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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il labirinto del giovin signore

La storia controversa del “bamboccione” Ottaviano Riario, Signore di Forlì, figlio di Caterina Sforza

Una rubrica de “La Settimana Enigmistica” porta il nome di “Forse non tutti sanno che…”. Ebbene, “Forse non tutti sanno che…” ai tempi di Caterina Sforza, di diritto il padrone della Città non era tanto lei, l’impulsiva e tremenda Tigre di Forlì ma il suo figliolo primogenito Ottaviano. Morto il di lui padre, era troppo piccolo per governare, pertanto la giovane donna fece il bello e il cattivo tempo come reggente. La figura scialba del ragazzo non ha lasciato nulla di significativo nei ricordi dei forlivesi e la storiografia ne tratteggia un ritratto poco edificante. Chi era, dunque, il giovin signore?

Si prenda in esame una sua effigie numismatica: pare un uomo con la cuffia del potere, capelli lunghi, sguardo non proprio energico, doppio mento, e non aveva ancora vent’anni! Il suo cognome: Riario, è ereditato dal padre Girolamo, mai amato da queste parti tanto da essere stato assassinato nel 1488. Negli affreschi perduti di San Biagio era stato dipinto come un ragazzotto dai boccoli biondi. Come il padre, non fu oggetto di ammirazione se non per l’adulazione (coatta, per lo più) dovuta alla madre. I cronisti del tempo non si risparmiano: è “grassoccio, molle e fiacco”, oppure è “straordinariamente obeso e grosso di cervello”, qualità che gli fu riconosciuta da Giulio II, Papa che lasciò intendere che “nel suo gippone è poca bambaza”, più o meno ciò che a Forlì si direbbe “sasone” o “susinone”. Insomma, bello non doveva essere e neppure troppo sveglio: ma si sa che per amor di verità bisogna prendere con le pinze le fonti dei vincitori. Tuttavia, Ottaviano Riario non avrebbe fatto nulla per contrastare la sua fama, un po’ perché costantemente messo in ombra dalla madre Caterina, un po’ perché probabilmente non era interessato al potere politico né militare.

Il 1° settembre 1479, Caterina Sforza scrisse da Roma una lettera a Bona di Savoia per annunciare la nascita del primo erede maschio. A questa prima informazione sulla vita di Ottaviano seguiranno diversi cambiamenti: l’anno successivo Girolamo Riario otterrà lo Stato di Forlì e Imola e nel 1484 si trasferirà sotto San Mercuriale con la giovane moglie Caterina Sforza. Quando il fanciullo ha nove anni, il padre cade vittima di una congiura: da allora sarà lui, nominalmente, il Signore della Città. La prima materia scolastica che deve ben destreggiare un signorotto del tardo medioevo è il mestiere delle armi. Caterina farà di tutto per raccomandarlo presso Ludovico il Moro, o a Venezia, o a Firenze, senza ottenere grossi risultati: il figlio non è proprio adatto per far guerra. Da Milano, in particolare, giungeranno risposte evasive, come se fosse chiaro a vedersi che il ragazzo sarebbe stato troppo goffo per una tale carriera. La madre si rivolse perfino al re di Francia ma il generale Aubigny disse “no, grazie”. Sarebbe, dunque, stato fortunato in amore? 

Nel 1496, il Signore di Bologna propose a Caterina Sforza sua figlia Isotta Bentivoglio per il giovane Ottaviano. Anche in questo caso fu un fiasco: la ragazza si ritirerà in convento e prenderà i voti. L’anno successivo parve vicino il matrimonio con una figlia di Giovanni Francesco Gonzaga ma questa volta sarà Caterina a dire no: vedeva troppo pericolosi certi legami in un periodo in cui l’Italia iniziava a essere terra di conquista per i maggiori Stati nazionali. Ovviamente l’interessato, il “promesso sposo”, non metteva becco in questioni che lo riguardavano perché la madre, sottile diplomatica, sapeva ben interpretare le nozze come affare politico.
Si fece avanti un’altra pretendente, una figlia di Lorenzo de’ Medici, anche qui picche. Ritornerà, nel 1498, una richiesta da Mantova, ma come si sarebbe potuta smuovere Caterina che affermava: “Non sono in pensiero di dare moglie al presente a mio figlio; quando delibererò, bisognerà pensare di trovare persona che sia al proposito della salute e della conservazione della quiete della casa”? Arriverà anche una sollecitazione ad ammogliarsi con Lucrezia, già coniuge del Signore di Pesaro. La Tigre non sopportava l’idea di avere una nuora divorziata quindi, anche in questo caso, fu esplicita, infatti “non fa pensiero di implicarlo in altro labirinto acciò possa attendere più liberamente a farsi uomo”. 
Il labirinto d’amore di Ottaviano, però, resterà senza uscita.

