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Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Il tesoro di San Lorenzo

Scavando in un campo, nel 1674 furono scoperti oggetti misteriosi. Marchesi prova a interpretare la loro antichità. Oggi rimangono interrogativi senza risposta: dov'è il Museo Archeologico?

Nel 1674 a San Lorenzo in Noceto affiorarono “quasi su la riva del fiume”, come riferisce l'attento cronista Sigismondo Marchesi, testimone dell'evento, degli antichi manufatti di origine ignota. Il tesoro, rinvenuto durante un tipico lavoro di campagna, si componeva di decine di pezzi metallici.  Che cos'erano? Da dove venivano? Ripulendoli con attenzione dalla terra, fu evidente la loro origine antica: oggetti singolari, di difficile catalogazione, provenienti da un tempo lontano. In particolare, saltava all'occhio un “circolo”, creduto “anello per li Labari ò insegne militari” che poi sembrerà essere “un'Armilla”, cioè un bracciale conferito per onorificenze di guerra. E poi si vedeva un “coltello ò altro che sia stato”, ed era “così manicato, e puntato tutto di rame” replicato in “cinque, ò sei” copie “dell'istessa figura, mà di diversa grandezza”, e “se bene fu giudicato fossero coltelli da sacrificij, ò ferri d'hasta”. Tuttavia, il Marchesi sostiene che “potessero esser'armi da mano, e forse di que' pugnali, che si chiamavano Siche”. 

Ancora l'archeologia, come la intendiamo oggi, era ben al di là dall'essere codificata e questo singolare rinvenimento forlivese riportava l'interesse verso il mondo antico. Il Marchesi provò a dare risposte, secondo le conoscenze del tempo: “Sono tutti di rame, fuorché il maggiore, che è di bronzo” e, chi era lì, rimase a bocca aperta proprio perché non s'erano mai visti oggetti del genere. Le opinioni, le etichette si moltiplicavano: “non concordano gl'ingegni nell'investigarne la verità dell'antico, e proprio uso di ciascheduno”. Insomma, non ci si raccapezzava: “Chi li crede strumenti da sacrificij, chi da militia, mà ogn'uno si fonda solo su l'opinione”. Il pensiero del cronista è “che i due simili a conij havessero potuto servire per lanciarli nelle catapulte, e massime que' minori con le lunette di sotto fatte forsi per commetterle meglio su qualche funicella di simil machina”.

Punte di lance? Proiettili? Armi? Di sicuro parve il ruolo militare, ma quanti anni aveva quel metallo? Al Marchesi sembrò “verisimile” che “essendo stati in questi paesi più volte Magistrati Romani di Pretori, Proconsoli, e Consoli (come s'è osservato in principio) possano gli uni, e gli altri essere stati Securi, che portavano né Fasci Littori”. Quindi erano asce? Scuri di fasci imperiali? Altri, amanti della prosa, preferirono indicarli quali “strumenti da raschiare il pavimento de' bagni”.  Difficile pensare a un'antichità diversa da quella di Roma. In poche parole, sembravano reperti di età romana, benché – con umiltà – sapendo di non essere il suo ramo d'indagine, il Marchesi ammette di lasciare ai posteri l'ardua sentenza, o a pareri più autorevoli: “Lascio à professori il ripescarne la verità, solo bastandomi l'havergli apportati, ed accennate le conghietture fatte fin'à quest'hora sopra di loro”. Prima di promettere di tacere, il cronista preciserà qualcosa sul peso: “de' primi se ne sono trovati quaranta di peso in tutto di cinquanta libre nostrane; e de' secondi un solo di sopra tre libre di peso”. 

Non poteva saperlo, il buon Marchesi, ma quello che fu trovato a San Lorenzo era un ripostiglio di oggetti di bronzo... dell'età del bronzo! Altro che antichità romane: erano manufatti del 2000 avanti Cristo! Si contavano quarantuno asce a margini rialzati, cinque o sei pugnali a lama triangolare e il manico fuso con impugnatura cilindrica ed un'armilla a verga a sezione poligonale e a capi sovrapposti. Testimoniavano un particolare traffico commerciale lungo il Rabbi e una certa attività metallurgica in quel tempo così lontano. Perché se ne parla al passato? Gli oggetti andarono ben presto dispersi. Tutti, a parte due asce e l'armilla, ancora conservate nel Museo Archeologico di Forlì. Il Foro di Livio sollecita da anni il riallestimento e la riapertura dell'importante raccolta dedicata a Santarelli, un tempo collocata nel Palazzo del Merenda e occultata agli occhi di turisti e forlivesi da oltre vent'anni senza che si sappia, ancora oggi, che progetti vi siano in merito. Di tanto in tanto (come in piazzale della Vittoria, ancor prima accanto al Cimitero Monumentale per i lavori della galleria della tangenziale) emergono tracce di un passato antichissimo, indizi importanti sulla vita in età preistorica. Se ne parla alla scoperta e poi che fine fanno quegli oggetti? Perché, dopo gli opportuni studi, non vengono esposti? Perché a nessuno, da lustri, sembra interessare il Museo Archeologico e non ci si appresta a progettare un allestimento vicino alle sensibilità del secolo? È così difficile? In altre città, no. A Forlì, a quanto pare, sì.

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