rotate-mobile
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Cosa sta succedendo nelle Camere di Commercio e come (forse) andrà a finire

Adesso, a pandemia forse debellata, i nodi tornano al pettine. Si farà la fusione Ravenna-Ferrara? Sulla carta nulla è cambiato

Tutto cominciò con il Governo presieduto da Matteo Renzi, il rottamatore mise nel mirino della lotta agli sprechi le Camere di Commercio imponendo immediate fusioni. Effettivamente qualcosa non tornava, in giro per l’Italia, con un utilizzo frizzante di autisti e auto blu e stipendi dei direttori-segretari talvolta eccessivi. Il Paese non è omogeneo e sotto la scure finirono anche Camere che svolgevano funzioni strategiche e tenevano comportamenti sobri. Fatto sta che anche in Romagna ci si dovette porre con urgenza il tema di fusioni tra le Camere esistenti, quella di Ravenna, quella di Forlì-Cesena, quella di Rimini. Non era, non lo è mai in questi casi, questione semplice: saltano presidenze, direzioni, etc, mentalità e metodi devono (dovrebbero) uniformarsi. 

La trattativa tra Forlì e Ravenna risultò subito complicata, peraltro era condotta da personalità che più diverse tra loro non avrebbero potuto essere. Il presidente a Forlì e Cesena era Alberto Zambianchi (lo è tutt’ora ed è anche presidente della federazione regionale delle Camere), a Ravenna guidava Natalino Gigante. Zambianchi, ex direttore di Confindustria, abilissimo negoziatore, è uomo mite e tenace che nessuno ha mai sentito pronunciare una parolaccia. Gigante, ex direttore di Cna, riflessivo e convinto delle proprie idee, ha frequentato da ragazzo le scuole di formazione politica e sindacale del partito comunista. L’accordo non si fece ma sarebbe ingiusto attribuire responsabilità ai protagonisti: poco tempo prima la politica, con gran squillare di trombe e di annunci, aveva provato a realizzare la famosa provinciona della Romagna senza però cavare un ragno da un buco. 

Tra le camere resse il patto tra Forlì-Cesena e Rimini e nacque la Camera della Romagna mentre a Ravenna si mise mano a un accordo con Ferrara, scelta giustificata dal fatto che una fusione andava fatta a prescindere, un po’ meno da ragioni storico- geografiche. Le cose nel tempo si sono però complicate. A Ravenna la presidenza camerale è passata al direttore di Concommercio Giorgio Guberti (in città e provincia Ascom è forte e Guberti è stimato a destra e a sinistra) ma la fusione con Ferrara non s’è fatta. Tanto che la Camera di Ravenna è stata commissariata circa un anno fa per essere finita fuori tempo massimo anche se è stato nominato commissario lo stesso Guberti, con ciò chiarendo che alla base della drastica decisione non c’erano comportamenti illeciti. 

Adesso, a pandemia forse debellata, i nodi tornano al pettine. Si farà la fusione Ravenna-Ferrara? Sulla carta nulla è cambiato, ma non sempre la carta canta. Una settimana fa i sindaci di Ravenna, Michele De Pascale, e di Ferrara, Alan Fabbri, hanno scritto al ministero per chiedere di stoppare la fusione, asserendo che le due Camere possono tranquillamente rimanere autonome.  Vedremo. Nel frattempo nel ravennate i sentimenti d’amore per Ferrara pare si stiano raffreddando, come termometro utilizzo le trasmissioni di Salotto blu delle ultime settimane: il direttore di Cna, Massimo Mazzavillani s’è detto curioso degli esiti della vicenda, il leader nazionale dei giovani agricoltori e presidente del consorzio di bonifica, Stefano Francia, ha definito la questione del patto con Ravenna un pasticcio. Antonio Mingozzi, ex presidente della provincia ed ex vice sindaco di Ravenna, conoscitore d’ogni angolo dei poteri ravennati, se n’è uscito con una battuta: “e se approfittassimo di questo stallo per riaprire il discorso per una Camera unica della Romagna?”. Ipotesi non peregrina. Aggiungo che De Pascale (che è giovane ma tutt’altro che fesso) sta mettendo in piedi proficui dialoghi con le altre città della Romagna su infrastrutture comuni che farebbero comodo a tutti ma a Ravenna in particolare. E che associazioni d’impresa come Confindustria, Confcooperative, Lega Coop, Confederazione degli agricoltori si sono date da tempo strutture e organismi di dimensione romagnola.

