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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Il ruggito dell’acqua, l’urlo dell’umanità, il canto dei ragazzi

il peggio si è materializzato nella più grave emergenza mai vissuta dalla nostra terra. Uccidendo, devastando, annichilendo

Nella notte tra lunedì e martedì scorso sono uscito per fare due passi nel paese dove abito, Meldola. Era da poco passata l’una. Sullo storico Ponte dei Veneziani, il silenzio era squarciato dal rombo del fiume, spaventevole. Il Bidente, che su quel ponte comincia a chiamarsi Ronco, scendeva con un impeto, e un ruggito minaccioso,  mai registrati con quella intensità. Non ho pensato al peggio. Del resto, come molti che, come me, parlano e scrivono in pubblico, sono bravissimo a prevedere non il futuro ma il passato.

Il peggio, invece, è arrivato.  Si è materializzato nella più grave emergenza mai vissuta dalla nostra terra. Uccidendo, devastando, annichilendo.

Prendendo, tra le altre, la vita a Sauro. L’ha ceduta martedì scorso per la fatica e il dolore, tentando di salvare sua moglie, la compagna di una vita, rapita dall’acqua a Ronta. Il corpo di lei sarà ritrovato sull’arenile a Zadina, venti chilometri oltre, a sera. Sauro ha fatto in tempo, prima che il suo cuore cedesse, a chiamare disperatamente il cognato e a dirgli quel che era successo. Suo cognato mai dimenticherà quelle urla, al cui pensiero ciascuno di noi fatica a trattenere il pianto. Ci succede, pensando alle quattordici vittime al momento accertate di questa immane tragedia. Ed anche pensando alle sofferenze di migliaia di persone, che non finiranno con la bella stagione.

Succede perché  quello che abbiamo visto o ci è stato raccontato in questi giorni trasuda umanità. Ci riconosciamo  nella paura e nel dolore, ma anche nella dedizione generosa di chi sta operando lungo strade, fossi, campi, vicoli, negozi, magazzini, officine, laboratori violentati dal fango. Persone mute e dignitose, armate di vanghe e di resistenza alla fatica.

Ci riconosciamo in ciascuno degli eroi per caso che non hanno esitato a rispondere alle urla di un altro essere umano. Quelle, ad esempio, della madre che in una strada di Cesena invasa dall’acqua agitava, disperata, il corpo della propria bambina. Sono stati un super tifoso bianconero e un cuoco serbo a tuffarsi per salvarle, senza pensarci un attimo; per poi spiegare a chi li intervistava d’aver fatto la cosa più naturale del mondo. Ci riconosciamo nei protagonisti della immagine che rimarrà a simbolo della catastrofe: ritrae un soccorritore che, con l’acqua fino al collo, trasporta sulle spalle un vecchio. L’espressione dell’anziano che fino a qualche secondo prima aveva temuto di annegare all’interno del luogo più accogliente, la propria casa, e quella dell’uomo che con fatica lo sta traguardando alla salvezza, non le dimenticheremo.

Perché abbiamo scelto non di vivere come bruti ma per seguire virtute e conoscenza, come raccomandava Dante Alighieri, che la Romagna l’aveva percorsa a piedi. Ciascuno con la virtù e la conoscenza che s’è potuto permettere, c’abbiamo provato. Come ci stanno provando i leader delle tre città martiri.

Il sindaco di Forlì, con la sua faccia antica e trasparente da pater familias, incupita della responsabilità, durante una drammatica diretta Facebook, di annunciare che l’acqua di lì a un’ora avrebbe invaso la città e di raccomandare di non pensare alle cose ma  a salvar la vita. Parole fatte proprie qualche minuto dopo dal sindaco di Cesena, con il volto scavato dalla magrezza e dalla tensione. Lui, che già era stato il più giovane parlamentare della storia italiana, s’è trovato, a trentacinque anni, a chiedere ai concittadini di scegliere la vita e non le cose. Compresa la casa,  che pur per tutti noi è simbolo d’una intera vita di famiglia e lavoro. E il sindaco di Faenza, che nella vita è conversatore affabile e si occupa di comunicazione, ma che, sbigottito dal tormento della sua gente, di fronte all’intervistatore televisivo non ha trovato altra parola per descrivere l’accaduto che cataclisma. Parola che, immediatamente adottata dai media, è diventata efficace sintesi dell’irraccontabile.

Nessuno di noi vorrebbe essere al posto dei tre sindaci, adesso, ma loro sono noi. Come gli altri sindaci, donne e uomini, dei comuni di montagna, collina, pianura, schiantati dall’acqua o dalle frane. Ne scrutiamo l’umanità, i volti sfiniti e partecipi: sono nostre sorelle e fratelli, con qualche fardello in più.

La stessa umanità messa a disposizione da un numero sterminato di donne e uomini per dare una mano, attraverso la rete della protezione civile, che ricordiamolo, è fatta di volontari. E quella offerta da tantissimi attraverso i social, proponendo aiuto, un letto, un piatto di pasta. Stavolta i social hanno mostrato virtù e non accidia, gli esempi sono mille. Ve ne riferisco uno solo: lo traggo dal gruppo facebook dei vecchi soldati di leva del della caserma forlivese di via Roma. Tanti di loro, da tutta Italia, hanno scritto: se serve una mano ditemelo, io torno perché i forlivesi furono gentili con me e voglio ricambiare. Sono ex militari che conobbero la Romagna a vent’anni e non l’hanno dimenticata.

Vent’anni hanno oggi le migliaia di ragazze e di ragazzi che, col passa parola di telegram, si sono riversati in ogni dove con una vanga o una pala in mano, sorridendo, spandendo fiducia e coraggio, commuovendo chi si trova nel bisogno e nella afflizione. Ragazzi che non sanno quale sarà il loro futuro, visto che a molti di loro vengono proposti stipendi che non gli permetteranno mai di accendere un mutuo, ma che sanno perfettamente come impiegare il presente.

Quei ragazzi, tra le mille e mille canzoni che conoscono, intonano “Romagna mia”. Il canto della speranza in un mondo migliore, quello che meritano e che sapranno costruire. Anche rispettando di più l’ambiente, la montagna, la collina e la gente che faticosamente è rimasta ad abitarle. Noi, diciamolo, abbiamo dimenticato di farlo. Quei ragazzi ci riusciranno e, intanto, il loro canto attutisce il terrore che il ruggito del fiume incute.
 

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Il ruggito dell’acqua, l’urlo dell’umanità, il canto dei ragazzi

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