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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Giorgio Guberti, il manager che punta ad allargare i confini della Romagna

Giorgio Guberti guida un sistema che geograficamente costituisce novità assoluta e interessante

Giorgio Guberti è il presidente della neo costituita Camera di Commercio di Ravenna e Ferrara. Come sapete, a fare una Camera unica della Romagna non ci si è riusciti; come per altro, chiacchiere a parte, non si farà mai una Provincia unica della Romagna. Quando il ministero impose alle Camere di tutta Italia di raggrupparsi, erano i primi anni dieci del nuovo millennio, Forlì, Cesena e Rimini trovarono un sofferto accordo, poi occorreva andare a trattare con i ravennati. Già era dura di suo, poi c’erano oggettive distanze umane e politiche. Non se ne fece niente. Spuntò l’ipotesi di una aggregazione tra Ravenna e Ferrara (restia a far famiglia con Bologna), inizialmente accolta con freddezza dalla politica ravennate. Poi decollò, e chi sa che non abbiano avuto ragione i promotori. Nel 2019 Giorgio Guberti, venne eletto presidente della Camera di Ravenna.

Lo conosco dagli anni novanta: era un giovane, educatissimo, preparato, funzionario della Confcommercio ravennate, associazione della quale è da molti anni direttore. Era simpatico, trasparente, acuto, era avvocato, ma non so se avrei scommesso su di lui. Non aveva una parrocchia politica alle spalle, veniva da una famiglia semplice,  palesemente non era tipo da organizzare agguati a chi che sia. E quello era un mondo pieno di insidie e di spallate. Invece, con garbo, rispetto e ascolto del prossimo, di strada ne ha fatta tanta. Sono state le altre associazioni ravennati a chiamarlo al soglio, all’unanimità. E, qualche mese fa, pure quelle ferraresi. Adesso guida un sistema che geograficamente costituisce novità assoluta e interessante. Per questa conversazione l’ho sentito al telefono.

Presidente, da dove vieni?
"Mia mamma, casalinga, era di Castrocaro. Mio babbo, di Russi, era responsabile della segheria della Poggiali di Ravenna, azienda storica. Vivevamo a Ravenna, sono stato il primo in famiglia a frequentare l’università. Venni assunto in Confcommercio nel 1987, direttore era Ettore Papa, cui subentrò l’anno successivo un altro maestro, Ettore Betti. Inizialmente mi collocarono alle relazioni sindacali, poi mi affidarono l’ufficio legale. Un bel giorno mi ritrovai direttore e fu l’orgoglio più grande della mia vita professionale".

Frequentai Papa e Betti ai tempi in cui quella dei commercianti era la lobby più potente e più temuta dai politici. Confcommercio è ancora l’associazione ravennate con il maggior numero di iscritti?
"Si, forte anche dei numeri di Faenza, Lugo, Cervia, piazze a grande tradizione commerciale. Certo, nell’ultimo decennio abbiamo perso il dodici per cento dei negozi, come più o meno è avvenuto in tutta Italia. Regge, e cresce, invece, il sistema del turismo e quello dei servizi, affiliato alla nostra organizzazione. Il tempo delle lobby è superato, il mondo è cambiato, il dialogo tra privato e pubblico è evoluto. La politica stessa è diversa da quei tempi. Più che la capacità di far pressione oggi servono idee. Servono a tutti, ce ne fossero!"

Ravenna e Ferrara, c’azzeccano veramente?
"Si. Sono entrambe città d’arte, dichiarate Patrimonio dell’umanità da Unesco, Il Parco del Delta del Po le unisce nella difesa della natura. Hanno in comune il turismo balneare, iniziative industriali, progetti ed esigenze logistiche. Come la battaglia storica per ottenere migliori collegamenti viari e ferroviari. Per giunta, hanno in comune il Collegio Uninominale per il Senato. Soprattutto identità culturali e sociali radicate da secoli. Sono terre di confine con storie parallele".

Vessillo della Romagna ammainato?
"Assolutamente no, non da parte nostra.  Facciamo parte della Romagna e ne siamo orgogliosi. Con la Camera di Forlì, Cesena e Rimini abbiamo eccellente collaborazione. Mi capita anche, come sai, di essere amico del presidente Carlo Battistini fin dai tempi in cui dirigeva la Confcommercio cesenate. Lo stimo e ci sentiamo regolarmente. Nulla ci vieta di pensare, tutti assieme, a una Romagna che guarda a Ferrara, siamo convintamente in “Romagna Next” e continueremo ad esserne fautori. Perseguiamo, però, l’idea di un arricchimento, Ferrara aggiunge e non toglie. La fusione tra le Camere di Ravenna e Ferrara può costituire occasione storica".

Torniamo a Ravenna. Da anni tormento gli ospiti di “Salotto blu” sostenendo che è isolata.
"Non hai scoperto l’America, lo sappiamo bene. Ci sono ragioni storiche oggettive, non essendo sull’asse della Via Emilia, ma anche ritardi intollerabili. Mancano infrastrutture stradali e ferroviarie adeguate, a Ravenna non arriva l’alta velocità.  La E45 è abbandonata da Cesena a Ravenna per i continui cantieri, rendendo complicato il collegamento con Roma. Così come il collegamento Ravenna- Venezia, la Romea non regge il traffico della modernità. Lo abbiamo detto mille volte, assieme alle Camere della Romagna e di Ferrara. E’ questione vitale, riguarda tutti".

