Un vescovo o un intruso?
La storia di Guglielmo Bevilacqua nella riottosa Forlì del Quattrocento, caro agli Ordelaffi e scelto dai forlivesi contro il potere di Roma
È più noto alle comuni orecchie il termine “antipapa”, ma chi sa che Forlì non si è fatta mancare un antivescovo? Ai tempi delle lotte delle investiture poteva capitare, specialmente nelle città ghibelline, che non fosse gradito il prelato scelto dal Papa e la comunità ne eleggesse uno poi prontamente non riconisciuto da Roma. Il capoluogo romagnolo, però, si distinse nel fenomeno ben dopo le annose vicende tra Pontefice e Imperatore; così nel primo Quattrocento si dipana la questione di un frate che a furor di popolo fu acclamato vescovo dai forlivesi.
Il 28 aprile 1427, papa Martino V nominò vescovo di Forlì Giovanni Caffarelli, aristocratico romano, ambizioso, colto e ben adatto agli affari della politica. Tuttavia, almeno agli inizi della sua missione, preferì mantenersi distante dalla Romagna, e questo poi non era cosa così strana per i prelati del tempo. Non pare fosse presente – tanto per far un esempio – nei concitati giorni che succedettero al Miracolo della Madonna del Fuoco (4 febbraio 1428) e forse queste sue assenze pesarono. È anche vero che in città esisteva pure un vescovo governatore, Domenico Capranica, umanista, papa mancato, preposto alle questioni temporali della città di Livio. Capranica, a sua volta aveva messo fuori gioco gli Ordelaffi riprendendo per la Santa Sede il controllo di Forlì. Tra i due vescovi non correva buon sangue e forse per questo Caffarelli preferì essere solo saltuariamente dentro le questioni cittadine, già abbastanza ingarbugliate.
Finché accadde un fatto che ricorre spesso nella storia della Forlì medievale: il suo spirito ghibellino alza la testa e di Roma non si vuol più sentir parlare. Ciò avvenne per due ragioni: corse voce che il successore di Capranica, Tommaso Paruta, stava chiamando a manforte del governo papale delle truppe veneziane per dare una regolata ai forlivesi. Ancora nel basso medioevo i liviensi erano allergici all'idea di essere governati da potenze straniere e il velato disinteresse del vescovo Caffarelli fece il resto. Così il 26 dicembre 1433 scoppiò un'insurrezione popolare che fece fuggire in malo modo Tommaso Paruta per accogliere a gran voce Antonio Ordelaffi, fino al giorno prima bandito ed esiliato. Ora, la comunità forlivese diretta dai ghibellini estromise ogni vestigia del potere romano fino a elevare al soglio di San Mercuriale un frate agostiniano: Guglielmo de Zavariaciis, detto Bilaqua, o Bevilacqua.
Guglielmo Bevilacqua era il priore del convento di Sant'Agostino che un tempo si estendeva nella piazza prospiciente all'attuale vescovado. Tommaso Paruta già da tempo aveva chiesto alla Santa Sede di prendere in considerazione il nominativo del frate per l'ordinazione episcopale tuttavia Roma – conoscendo i suoi polli - non gradiva che Forlì fosse retta da un vescovo forlivese. Da parte sua, Bevilacqua (che più che un cognome era un soprannome) aveva ben studiato fino a esser considerato un fine teologo e filosofo ma soprattutto quello che faceva piacere ai forlivesi era la sua posizione chiaramente ghibellina. Vicinissimo agli Ordelaffi tanto da esserne ambasciatore al Concilio di Costanza, ebbe un ruolo chiave nella riscossa di Antonio in quel dicembre del 1433. Fu lui che mediò con Battista Codiferri, castellano di Ravaldino, per la cessione della rocca agli Ordelaffi dopo la dipartita di Paruta e dei pontifici.
Fu lui a recarsi a Milano dai Visconti per intercedere a vantaggio del novello signore, fu lui a proporre come difendere Rocca San Casciano e Dovadola dalle scorrerie dei fiorentini, fu lui che chiese la prigione per i fratelli Giuntini, rei di tramare contro gli Ordelaffi. I forlivesi, nel frattempo, lo avevano scelto come vescovo mentre Caffarelli, per Roma, doveva rimanere al suo posto. Una situazione, questa, che imbarazzò non poco papa Eugenio IV (che nell'immagine pare piuttosto imbronciato): l'antivescovo Guglielmo fu l'unica autorità religiosa operante in Forlì tra il 26 dicembre 1433 e l'ottobre 1435 quando il Santo Padre riuscì a fare il suo mestiere e convocò il vescovo “intruso” per rispondere dell'usurpazione. Il tribunale era a Firenze, lo attendeva il Pontefice, Caffarelli e Domenico Capranica, l'unico, quest'ultimo, che conosceva le dinamiche della città di San Mercuriale.
La multa fu salata: 300 scudi d'oro che probabilmente non versò. Bevilacqua tornò a Forlì nel gennaio del 1436 con l'intento di tornare a far la vita dell'umile frate in convento. Forse avrebbe sperato che la situazione di fatto si concludesse con la sua ordinazione episcopale, ma questo, come invece pare prevedibile, non avvenne. Anzi, fu – come oggi si direbbe – demansionato e mandato nel convento di Santa Maria del Pantano, a Galeata, e non certo era un premio. Tornò poi a Forlì grazie al Consiglio degli Anziani che non potevano dimenticare il suo impegno caro agli Ordelaffi. Nemmeno in seguito nessuno sembrò in grado di toglierli la mitria, e lo stesso Pontefice nel gennaio 1437 lo trovava come unico interlocutore per Forlì, con buona pace di Caffarelli che non aveva mai smesso di sperare di andarsene dalla Romagna per lidi più quieti e prestigiosi. Infatti, il vero vescovo tolse il disturbo e fu mandato ad Ancona.
Al suo posto, Roma inviò a Forlì un prelato di origini istriane: Ludovico da Pirano, mentre fra Guglielmo non smise mai di essere nelle grazie di Antonio Ordelaffi che lo coinvolgeva in consigli e ambascerie. La presenza “pesante” di Bevilacqua fece sì che gli ultimi anni della sua vita li trascorse non tanto in convento ma presso l'abitazione della famiglia di un sarto cui donò per testamento i suoi beni. Il 14 ottobre 1466 “in decrepita aetate” l'antivescovo Guglielmo morì.