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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il "Re del Diritto": fama e invidia

Le antiche vicende di un grande giurista: Raniero Arsendi, personaggio che varrebbe bene Giurisprudenza a Forlì

Nella storia del diritto ci sono nomi proverbiali, per così dire da brocardo, come Baldo e Bartolo. Aver studiato Baldo e Bartolo garantiva la patente di leguleio, azzeccagarbugli o quello che era nell'Italia e nell'Europa antiche. Poi c'è un terzo nome, un po' più defilato, un po' più nascosto forse per maggior lume degli altri due, forse per la tipica inerzia dei forlivesi a “portare su” i concittadini, specialmente della parte politica “sbagliata”. Infatti Raniero da Forlì apparteneva all'antica famiglia degli Arsendi, di parte guelfa, “per cui patì frequenti confische di beni, due esilii e uccisioni fra i suoi famigliari”.

Arsendi che erano, peraltro, “i più terribili e vendicativi nelle vittorie, i più bersagliati nella sconfitta”. Quindi, insomma, dagli accenti violenti di queste poche righe si può capire che il contesto è quello della Forlì del Trecento. Le parole virgolettate sono tratte da un vecchio testo scritto da Brando Brandi nel 1885, l'unica biografia compilata con perizia tecnica (l'autore era un bibliotecario con studi giuridici) che sia mai stata dedicata al giureconsulto forlivese. 

Nato da Pietro “uomo versato nelle lettere” sul finire del Duecento, Raniero iniziò a insegnare materie giuridiche nel 1319. Come spesso capita, le fonti non consentono una certezza di date e incarichi sicché molto del personaggio rimanga oscuro. Pare assodato spendere il 1292 come data di nascita. Si sa dunque che il forlivese, fin dalla giovinezza, aveva allievi che lo emulavano “maravigliati dalla forza del suo ingegno perspicace e sottile”. Nonostante la giovane età, dunque, incardinato nell'Università di Bologna come docente, ebbe tredicimila scolari. Sì: tredicimila! Nessuno a Bologna e altrove ne aveva tanti.

Viene riportato che era di statura media, con volto esile, fronte spaziosa, occhi concavi, bocca stretta, mento acuto, incarnato pallido, testa calva, capelli sparsi tra le orecchie, barba ruvida. Indossava una veste interna rossa, una superiore nera, senza maniche, con preziosi inserti di pelli di topo del Mar Nero, agganciata al colletto da due nodi.  Egli stesso aveva studiato a Bologna, alla scuola di Bertoluzzo de Pretis e, laureato, tornò a Forlì ma gli Ordelaffi di quel periodo non erano particolarmente teneri nei confronti dei guelfi, tanto che comminarono esilii e confische contro i sostenitori del Papa. Per evitare il peggio, gli Arsendi presero così casa a Ravenna dove, ben tacendosi in polemiche politiche, il giovane Raniero temporaneamente continuava ad approfondire la sua scienza. Non si sa molto, come detto, e sovente quel poco è ingigantito ma viene riportato che nemmeno trentenne la sua fama lo portò a essere nominato Uditore del Sacro Palazzo (cioè consigliere del Papa in materia giudiziaria). Perché poi, davanti a tale possibilità carica di onori e denaro abbia preferito restare professore a Bologna “collo stipendio di cento lire” resta un mistero e pare sensato mettere in dubbio la chiamata romana. Era più portato a “leggere” (cioè fare lezione) alla miriade di studenti che alla vita di corte pontificia? Certa fu la sua fama che, appunto, andava ben oltre la Romagna o Bologna. 

Tra questi discepoli c'era il poi famosissimo Bartolo da Sassoferrato che ebbe parole di massima venerazione nei confronti del maestro: quando costui, per così dire, discusse la tesi nel 1334, aveva davanti il professore forlivese. Nel frattempo, Raniero a Bologna svolgeva pure la professione di avvocato e si dedicava alla compilazione delle sue opere il cui contenuto qui è difficile trattare dovendosi aprire centomila parentesi e mediare su altrettanti tecnicismi. Una delle questioni che dirimette fu: “Praedicatores an possint heredes institui”, cioè: i frati possono ereditare beni? Raniero concluse con un no e i religiosi fecero appello al Papa tuttavia tornarono da Roma scornati: vinse il forlivese cui questa vicenda fruttò altre cento lire. 