In effetti, la madre aveva capito che tutta questa smania da parte dei potenti dell’epoca di avere come marito Ottaviano il grosso era un utile espediente per togliersi di mezzo l’impiccio Caterina. Il “bamboccione” con i capelli lunghi sarebbe stato molto più tenero della madre, avrebbe meglio accondisceso alle pretese di potenze straniere. 

Intanto, il ragazzotto senza qualità andrà davvero in guerra: era scoppiato un conflitto tra Firenze e Pisa e Ottaviano fu assoldato con cento uomini d’arme e cento cavalli leggeri. Avrà al seguito Giovanni de’ Medici (suo patrigno) e altri molto più esperti di lui in fatto di guerra. Tutto sommato fece buona impressione ai fiorentini, e chissà quanto Caterina aveva investito per far ben figurare il figlio! Nonostante una vittoria su Pisa, Ottaviano non saprà mantenere la disciplina tra i suoi uomini e la madre tenterà di scusarlo volendo sostituire tutti i compagni del figlio, accusandoli di essere poco valenti. Con la fine del 1498 terminerà il servizio militare e si dedicherà ai suoi cavalli. Niccolò Machiavelli venne inviato da Firenze a Forlì con l’intento, tra gli altri, di chiedere a Caterina se il figlio avesse voluto proseguire la carriera militare anche per il 1499; Ottaviano non ne aveva voglia, si parlerà di soldi e Caterina non si tirò indietro. Non se ne fece nulla perché Firenze non volle impegnarsi per iscritto nella difesa di Forlì e Imola, e stava arrivando il ciclone Borgia che a breve avrebbe sconfitto Lodovico il Moro, l’unico valido appoggio della Tigre. 

Caterina Sforza, con l’approssimarsi della fine, mandò il figlio a Firenze per porlo in salvo, porterà con sé il suo mobilio, gioie e documenti importanti. Il Signorino imbelle non mise più piede a Forlì: resterà la madre a combattere come una tigre fino al fatidico 12 gennaio 1500, quando Ravaldino fu espugnata dal Duca Valentino, Cesare Borgia.  Il resto di questa storia è ancora più triste, se non patetica. La madre era caduta in disgrazia e Ottaviano, pavido e imbolsito, farà capricci per ottenere qualche titolo ecclesiastico. Addirittura vendette ogni sua pretesa sullo Stato di Forlì e Imola per avere in compenso “almeno un vescovado con molti ricchi benefizi”. Chissà cosa sarà passato per la testa di Caterina Sforza: aveva da sola difeso fino all’ultimo lo Stato del figlio e il figlio, molle a Firenze, se ne disinteressò per i suoi interessi. E mentre la Tigre, negli ultimi anni della sua vita, fece la fame, Ottaviano si faceva mantenere dalla madre e capricciava per avere la berretta cardinalizia che mai ebbe. 

Nel 1507 Ottaviano sarà vescovo di Viterbo e ancora lo si ritrova come uno straccione, pregherà la madre di soccorrerlo, inviandogli almeno un mantello. S’indebiterà, lui, e Caterina – come immaginabile – si infurierà. Il figlio, però, è una lima sorda: vuole che la madre gli faccia ottenere un “vicario che sia un valentuomo” in modo da non fare quello che già non stava facendo, vuole che gli si mandi il suo “libro grande” di canto e vuole che Caterina insista con l’Imperatore Massimiliano per ottenere il titolo di cardinale, titolo che, come detto, non conseguirà mai. Morì a 44 anni il 6 ottobre 1523 e venne sepolto nel viterbese. Aveva una figlia naturale, tale Cornelia, poi andata in sposa a Ottaviano Carissimi di Parma, che non ebbe cuore di menzionare nel testamento. 

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