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Il Foro di Livio

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A cura di Umberto Pasqui

Zaffira, la seconda moglie

Il 14 giugno 1473 moriva una signora di Forlì ora completamente dimenticata. Ecco la sua triste storia

Zaffira, chi era costei? Mentre la figura di Caterina Sforza è al centro di una serie di incontri nei pressi di San Domenico (quanto sarebbe stato meglio nella Rocca di Ravaldino o dentro la Ripa!), l'oblio continua ad avvolgere le signore che, sebbene prive del carattere iconografico della Tigre, hanno comunque condiviso il governo di Forlì. Il 14 giugno 1473 moriva una giovane donna poco conosciuta che entrò e uscì dalla storia in breve tempo senza nemmeno aver compiuto i trent'anni.  

La figura bellissima e per molti versi scespiriana di Pino III Ordelaffi vide succedersi al suo fianco tre mogli. Si conosce la grazia della prima (Barbara Manfredi) il cui sepolcro s'illumina con un gettone in San Mercuriale, e la concretezza della terza (Lucrezia Pico della Mirandola), la più volitiva ed energica delle tre, poi rimasta vedova. In mezzo, nel diaframma degli amori politici, c'è un'altra donna, la meno colorita, la meno trattata, la più inafferrabile. Si tratta di Zaffira Manfredi. Si badi bene, non inganni il cognome: è vero, era della stessa stirpe della cugina Barbara ma di un ramo avverso. Era il ramo di Imola, quello sventurato, che ebbe scarsissima fortuna nonostante le mene di Marsibilia Pio da Carpi, seconda suocera di Pino. 

La morte della giovanissima Barbara Manfredi fu la goccia che fece traboccare il vaso, oppure il vaso di pandora malamente scoperchiato tra Forlì e Faenza. I rapporti delle due città vicine non erano mai stati distesi, ma il matrimonio con Barbara segnava un periodo pacifico. Poi tornarono gli attriti e Barbara morì. Per i faentini fu avvelenata dal marito Pino che ancora oggi si porta addosso il peso di tale probabile calunnia. Tuttavia in quel tempo (1470) il signore di Forlì stava vivendo un periodo aureo del suo governo, tanto che ebbe modo di meritarsi l'abbraccio del Papa che lo confermò tra i suoi preferiti.

E solo il Papa poteva “sgavagnare” una situazione spinosa: Zaffira Manfredi era cugina di Barbara, essendo dunque affine non sarebbe stato possibile il matrimonio, a meno che non fosse intervenuta una dispensa da Roma. Così avvenne: i due si sposarono. Era il 27 maggio e uno spettacolo così principesco Forlì non l'avrebbe più visto: un lungo corteo nuziale di notabili e chierici riempì l'attuale corso Garibaldi dalla piazza fino alla Trinità, e attorno il popolo che gridava stupito e commosso da tanto sfarzo. Lei, nel fiore dei suoi ventun anni, appariva splendida, “pulcherrima”, una vera principessa delle favole. Il giorno successivo fu data una giostra in piazza. Nel Palazzo (ora Municipio) sventolava un lungo drappo in damasco rosso, trofeo che si sarebbe aggiudicato tale Biasetto dei Binni che poi altro non era che lo scudiero della sposa novella.

La giovane donna, con un incarnato pallido al tempo segno inequivocabile di bellezza, era la persona giusta nel posto giusto. La madre di lei, Marsibilia, stava volentieri anch'essa a Forlì, a Palazzo, complice un'affettuosa amicizia con Pino. In effetti, la suocera gradita era ospite della corte forlivese a causa della salute non proprio di ferro della principessa Zaffira ma i lunghi e frequenti soggiorni a Forlì significavano una riscossa sui Manfredi di Faenza e – perché no – mire sulla sua città d'origine: Carpi. 

La sua fortuna, però, fu di breve durata. Assisté infatti a un alterco tra due giovani sul Ponte del Pane, lite che sfociò in un omicidio. Così Zaffira fece arrestare l'assassino, un sedicenne chiamato Ciarpelone. La pena prevista sarebbe stata l'impiccagione. Tuttavia, inaspettatamente, Pino III non volle procedere all'esecuzione e bloccò il procedimento. Perché? Zaffira ebbe un moto d'ira per l'intromissione del marito, fatto che nascondeva una trama piuttosto intricata, tutta interna a potenti e influenti uomini d'arme vicini alla casa principesca.

A sostenere la donna intervenne Gasparino Stambazzi, amico nelle di lui imprese militari e confidente nelle di lei vicende. Egli apostrofò con dure parole Pino: “Io prego la Signoria vostra che serva con giustizia et ragione noi altri Forlivesi et Madonna Zaffira vostra moglie, che volere servire questo castraporcello, questo conte finocchio, conte assassino”. Di chi stava parlando? Pino lo sapeva benissimo: si trattava del conte Aghinolfo, personaggio che amava circondarsi di “mamoletti et ragazzi”. Insomma, Aghinolfo si era innamorato di Ciarpelone e aveva convinto Pino a sospendere la pena per il suo giovane amante. Però l'esecuzione, alla fine, ebbe luogo: il ragazzo venne decapitato. 

Aghinolfo, avendo saputo delle trame di Gasparino, fece in modo che costui cadesse vittima di un “boccone glorioso”: tornato a casa dopo una cena, morì tra gli spasimi. Il capezzale era presidiato da Zaffira, cosa che alimentò di non poco le inevitabili dicerie. E qui le chiacchiere presero davvero il sopravvento, soprattutto quando la salute della signora, dopo l'assassinio di Gasparino, peggiorò sensibilmente. E le voci dicevano che, nell'intimità domestica, Pino si rivelava sempre più freddo, più sospettoso. Di sicuro la giovane donna morì il 14 giugno 1473 a venticinque anni e fu sepolta in San Pellegrino. Così si attribuì la morte a un altro “boccone glorioso” somministrato dal marito geloso.

Pare però l'ennesima calunnia contro il vedovo Pino, vero è che la salute della donna era sempre stata cagionevole e forse – vien da pensare al luogo scelto per la sepoltura – fu consumata da una qualche forma tumorale. Chissà. Il suo sepolcro oggi è di difficile individuazione, in tempi remoti si sarebbe vista una lastra in pietra con quest'iscrizione:  “Hic Zephira Ordelaphi coniunx pulcherrima Pini / atque e Manfredo sanguine nata iacet. / Rapta fuit quinto nondum circundata lustro / et lucem terris quam dabat ipsa tulit”. Cioè: “Qui giace Zaffira, moglie bellissima di Pino, generata dalla stirpe dei Manfredi. Fu rapita prima di aver compiuto venticinque anni, portando con sé la luce di cui inondava la terra”.

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