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La domenica del villaggio

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A cura di Mario Russomanno

Elezioni in Romagna, ci sarà la "Rivoluzione d’ottobre"? Chi rischia e chi parte bene, con l'incognita delle alleanze nazionali

In autunno si voterà in diversi Comuni, quelli che elessero i propri sindaci nel 2016. Si andrà alle urne anche a Bologna, Ravenna e Rimini. Fare il punto sulle manovre in corso è azzardato, le questioni sospese della politica nazionale condizionano le strategie locali.

In autunno si voterà in diversi Comuni, quelli che elessero i propri sindaci nel 2016. Si andrà alle urne anche a Bologna, Ravenna e Rimini. Fare il punto sulle manovre in corso è azzardato, le questioni sospese della politica nazionale condizionano le strategie locali. Nel centro destra si farà il partito unico promosso da Berlusconi? No. Nascerà la federazione indicata da Salvini? Probabilmente no. Di certo la crescita impetuosa di Giorgia Meloni e il repentino passaggio, registrato anche dalle nostre parti, di esponenti di altri partiti verso Fratelli d’Italia non semplifica i rapporti interni allo schieramento e la proposizione delle candidature. In casa penta stellata s’attendeva per questa settimana l’investitura di Giuseppe Conte ma l’entrata in scena di Beppe Grillo, con tutto ciò che ne sta derivando, complica di parecchio la situazione. Chi sa se le aperture al PD ascoltate dalla voce dei leader cinque stelle romagnoli qualche giorno fa saranno confermate? A Bologna la disfida alle primarie Dem tra la renziana Antonella Conti e Matteo Lepore, esponente della sinistra, è stata vinta da quest’ultimo ma occorrerà capire  quante ferite lo scontro lascerà.

Qualche giorno fa a Salotto blu Widmer Valbonesi, vice segretario nazionale di quel partito repubblicano che ha numeri risicati ma che conserva appeal, ha detto che Lepore non rappresenta il cambiamento auspicato e che si valuterà se sostenerlo. Il PRI avrebbe appoggiato invece la sindaca di San Lazzaro. Lepore appare favorito per la vittoria finale, si vedrà se sarà in grado di tranquillizzare l’elettorato moderato. Il centro destra intanto sfoglia la margherita dei candidati: in pole position c’è un “civico”, l’editore Roberto Mugavero. La sua è tutt’altro che un’auto candidatura: un mese fa stava uscendo bello pacifico dal suo ufficio alla “Minerva” per trasferirsi, come spesso fa nel week end, a Cesenatico, quando una telefonata inaspettata dal quartier generale del centro destra lo ha bloccato in autostrada. Gli hanno chiesto di tenersi pronto, la cosa lo ha inizialmente agitato ma poi è prevalsa in lui l’idea di mettersi a disposizione della città. E’ apprezzato dalla Lega e da Galeazzo Bignami, leader di Fratelli d’Italia. La questione si giocherà comunque sui tavoli nazionali, affollati e spesso forieri di sorprese. Martedì prossimo è atteso a Bologna Matteo Salvini, forse se ne saprà di più.

Parte favorito anche Michele De Pascale, sindaco di Ravenna riproposto dal centro sinistra. Non che a Ravenna non ci siano decisive questioni da risolvere da almeno un quindicennio: dal porto al collegamento stradale e ferroviario  con le direttrici nazionali dello sviluppo. Ma De Pascale, post ideologico, inclusivo, vanta relazioni anche fuori dal perimetro di centro sinistra. Con le rappresentanze imprenditoriali, ad esempio. E con quegli ambienti che in una città coesa, e un po’ chiusa, incidono: il sistema bancario locale, le professioni, l’associazionismo culturale. I repubblicani, che in città contano, guidati dal catalizzatore di preferenze Antonio Mengozzi, sono con lui. Italia Viva, che un anno fa ha sostenuto a Faenza Massimo Isola ottenendo un assessorato, è con lui. I cinque stelle? A Salotto blu il senatore  Marco Croatti ha detto qualche giorno addietro che l’ipotesi d’appoggiare De Pascale è concreta, vedremo se quel che succede a Roma tra Grillo e Conte influenzerà le scelte. Partita dunque non semplice per le opposizioni, che al momento non esprimono una leadership condivisa. Ma De Pascale è già dovuto passare dal ballottaggio nel 2016, vincendo poi con il 53% dei consensi, non un enormità. Sa che se non vince al primo turno tutto può succedere. In politica se non dai l’idea di controllare il mazzo della carte, amicizie anche tenere da un momento all’altro possono raffreddarsi. 

Quel che va succedendo a Rimini, invece, fa dire a chiunque che Pd e centro sinistra, da sempre governano la città, rischiano. Il sindaco uscente Andrea Gnassi  per Rimini ha fatto molto, nel suo decennio la città ha svoltato verso la modernità. Se ne va, nessuno sa dove, ha indicato nell’assessore Jamil Sadegholvaad il proprio successore. E però ha avanzato la propria candidatura a sindaco anche Emma Petitti, affabile ma determinata presidente della Assemblea Legislativa Regionale, che vanta gran curriculum: consigliere comunale e segretaria del Pd riminese, fu eletta alla Camera nel 2013 quando i cinque stelle erano il primo partito riminese. L’anno dopo, su insistenza di Bonaccini, lasciò il parlamento per fare l’assessore in Regione. Ma tra lei e Gnassi non ce n’è. Se parli con Petitti e Gnassi percepisci intelligenze brillanti, padronanza delle materie. Ma anche idee antitetiche sul rapporto tra partito e città. E’ scontro, nessuna autorità Dem intervenuta è stata in grado di risolverlo, ci riproverà a ore l’ex ministro Boccia. Spunta l’ipotesi delle primarie tra Petitti e Sadegholvaad. Ipotesi che inquieta i potenziali alleati del Pd, tra essi i pentastellati. Tra loro Croatti e la collega deputata Giulia Sarti garantiscono che non succederà come nel 2016, quando a Rimini e Ravenna i grillini, dominanti nei sondaggi, non si presentarono per dissidi interni.

Stavolta intendono essere protagonisti. A Rimini pare non disdegnerebbero l’alleanza con il centro sinistra ma lo stallo interno ai Dem complica le cose. I dirigenti del movimento non possono aspettare, devono parlar al proprio elettorato di futuro e soluzioni per la città. Tanto più che nella vicina Cattolica, unico comune in Regione governato dai cinque stelle e dunque luogo simbolo del movimento, il PD fa la guerra al sindaco Mariano Gennari e gli si candida contro. Gnassi nel 2016 vinse nettamente al primo turno, sull’abbrivio di un primo mandato svolto con entusiasmo. Adesso il clima interno al PD sconcerta. A Rimini, poi, nessuno è in grado di capire quale sia lo stato d’animo diffuso dopo un anno e mezzo di pandemia, in una città nella quale all’interno di ogni famiglia c’è almeno un lavoratore autonomo per il quale l’andamento dell’estate sarà decisivo. Il centro destra, dal canto suo, fatica a trovare unità su nomi e strategie ma avrebbe potenzialità di intercettare consenso. Alle regionali del 2020 a Rimini Stefano Bonaccini raccolse il 48% dei voti, la leghista Borgonzoni per il centro destra il 45%. Se l’opposizione azzecca una candidatura davvero solida e la condivide può arrivare al ballottaggio, si vocifera nei bar. Ma il candidato/a indiscutibile al momento non c’è e non pare profilarsi all’orizzonte. Un film molte volte visto in passato, nella città di Federico Fellini.  

Quel che è certo è che Il centro sinistra, dopo aver perso Forlì nel 2019, non può permettersi in Romagna un’altra debacle. Come ho rammentato due domeniche fa, il PD, nel 2018, alle politiche, riuscì ad eleggere solo tre dei dodici romagnoli approdati in Parlamento: un autentico salasso, ben più d’un campanello d’allarme. Nel riminese furono eletti quattro parlamentari, nessuno di loro è di centro sinistra. Le comunali sono da sempre la comfort zone Dem in Romagna, perdere un’altra delle città sarebbe un disastro. Con un ulteriore scossone un sistema di relazioni e poteri consolidati praticamente da sempre entrerebbe in fibrillazione.   In Romagna altri Comuni, di più piccole dimensioni ma significativi, andranno al voto in autunno. Ne parleremo, buona Domenica. 
 

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