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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Amo la Romagna, cosa ci posso fare?

La domenica del villaggio

Poliedrico personaggio tv, racconta la storia dei dancing in Romagna: "Molto meglio le sale da ballo dei social"

Dove ho attinto queste e altre migliaia di informazioni sul panorama musicale del Novecento? Nel libro, appena uscito, “Ricordi di Bal’era”, opera monumentale e allo stesso tempo divertente di Gianni Siroli

Sapevate che, negli anni ruggenti erano attive, a Rimini, band come i “Crazy Boys” o i “Cugini Superstar”? Che a Monte Colombo si esibiva l’orchestra “La crisi economica”? Che a Fusignano suonavano “I Terrestri”? A Faenza gli “Arcidiavoli”? A Cesenatico i “Vulcani”? A Ravenna i “Vagabondi”? Che Alfonso Leonessi fondò a Forlì, con il figlio Claudio, l’orchestra “Claudio di Romagna”? Che a Meldola Giuseppe Aprili attivò l’orchestra che portava il suo nome? Che a Borghi prese il via “La dolce stagione”? Che un calabrese trapiantato a Forlì, Franco Betrò, fondò la band “Franco e the Four Jolly”, con cui ebbe successo in Italia e negli Stati Uniti?

Io non lo sapevo, ma capisco che si trattava, al tempo, di esprimere, da parte dei romagnoli, il proprio entusiasmo e la voglia di conoscersi, stare assieme. Dove ho attinto queste e altre migliaia di informazioni sul panorama musicale del Novecento? Nel libro, appena uscito, “Ricordi di Bal’era”, opera monumentale e allo stesso tempo divertente di Gianni Siroli, poliedrico personaggio che più d’una generazione ha conosciuto come conduttore televisivo ma che possiede molte altre sfaccettature. 

Gianni è lughese/faentino simpatico, dotato di acume e di memoria enciclopedica. Un galantuomo le cui passioni non sono mai diventate merce, arroganza, invadenza.  Quella che lui tratta nel libro è materia che, a grandi linee, conosco, per essermene occupato più volte ma, vi assicuro, impressiona la quantità sterminata di locali, band, pezzi musicali, di cui l’autore ricostruisce atmosfere e di cui offre notizie. Il libro si candida ad essere pietra miliare del settore, appena l’ho avuto in mano, ho invitato Siroli a “Salotto blu” e a fare questa intervista per i Today. L’ho dovuto convincere, contrariamente a quanto avviene quasi sempre in questi casi. Non desidera che questo libro sia scambiato per ricerca di business. La dico con il mio lessico: per lui è testimonianza di una vita che intende condividere. Nulla di più.  

Gianni, da dove vieni?

Da Passogatto, una borgata di Lugo. I miei genitori erano mezzadri che, nel tempo, riuscirono a comprare un appezzamento di terra da coltivare in proprio e che, per questa ragione, si trasferirono.

Situazione frequente, in quegli anni di cambiamento, in meglio, delle condizioni di tanti. Come sei arrivato alla musica?

Ero iscritto a ragioneria e, contemporaneamente, seguivo i corsi dell’Istituto musicale Malerbi di Lugo. Studiavo, in particolare, il corno, strumento a fiato presente nelle orchestre di musica classica. 

Da strumentista classico a qualcosa di diverso, dunque. Come avvenne?

Nel 1966 in Italia irruppe la musica beat. Come molti giovani ne rimasi affascinato, era una rivoluzione, peraltro iniziata qualche anno prima con “gli urlatori”. Decisi di cimentarmi con quel genere, fondai una band, allora si chiamavano complessi, cui demmo il nome di “Oscar 67”.

Che vita era?

Premetto che, come tanti musicisti, avevo un lavoro alle spalle, per potermi sostenere: quello che ha caratterizzato la mia esistenza è l’impegno per le ferrovie. Cui giunsi, non mi vergogno a dirlo, con una raccomandazione, allora le cose funzionavano a quel modo. Per molti anni sono stato sui treni, ero il controllore dei biglietti. Sono stato onorato e soddisfatto di quel mestiere.

Tornando alla musica, agli “Oscar 67”?

Una bella esperienza, diversa da quella di un musicista dei giorni nostri. Non c’era internet, non esistevano che pochissimi strumenti di comunicazione. Se facevi musica in periferia le cose si complicavano ulteriormente: stavo a Lavezzola, zona di confine tra Romagna e il ferrarese, ci si muoveva in motorino, oppure in treno. Non c’erano, nei pressi negozi di dischi, di strumenti musicali, tenersi aggiornati non era semplice.

Dove si suonava?

Ovunque capitava, si correva verso luoghi di ritrovo diversissimi. La gente aveva gran voglia di divertirsi, ogni posto era buono. Capitava anche di suonare per la politica, che occupava molti spazi e dava vita a manifestazioni. Io facevo, volentieri, le Feste dell’Unità e, contemporaneamente, organizzavo le manifestazioni per la parrocchia.

Dunque, il “Compromesso storico”, ipotizzato da due giganti della politica come Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, l’hai inventato tu.

Per ridere possiamo dire così. Il partito comunista era leader, nelle mie zone, ma la parrocchia, l’altro punto di aggregazione, mi ha portato fortuna. Mi vollero a insegnare musica negli asili a conduzione religiosa. Feci bene, tanto che, successivamente, mi chiamarono a insegnare alle elementari e alle medie. Non c’era, al tempo, la figura dell’insegnante di musica di carriera, o, comunque, non era diffusa. Furono, per me, bellissime esperienze.

La televisione come arrivò?

Per caso, come succedono tante cose. In parrocchia avevo allestito un musical con i bambini. Ci fu la possibilità di portarlo a Tele Santerno. Mi innamorai della televisione, era il 1978. Comincia a condurre trasmissioni a TelePortomaggiore, poi passai a VideoCentroRomagna, ove inventai il format di “A trebb”. Nel 1985, a VideoRegione, inventai “Scacciapensieri”, successivamente, a Erreunotv, feci “Tavola grande”. Poi, a Teleromagna, condussi “La Romagna nel cuore”. E così via. Sono stato un uomo fortunato, anche per questo intendo trasmettere quel che so al pubblico.

Hai condotto programmi con garbo. In pubblico, ci sono regole che non tutti rispettano. Andiamo oltre. Come nasce la passione del collezionista?

Un tempo le campagne elettorali si facevano per strada, con comizi, volantini, manifesti. Tu segui anche la politica e sai che, allora, in Romagna, lo scontro tra comunisti, socialisti, repubblicani e democristiani era acceso, di carta, per propaganda, se ne produceva gran quantità. Cominciai a raccogliere volantini e manifesti, mi appassionavano. Mia mamma li buttava via, diceva che non erano cose da bambino.

Mannaggia, oggi costituirebbero patrimonio culturale. