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Venerdì, 2 Giugno 2023
Il Foro di Livio

Il Foro di Livio

A cura di Umberto Pasqui

Una Forlì d'azzardo

Nel 1867 dilaga il lotto clandestino. Tra “numeretti” e scommesse, i forlivesi spendono i loro pochi soldi in giochi proibiti

Nel 1867 il Ministero dell'Interno e delle Finanze, nella sede dell'allora capitale Firenze, viene a sapere di una “piaga sociale” che dilaga a Forlì “in proporzioni grandissime”. Si tratta del “giuoco clandestino del lotto detto volgarmente lotteria o giuoco dei numeretti”. La Prefettura assicura che “quest'uffizio non manca d'impiegare ogni vigilanza per scoprire i contravventori e i luoghi dove si prendono tali giocate” ma “è tale e tanta l'astuzia che si usa dagli intraprenditori di tal giuoco da rendere quasi impossibile il coglierle in fragrante”. Difficile, quindi, estirpare questa cattiva abitudine anche perché “i luoghi ove si tengono le giocate” cambiano di settimana in settimana e “si cambiano gli imprenditori”, una ragnatela tale da costituire una vera e propria associazione a delinquere con diramazioni in moltissime famiglie. 

Con l'Unità d'Italia, il 27 settembre 1863 il bilancio dello Stato includeva per la prima volta il gioco del Lotto (legale). Qualche mese dopo venivano ufficializzate le estrazioni di Firenze, Milano, Napoli, Palermo e Torino. Già dal 26 febbraio 1804 i forlivesi, assiepati davanti al balcone del Palazzo Comunale, aspettavano con ansia i risultati della prima estrazione dei numeri vincenti. 
Anche il lotto forlivese di cui si tratta, clandestino, ha origini antiche ma è negli anni risorgimentali che conoscerà una vera e propria diffusione capillare. 

Le ragioni per cui è attecchito il gioco d'azzardo, secondo ciò che riferisce la Prefettura, sono “l'impunità quasi sicura in cui sono i contravventori”, e pure “l'educazione del minuto popolo, il quale getta l'unico soldo che dovrebbe rivolgere al sostentamento della famiglia”, infine “la differenza del prezzo delle giuocate”. Infatti, essendo così diffusa la pratica clandestina, le puntate potevano avere anche costi di molto bassi e alla portata delle tasche dei più disgraziati, consentendo peraltro una resa di vincita migliore rispetto a quella garantita dal Lotto ufficiale. La pratica diventa presto una patologia: è “monomania del pazzo popolo” che s'illude di far fortuna con vincite prodigiose. Insomma: tra azzardo e omertà i forlivesi si affidavano ai “pregiudizi” dei “numeretti”. 

I furfanti “usano tenere all'ultimo piano della casa” il luogo deputato alle scommesse. In mezzo alla porta di casa, di guardia, sta “un confidente ed agente molto scaltro e pratico” che “appena vede nella contrada” arrivare un “agente della forza” o “appena vedesi al minimo sospetto” chiude la porta di casa. Ci sono stati casi, però, che un agente infiltrato, travestito, si sia introdotto in una di queste case, tuttavia “con eguale destrezza” il palo “chiude la porta interna e dà avviso e tempo ai complici per distruggere, abbruciare i libri che sono semplici fogli volanti”. All'occultamento delle prove sono preferibilmente destinate le donne di casa, mogli o figlie. Impossibile, dunque, prendere i giocatori con le mani nella marmellata, con un efficace sistema di difesa ogni indizio veniva fatto sparire rendendo impossibili fermi o arresti. 

Forlì (rappresentata dalla Ruota di Firenze) nella smorfia napoletana è il numero 62. Che è anche quello del “morto ammazzato” (!). Numerosi sono i forlivesi che pure in tempi recenti hanno vinto indovinando la giusta combinazione tra i novanta “numeretti”. Le cronache ricordano che la prima vincita clamorosa al SuperEnalotto fu proprio di un forlivese che il 27 giugno 1998 scommise in una tabaccheria di viale dell'Appennino per centrare un sei dal valore di 16 miliardi di lire. 

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