La politica cosa risponde?
"A parole è sensibile.  A onor del vero le istituzioni ravennati e regionali, tutte, non solo quelle elettive, hanno posto la questione da tempo e fermamente. Lo snodo è la politica nazionale, che pare distratta chiunque governi, che comandi il centro sinistra o il centro destra. Senza la volontà di Roma, che latita, è impossibile intervenire. Vuoi un aneddoto?"

Certo che sì.
"Tempo fa venni intervistato da una giornalista del “New York Times, era in Italia per descrivere città storiche. Scrisse sul suo giornale un pezzo magnifico su Ravenna, definendola sfavillante, ma aggiunse che era irraggiungibile. Questo per ribadire che conosciamo la situazione. Aggiungo che la regione ha varato l’idea di creare più d’una “Zona logistica semplificata”, che deve essere approvata dal Ministero e consentirebbe una decisa semplificazione per le imprese operanti in quelle aree. Non è ancora attuata. Né da questo Governo né dai precedenti. Scriverò alla Premier e al Ministro Fitto per sollecitare la cosa, che Coinvolge undici diversi nodi intermodali in Emilia Romagna".

A cosa servono le Camere di Commercio, oggi?
"Hanno valenza ancora maggiore del passato, nonostante che a suo tempo siano state messe in discussione. Hanno competenze specifiche e determinanti, nessun ente è altrettanto importante per le imprese. Alcune di queste competenze, poi, guardano al futuro, pensa alla digitalizzazione, alla internalizzazione. Ti do un dato: il  quarantaquattro per cento delle imprese in Italia utilizza ancora la carta per le proprie comunicazioni. C’è molto da fare e quel lavoro lo possono fare, realisticamente, solo le Camere".

Eri a “Salotto Blu” tre giorni prima che Giuseppe Conte chiudesse l’Italia causa pandemia. Eri bianco come un cencio, venivi da una riunione a Bologna ove s’era paventava la implosione della economia. Siamo ripartiti?
"Ricordo quella sera, a Bologna qualche ora prima c’eravamo confrontati tra colleghi del nord Italia, smarriti. Pareva davvero che la storia dovesse fermarsi. Nessuno, in Italia e in Europa, azzardava previsioni. Direi di si, siamo ripartiti. Anzi, c’è una sorta di euforia collettiva tra imprenditori che colgono opportunità. E’ vero che le previsioni di crescita per il prossimo anno sono a zero ma registriamo entusiasmo in molti settori. Pensa: il porto di Ravenna ha fatto nel 2022 il risultato migliore degli ultimi vent’anni, anche grazie all’annuncio dell’approfondimento dei fondali. Il che spiega ulteriormente quanto conti l’ammodernamento".

I corpi intermedi, camere, sindacati, associazioni, etc, sono stati a lungo sotto attacco da parte di chi intendeva comandare senza mediazioni. E’ ancora così?
"Non è più così, a mio giudizio. Fortunatamente ci si è resi conto che i corpi intermedi, oltre ad avere una storica funzione di partecipazione e rappresentanza, offrono garanzia di risultato. Senza di loro manca unitarietà d’azione,  diminuisce la capacità di decrittare prontamente la realtà, di far circolare informazioni e condividerle, di trasferire decisioni. Do coinvolgere persone e imprese. Senza i corpi intermedi nel periodo Covid sarebbe saltato tutto. Anche i più recalcitranti e presupponenti se ne sono accorti".

Il modello delle associazioni regge?
"Sta reggendo, pur nelle difficoltà di diversi settori, commercio tradizionale in primis. Nelle grandi difficoltà causate dalla pandemia gli imprenditori si sono avvicinati alle proprie associazioni, ne hanno capito l’indispensabilità. Oggi c’è maggior vicinanza rispetto ad anni addietro. Certo, nei periodi di grande crescita economica le associazioni servono meno. Inevitabilmente il problema ce lo si dovrà porre. Fare associazione è cambiato e cambierà".

I giovani possono ancora contare sulla economia per il proprio futuro?
"Devono assolutamente contarci e contare su istituzioni che sappiano cogliere e interpretare le loro esigenze. Negli ultimi dieci anni in Italia è sparito il venti per cento delle imprese giovanili esistenti. Di fronte a una tale ecatombe non possiamo rimanere a guardare. Evidentemente i giovani credono meno nel fare impresa, per le tante ragioni che sappiamo. Dobbiamo aiutarli a mettersi in proprio, istruendoli fin dagli anni della scuola. Dobbiamo ricostituire l’habitat naturale per giovani che vogliono mettersi in gioco. E’ il compito della mia generazione".

Ultima domanda, facile facile. In cosa differirà il mondo tra cinque anni.
"Sarà migliore, credimi,  a patto che non intervengano  traumi epocali. Quattro anni fa non avevamo idea che potesse esistere qualcosa chiamato covid. Abbiamo superato la pandemia, tra perdite e difficoltà enormi, abbiamo cercato di andare avanti. Subito dopo cosa è successo? La guerra insensata dichiarata all’Ucraina. Se le cose potranno andare avanti senza tragedie del genere, con obbiettivi condivisi indirizzati al bene comune, avremo un grande miglioramento delle condizioni di tutti. I temi di fondo saranno la transizione ecologica e quella digitale, vedrai che faremo grandi passi nella costruzione di un mondo migliore". 

Ringrazio Giorgio Guberti. Buona domenica a voi, alla prossima.

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