Il 2 marzo 1338, Benedetto XII interdisse Bologna e le tolse lo Studio Generale (l'Università) per motivi legati alla cacciata del cardinal legato Bertrando del Poggetto da quella città. Questa sospensione durò fino al 21 ottobre di quell'anno e si sa che, per salvare il salvabile, nel frattempo le lezioni di Raniero Arsendi si svolgevano a Castel San Pietro. Durante questa soluzione provvisoria, lo studioso forlivese rispose a una proposta del tutto nuova: trasferirsi a Pisa e fondarvi la Facoltà di Giurisprudenza. In quei mesi d'incertezza non si sapeva se a Bologna l'Università sarebbe tornata a vivere in piena autonomia, quindi Raniero accettò e il 1° ottobre 1338 iniziava colà l'anno scolastico. La fama del forlivese era vastissima ed egli contraccambiò Pisa con elogi affettuosi però, nella città sull'Arno, a seguito del fuggi fuggi da Bologna, si trovò faccia a faccia con Bartolo, ormai non più allievo ma collega o, per meglio dire, “concurrens”: concorrente, rivale.

Tale “concorrenza” è da ridimensionare in quanto l'ex allievo era “lettore” in un corso serale. Raniero da Forlì la prese sul personale e iniziò a screditarlo, tanto che nei suoi scritti definiva Bartolo “non multum excellens” (cioè: mediocre), oppure “magistrellus” (maestrino), “miser” (poveretto), e non manca di riferire che “debet verecundari de his verbis” (dovrebbe vergognarsi di ciò che dice). In seguito, come in un dialogo vivo, gli consiglierà di tacere per evitare di aggiungere castronerie ad altre castronerie: “et hic melius fuisset silere quam male loqui”. Questa sua reazione piccata e sarcastica permette di uscire dai paludamenti dell'accademico e concede di entrare nell'umanità del buon Raniero: era invidioso. Dei giuristi, in effetti, allora si diceva: “irritabile genus” (gente irritabile). Non per peggiorare la situazione, ma pare che Bartolo abbia sempre tenuto in massima considerazione il maestro, non abbia mai mancato di rispetto e anzi, ne era devotamente affezionato. Tuttavia, in un suo scritto – una volta sola - sembra che gli cadano le braccia quando ammetteva: “et non intellexit illud quod dixi”, cioè: non ha capito quello che volevo dire!

Raniero l'irritabile, che a Pisa era un quarantenne di chiara fama, forse provò qualche acidità di stomaco quando suo figlio Arsendino iniziò a insegnare le stesse materie del padre in quel di Padova. Oppure no: tenerezza paterna. Pure Federico, l'altro suo figlio, era dottor di legge. Fatto sta che, attratto dallo stipendio maggiore, si trasferirà anch'egli Padova già dal 1340, sempre come chiarissimo professore. Vi morirà nel 1358 e gli fu eretto un monumento nel chiostro della Basilica di Sant'Antonio. Qui, nell'epitaffio, vennero riportati i titoli a lui cari: “summus monarca iuris” (Re del Diritto) inoltre “roccia legale”, “luce delle leggi nel mondo”, “amico della ragione nel dubbio”. Mica poco, e nonostante tutto volle subito ricordare: “Livia quem genuit...”, cioè che nacque a Forlì.  Ai posteri particolarmente ferrati in materia lascerà diversi scritti, come: "Trattato delle sostituzioni", la "Lettura del digesto nuovo" e le "Ripetizioni". 

Ora, a Forlì la strada a lui dedicata fin dall'Ottocento è breve ma centrale, portando di fatto in piazza Morgagni dove, alle spalle della statua del sommo medico, nel convento di San Pellegrino, dal 1870 fino alla metà del Novecento si trovava la sede principale del Tribunale di Forlì. Spiace che, com'è avvenuto per la Facoltà di Medicina - distribuita in varie città romagnole - ciò non accadde per Giurisprudenza, passata unicamente a Ravenna. Sarebbe giusto, in nome di Raniero Arsendi, trovare spazio per qualche indirizzo giuridico anche nella sua Livia, a meno che i “ghibellini forlivesi” di oggi – come pare - non abbiano alcun interesse nel promuovere tale iniziativa. 

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