brasini. Ma essi, nel 1894, saranno coinvolti nel tracollo della Banca Popolare, fallimento drammatico di cui magari si tratterà un'altra volta e che travolse intere fortune, facendo svanire improvvisamente i risparmi di molti forlivesi. Fortis era il presidente del Consiglio d'Amministrazione dell'allora maggiore banca liviense di cui Quartaroli era il più influente dei membri, tanto che si toglierà la vita. Dopo aver cercato invano una soluzione con Crispi e col Direttore Generale della Banca d'Italia, il 18 aprile di quell'anno gli sportelli chiusero tra le urla dei risparmiatori che non videro alcun rimborso, con conseguente messa in ginocchio del commercio.

Fortis fu violentemente osteggiato anche per il suo sostegno alla politica del Governo, ritenuta repressiva. Tuttavia sarà confermato deputato nel 1895. Si trovò dunque accanto a Crispi, nel cui primo ministero era sottosegretario agli Interni. L'astro di Fortis in città si oscurò irrimediabilmente nel 1897. Dopo la sconfitta di Adua, egli, vicino alle posizioni colonialiste, seguì la sorte di Crispi. A Forlì mantenne qualche incarico (presidente del Consiglio provinciale), ma poca cosa. Alle elezioni gli fu preferito Fratti e per lui, a questo punto, era di gran lunga meglio rimanere a Roma. Nel governo Pelloux (1898-99) fu Ministro dell'Agricoltura. In questa veste presentò dei progetti sul lavoro femminile e minorile e sull'intervento statale in agricoltura. Si sarebbe dimesso anzitempo dall'incarico per abbracciare le istanze liberali riformiste di Giolitti di cui era amico ed estimatore da tempi non sospetti. Fu infatti lui, per un anno, il successore dello stesso Giolitti a Palazzo Chigi. Il 28 marzo 1905, il forlivese sarà Presidente del Consiglio. Il suo governo restò in piedi per 317 giorni, con un rimpasto verso la metà del mandato. Durante il suo incarico si definì la liquidazione delle società ferroviarie private e nacquero, si può dire, le Ferrovie di Stato. Tuttavia in così breve tempo, Fortis aveva incontrato l'ostilità di molti: i conservatori gli rimproveravano una debole reazione contro le manifestazioni d'appoggio alle insurrezioni in Russia, i radicali gli rinfacciavano la presenza del ministro clericale Malvezzi nel suo Consiglio, i socialisti non avevano apprezzato la questione delle ferrovie. Negli anni successivi si occuperà prevalentemente di politica estera. 

Nemmeno la sua morte (4 dicembre 1909) riuscì a unire i litigiosi forlivesi. Due giorni dopo, in occasione dei funerali, si vide, tra il corteo, tenendo i cordoni del carro funebre, il sindaco di Forlì, Giuseppe Bellini, repubblicano. Non l'avesse mai fatto! Il Partito reagì subissandolo di critiche: per i più duri e puri, il voltagabbana non meritava nemmeno la pace del congedo. La polemica interna ai repubblicani sarà così aspra che Bellini dovrà dimettersi il 15 marzo 1910 solo per aver preso parte alle esequie del Presidente del Consiglio nato a Forlì. All'amministrazione municipale, per intenderci, Fortis era indigesto, a quanto pare. Al contrario, per fare un esempio, al funerale dell'imolese Andrea Costa, nel gennaio del 1910, il Comune parteciperà con gonfalone e rappresentanze. Non solo. Quando giungerà a Forlì la salma di Fortis (tardissimo: il 20 marzo 1910), non venne omaggiata certo in Municipio, ma nel Palazzo della Provincia (in via delle Torri). La scia di polemiche non si arresterà se il 5 aprile 1910 si arriva alla resa dei conti: si colpisce con l'espulsione il consiglio direttivo del Circolo Mazzini nelle persone del dottor Gavelli, dell'ingegner Attilio Saffi, di Raffaele Bendi e di Emanuele Pasqui, colpevoli di aver firmato il manifesto per le onoranze funebri a Fortis. 

Ora, nell'immagine si vede un busto marmoreo del Presidente del Consiglio nato a Forlì scolpito da Emilio Gallori. Si trova alla Camera dei Deputati. Con le premesse di cui sopra, sarà difficile che un manufatto simile possa ornare la sala di uno dei palazzi istituzionali della città che gli diede i natali. Una curiosità, a conclusione, Alessandro Fortis fu il primo esponente politico di origine ebraica a diventare Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia. In seguito, da anticlericale e massone, si convertirà al cattolicesimo morendo col conforto spirituale di don Luigi Orione. 

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