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Domenica, 4 Giugno 2023
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Un forlivese in Polonia

Un cardinale in missione tra le corti europee: Camillo Paulucci di Calboli e i tulipani rossi di Porta Schiavonia

Nell'ottobre 1747, fu colpito da un ictus e Benedetto XIV di lui scrisse che questo era dovuto al “vivere alla polacca ed alla tedesca nel mangiare e nel bere” cui ormai era abituato. Il Papa di allora stava parlando di Camillo Paulucci di Calboli, cardinale forlivese, nipote d'arte (suo zio era un altro celebre porporato). La premura pontificia arrivò a chiedersi se per lui fosse preferibile “vivere, o morire”, visto le continue notizie infauste che stavano arrivando sulla salute del romagnolo. Sembra che fu salvato da cinque o sei salassi, sebbene la testa da lì in poi non sempre desse testimonianza di essere “a segno”. Non avendo a disposizione dati clinici o esiti di analisi del sangue, è difficile stabilire a che valori si sia spinto il cardinale, vero è che nei ritratti è effigiato con un volto pasciuto e disteso. Era nato a Forlì come Camillo Merlini il 9 dicembre 1692, poi acquisì il cognome materno perché suo zio Fabrizio Paulucci (papa mancato) ne curò l'educazione. Crebbe così alla scuola dell'allora segretario di Stato della Santa Sede, suo zio, appunto, pertanto non sarebbe stato creanza non seguirne le tracce. Dal 1709 lo si trova a Roma, a studiare nella Pontificia Accademia dei nobili ecclesiastici, in seguito frequentò la Sapienza per studi giuridici pure con Prospero Lambertini, poi Benedetto XIV. Dieci anni dopo sarà sacerdote e salì i gradini: nel 1724 era arcivescovo di Iconio, assistente al trono pontificio e segretario della Cifra. 

La città che vanta una prestigiosa sede di studi internazionali e diplomatici non ricorda questo forlivese che ebbe incarichi, per esempio, in Inghilterra, Galles e Scozia. Ma cose di poco conto a confronto di ciò che avrebbe avuto più tardi tra le mani. Nella tarda primavera del 1727 fu mandato in Polonia come nunzio dove rimase per dieci anni. Non trovò un ambiente facile, la serenità era turbata dalla guerra di successione polacca. Se la cavò egregiamente e grazie alla sua influenza vinse tra i contendenti Augusto III, sostenuto da Austria e Russia. Forlì volle dedicargli Porta Schiavonia, che mantenne il misterioso nome antico senza diventare – che so – Porta Camilla. Il bell'edificio slanciato che si vede tutt'ora, infatti, ha la facciata settecentesca e sorse, in questa nuova veste, come “arco di trionfo” delle imprese del concittadino nelle terre lontane. Innalzata in mezzo a ciò che restava della Cittadella di Sant'Eustachio (ebbene sì, questo era il nome quattrocentesco della Rocchetta di Schiavonia, ora ridotta a un torrione e mezzo), sostituiva una precedente Porta in foggia dimessa. Sul nuovo arco, in origine, era un'immagine della Madonna del Fuoco tra i Santi Valeriano e Mercuriale e poi fu adornata col busto del cardinale Camillo Paulucci. L'effige del porporato fu prontamente smantellata dai solerti iconoclasti non appena Forlì entrò a far parte del Regno d'Italia, nel 1859. L'iscrizione centrale però è ancora lì a testimoniare questo personaggio di cui ci si è ben presto dimenticati. In questi giorni, chi andrà a curiosare sotto la Porta, noterà senz'altro fotogenici tulipani in fiore nell'aiuola verso corso Garibaldi, che, in stretto e lungo filare, formano una stria rossa particolarmente suggestiva, una processione. Che siano rossi cardinale?

Per le sue doti diplomatiche, Camillo ottenne la nunziatura di Vienna (1738-1745) e anche qui si trovò nel bel mezzo di una guerra di successione. Questa volta, però, l'incarico fu più gravoso: per farla breve, il trono di Sacro Romano Imperatore faceva gola agli Asburgo e alla casata di Baviera. Inizialmente la posizione di Roma fu la neutralità mentre sembrava evidente la vicinanza del cardinale forlivese agli Asburgo (nel 1741 battezzò il futuro Imperatore Giuseppe II, figlio di Maria Teresa). Il Papa, alla fine, però appoggiò i bavaresi e così fu: il porporato forlivese attrasse critiche ma seppe stare al suo posto. A Vienna si occupava pure delle faccende del Granducato di Toscana, allora retto da Francesco Stefano di Lorena e ad altre questioni legate al territorio italiano. Nel 1745 lo stesso Francesco Stefano di Lorena divenne Imperatore d'Austria, fatto che fu visto dal forlivese come pretesto per tornare a casa, o per lo meno per avvicinarsi. Vienna cercò il più possibile di tenerselo stretto, infatti vi rimase cinque mesi più del previsto. Nel frattempo era diventato cardinale già dal 1743 ma la cerimonia avvenne solo il 31 marzo 1746 per un bisticcio con Maria Teresa d'Austria su come dovesse essere la cerimonia per la berretta cardinalizia. Dal settembre di quell'anno, Paulucci governerà la Legazione di Ferrara e ricoprì altri incarichi di tutto rispetto. Ben ventidue cardinali concelebrarono i suoi funerali a Roma, nella chiesa di San Marcello dov'è sepolto. Era morto l'11 giugno 1763. 

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