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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Stipendi bassi nella ricca Romagna. Serve una rivoluzione per avvicinare imprese e giovani

Erik Maskin premio Nobel per l’economia, sintetizzò: “La Romagna è uno dei luoghi più ricchi e felici del mondo, con una qualità della vita senza pari. Il suo problema è il ricambio generazionale, lento, e la prospettiva d’inserimento dei giovani, modesta”

Nel 2018 Lorenzo Tersi, manager cesenate di stanza a Roma, ispiratore e regista di “Fattore R”, la più importante kermesse economica romagnola del decennio, chiamò a relazionare Erik Maskin premio Nobel per l’economia. Lo studioso, dopo avere approfondito la questione, sintetizzò: “La Romagna è uno dei luoghi più ricchi e felici del mondo, con una qualità della vita senza pari. Il suo problema è il ricambio generazionale, lento, e la prospettiva d’inserimento dei giovani, modesta”.

Quelle parole mi colpirono. Non c’erano ancora la pandemia, con i suoi effetti psicologici sulle nuove generazioni, a mio giudizio sopravvalutati, né il reddito di cittadinanza, provvedimento discutibile ma dagli effetti, sempre a mio giudizio, sopravvalutati.

Qualche giorno fa Paolo Lucchi, alla sua prima intervista da neo presidente di Legacoop Romagna, sistema che fattura sei miliardi di euro all’anno, ha posto come questione principale la difficoltà di assumere, individuando la necessità di alzare il compenso dei lavoratori. E’ un pazzo? Si direbbe di no, visto la difficoltà  registrata da anni di reperire forza lavoro in molti, se non tutti, i settori della economia. 

Al fenomeno sono state date spiegazioni colorite, qualche mese fa qualcuno s’è spinto a dire ai giornali che i giovani sono incalliti vagabondi. La reputo affermazione peregrina: per un ventennio ho frequentato ogni giorno studenti universitari, non ho mai percepito che uno solo di loro sognasse di passare le proprie mattinate davanti alla tele a sciropparsi vecchi sceneggiati del tenente Colombo. Tutti aspiravano a lavorare, con soddisfazione.

Ora, messi da parte argomenti “leggeri” come il reddito di cittadinanza o la depressione giovanile, resta da chiedersi se gli stipendi proposti siano sufficienti per spalancare ai giovani non dico certezze ma almeno speranze di una vita dignitosa. Togliamo dal mezzo anche la questione dei contratti collettivi nazionali. Presuppongono che il compenso di un lavoratore, per fare un esempio, sia lo stesso nella poverissima montagna irpina e nella costiera balneare romagnola d’estate, ove il costo della vita è enormemente superiore. Entità oggettivamente incomparabili che necessitano di trattamenti salariali diversi.

Chiunque osservi la realtà economica romagnola conclude che gli stipendi offerti spesso non consentono ai giovani: di fronte anche a un semplice mutuo per l’acquisto di un appartamento, di programmare con un minimo di serenità la propria esistenza. E noi vecchi, che, in epoche più fortunate del Paese e della Romagna, con lo stipendio di due insegnanti o due impiegati in casa eravamo benestanti, dovremmo astenerci da considerazioni dilettantesche e improvvide sulle attuali attese dei giovani. E’ ragionevole pensare, dunque, che Lucchi non sia pazzo. E che una riflessione sugli stipendi da offrire possa, auspicabilmente, essere allargata all’intero mondo imprenditoriale.

Sul mancato decollo del rapporto domanda offerta di lavoro incide anche un’altra questione molto seria: la effettiva formazione dei giovani, la loro capacità d’essere utili all’impresa. Sul punto ho fatto due chiacchiere nei giorni scorsi con il nuovo presidente, Carlo Battistini, e con il nuovo direttore, Roberto Albonetti, ex direttore dell’assessorato economico della Lombardia, della Camera di commercio della Romagna. Non si tratta di dilettanti allo sbaraglio. La pensano entrambi allo stesso modo: la guida della formazione, a loro giudizio, va affidata direttamente alle imprese.

Una sorta di rivoluzione copernicana del settore e, come ogni rivoluzione, presenta incognite, scatena mal di pancia e necessita di messe a punto progressive. Ma, aggiungo, io, all’interno di una economia che evolve alla velocità della luce e modifica i propri parametri da un attimo all’altro, ripensare modelli superati non è sacrilegio ma esigenza. Qualcosa, del resto, per avvicinare imprese e giovani va fatto, speditamente. Altrimenti la valutazione fatta a nel 2018 da Erik Maskin diverrà triste, stabile, profezia. Avremo per gli anziani una Romagna felice, ancora per un po', e per i giovani prospettive ansiogene. Situazione che ci porterà in breve tempo ad essere tutti infelici. 

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