rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

"I Maestri": Cristiano Barbarossa, tra inchieste scottanti e amore per la Romagna

Cristiano è uomo di cultura dolcemente cosmopolita, di rara simpatia e disponibilità, non a caso adora Romagna e romagnoli: "Cri sei uno di noi", si griderebbe in uno stadio o in un palazzetto delle nostre parti

Cristiano è uomo di cultura dolcemente cosmopolita, di rara simpatia e disponibilità, non a caso adora Romagna e romagnoli: "Cri sei uno di noi", si griderebbe in uno stadio o in un palazzetto delle nostre parti. Però attenzione: Cristiano, al pari del fratello Luca, cantante di rango e divertito conduttore radiofonico, tifa spudoratamente Roma. Allo Stadio Olimpico va nel poco tempo libero.

Barbarossa è regista d’inchiesta tra i più apprezzati in Italia e in altri Paesi: i suoi lavori per Rai uno, Rai tre, Discovery Channel, con focus su roventi casi giudiziari e narcotraffico internazionale (conosce il sud America anche per avere abitato in Venezuela) gli hanno valso i principali riconoscimenti, tra essi il Premio Ennio Flaiano e il Premio Ilaria Alpi. E’ autore di libri di successo, ultimo uscito “Crimine infinito”, edito da Fandango e scritto a quattro mani con il collega e amico Fulvio Benelli. Per questa conversazione l’ho sentito venerdì scorso, mentre era, nella città si eterna, ma anche caotica e contraddittoria, alla ricerca della targa della sua auto, sottratta nottetempo. Fastidio che non lo scoraggia: voglia di approfondire, rispetto per chiunque, sono per lui carburante quotidiano.

Cristiano, quando hai conosciuto la Romagna?

Ai tempi in cui svolsi una inchiesta sulla sanità italiana per la trasmissione “Super Quark”. Mi resi conto della eccellenza dei vostri ospedali, a Forlì, a Cesena, a Rimini, sconosciuta a molti altri. Più avanti mi venne proposto di realizzare una fiction sulla figura di Giovan Battista Morgagni, il patologo forlivese che, all’inizio del settecento, con i suoi studi e con la tenacia nell’andare controcorrente rispetto al pensiero dominante, letteralmente cambiò la scienza medica. Conobbi persone, organizzazioni, modi di pensare e vivere che apprezzai molto.

Quando tua madre, l’attrice, in precedenza modella, Bianca Canulla, che Tiziana Rambelli, che la conobbe, ricorda come persona splendida, si trovò ad aver bisogno di cure, le consigliasti la sanità romagnola.

Non ebbi dubbi. Una scelta che rifarei e che convinse mia mamma, alla quale sono grandemente debitore, anche più di quanto un figlio naturalmente sia. In Romagna trovò medici, infermieri e assistenza di primissimo livello. E una concezione umana della medicina che non si riscontra ovunque. Voi romagnoli vi siete assuefatti, siete talvolta critici, ma la vostra è isola felice. Poi, della Romagna mi piace l’ambiente, la prossimità, il modo di vivere.

La fiction su Morgagni, presentata solo recentemente per via della pandemia, è davvero significativa. Ero tra il pubblico, un successo.

Non sta a me giudicare i risultati. Mi piace, invece, rammentare che nel corso della lavorazione mi sono reso conto di cosa sia lo spirito romagnolo. Grandi medici come Dino Amadori, Claudio Vicini, Luca Saragoni, Enrico Ricci, Stefano De Carolis, Giancarlo Cerasoli, si resero immediatamente disponibili. L’ufficiale di collegamento fu Tiziana Rambelli, della Ausl, entrò in contatto con amici che si misero in gioco nel figurare come personaggi dell’epoca, in costume settecentesco. Tra loro Graziano Rinaldini, apprezzato manager, e Sonia Muzzarelli, curatrice di beni culturali, che impersonò la moglie di Morgagni.

Racconta, ti prego, la faccenda del cadavere.

Si sparse la voce che realizzavamo la fiction con scopi di cultura e valorizzazione del territorio. Si proposero, gratuitamente, persone disposte a darci una mano. Un signore disse: io mi presto a fare il morto. Lo mettemmo in scena ripetutamente, nelle molte riprese dedicate alle autopsie con cui Morgagni inaugurò la stagione moderna della patologia. Il cadavere era sempre lui, impeccabilmente rigido e, se mi è consentito scherzare, sempre professionale.

Chi sostenne l’iniziativa?

L’istituto oncologico romagnolo, una eccellenza, come l’Irst di Meldola, e due aziende private: Formula Servizi e Estados Cafè. Il lavoro svolto da Fabrizio Miserocchi, direttore dello Ior, fu fondamentale, come quello di Mattia Altini, che allora era all’Irst. Non devo ricordare io ai romagnoli il professor Dino Amadori, la cui scomparsa è stata una perdita per quella concezione di scienza dal volto umano di cui parlavo prima.