Intanto a Forlì, Cesena e Rimini ci si apparecchia, tra complicati calcoli numerici, per il rinnovo delle cariche. Si scrive sui giornali che stavolta la presidenza toccherebbe ai commercianti. Fosse così la questione sarebbe tra il forlivese Giancarlo Corzani, riservato direttore di Confesercenti e il cesenate Augusto Patrignani, presidente di Confcommercio e del Cesena calcio. Corzani, manager esperto, guida da decenni una struttura solida e non è cosa da poco, diverse associazioni del commercio sono state nel frattempo costrette a bruschi ridimensionamenti. Anche Patrignani, fondatore di un’ impresa di successo, può dire altrettanto della Confcommercio cesenate ove il direttore Giorgio Piastra e il vice direttore Alberto Pesci hanno saputo tenere la barra dritta nei periodi più difficili. Quindi entrambi, Corzani e Patrignani, offrirebbero alla Camera robuste garanzie.

Tuttavia un paio di uccellini spesso ben informati mi hanno sussurrato che le cose potrebbero andare diversamente. L’attribuzione al commercio sarebbe ancora in alto mare e, tra candidature vere e altre messe lì solo per spiazzare altri, rischi di fratture tra persone, associazioni e territori, alla fine si chiederà a Zambianchi, ben visto da tutti, di prolungare di qualche anno la propria esperienza. Uno dei due uccellini mi ha anche suggerito che vice presidente potrebbe essere una donna, magari la combattiva manager Patrizia Rinaldis, presidente della potente associazione riminese degli albergatori. Per poi prendersi tutti un paio d’anni per capire come finirà la questione a Ravenna e riparlare magari d’una Camera romagnola. In Ottobre sapremo se gli uccellini hanno ragione.
Mi sovvengono le parole pronunciate qualche mese fa a Salotto blu da Paolo Maggioli, imprenditore riminese e presidente di Confindustria Romagna: “non aver realizzato una Camera unica della Romagna è occasione persa”. E quelle di diversi leader imprenditoriali che ho intervistato ultimamente, a microfoni accesi e talvolta spenti: “le Camere, non ricevendo più contributi pubblici hanno perso smalto, devono darsi nuove missioni e riprendere ruolo strategico”.
Intendiamoci: all’interno delle Camere lavorano funzionari cresciuti con eccellenti maestri. I servizi erogati a imprese e cittadini sono tutt’ora di primo livello.

Ma senza mezzi (oggi le Camere sono sostenute quasi esclusivamente dagli imprenditori) è difficile, se non impossibile, costituire la cabina di regia della economia locale, come fu un tempo. Senza contare che l’economia è molto ma molto cambiata, da allora.  Saranno indispensabili, quanto meno determinanti le Camere nei prossimi anni, al di là dei servizi di sportello al pubblico? E’ domanda che si fanno anche diversi di coloro che siedono nei consigli e nelle giunte camerali. I quali, detto per inciso, non percepiscono un euro per il loro mandato elettivo, come del resto succede ai presidenti. In un epoca in cui troppe esperienze di prossimità finiscono frettolosamente in soffitta, mantenere il presidio delle Camere sarebbe senza dubbio buona cosa. E forse mantenerne una per l’intera Romagna sarebbe la soluzione più ragionevole.   
 

Si parla di

Cosa sta succedendo nelle Camere di Commercio e come (forse) andrà a finire

ForlìToday è in caricamento