Ti chiamo dalla Romagna, orgogliosa dei propri miti, anche quelli dello sport. Tra le tue inchieste c’è quella sulla morte di Marco Pantani. Mi dici qualcosa?

La faccenda non mi ha mai convinto. Dobbiamo partire da un fatto accertato: la malavita organizzata aveva scommesso sulla sconfitta di Pantani al Giro d’Italia che, invece, lui stava vincendo per distacco. Dietro c’era un giro di soldi enorme. Marco fu inchiodato per il livello del suo ematocrito, che, a distanza di ore, dette risultanze diverse, contraddittorie. Parlai con specialisti della materia, si dichiararono sorpresi da quella alternanza. Pantani, dopato o no, fu comunque ucciso quel giorno, obbligato al ritiro dal Giro, al disonore e alla gogna mediatica. Il resto, vizi, cattive abitudini, venne dopo e, a mio giudizio, fu conseguenza. Anche le circostanze della morte, aggiungo, non sono mai state del tutto chiarite.

Per Discovery Channel, nella serie “Tutta la verità”, hai approfondito casi giudiziari controversi. Il mostro di Firenze, il delitto di Garlasco, la strage di Erba, altri. Dal punto di vista umano, qualcosa o qualcuno ti ha colpito particolarmente?

Il caso di Avetrana, con l’omicidio della giovane Sara Scazzi. La giustizia, a mio giudizio, non è andata oltre ogni ragionevole dubbio. Cosima e Sabrina Misseri, nel bel mezzo di un delirio mediatico, sono state condannate sulla base di supposizioni, non di prove schiaccianti. Dal punto di vista personale mi ha colpito la figura tragica di Valentina Misseri, pur di grande dignità.

Perché?

Nel caso, che io reputo più vicino alla realtà, che l’assassino sia suo padre, reo confesso, Michele Misseri, è la figlia di un omicida. Nell’altro caso, quello sancito dalla sentenza e fortemente cavalcato dai media, è sorella e figlia di due assassine che lei, invece, non senza qualche ragione, ritiene innocenti. Una vicenda che il più grande dei narratori forse non avrebbe saputo concepire. Una persona dello spessore e della esperienza del professor Coppi, che difendeva le Misseri assieme all’avvocato Marseglia, pro bono, non ha ancora trovato pace per l’esito giudiziario della vicenda.

Ci si chiede se il sistema mediatico influisce sull’esito dei processi.

Per la mia esperienza si. Oggi il processo, nei casi eclatanti soprattutto, è, dal punto di vista cronologico, prima mediatico e solo successivamente giudiziario. I tempi della giustizia sono lunghi, quella della televisione rapidi, emettere sentenze mediatiche aumenta l’attenzione. A quel punto, inevitabilmente, una forma di condizionamento esiste, la pressione è forte per tutti: per gli inquirenti, per i legali, per la magistratura giudicante, per le giurie. Attenzione, non è così solo in Italia, quel che ci raccontano romanzi e fiction internazionali non è inventato.

Allarghiamo il ragionamento: dove stanno andando televisione e informazione?

Pochi giorni fa è scomparso Angelo Guglielmi, che inventò generi televisivi puntando su innovazione, risorse ridotte, creatività. Oggi i mezzi per raccontare attraverso immagini sono praticamente alla portata di tutti ma manca la spinta innovativa. Le notizie devono competere con l’immediatezza di un tweet, la rincorsa è preferita all’approfondimento, ed è un male. Un tempo reportage efficaci potevano far cadere governi; impossibile, invece, oggi approfondire, nelle condizioni di precariato in cui opera il giornalismo.

Tu e Fulvio Benelli, con il vostro recente libro, battete altra strade.

Siamo partiti da fatti reali per arrivare alla narrativa, che è approfondimento. Ci interessava riflettere sulle connivenze delle società civili con le mafie, le complicità, il familismo amorale, i cerchi magici. Volevamo indagare l’animo umano, quel prestare il fianco anche solo per comodità. Ci ha fatto molto piacere che, in zone di mafia, il nostro romanzo sia stato adottato come libro di testo nelle scuole, che i ragazzi abbiano capito il pericolo di determinati comportamenti. Anche questa può essere una strada della comunicazione, proviamo, esploriamo.

Grazie Cristiano, a presto.

A te, e un caro saluto ai romagnoli.

Buona domenica, alla prossima.

Si parla di

"I Maestri": Cristiano Barbarossa, tra inchieste scottanti e amore per la Romagna

ForlìToday è in caricamento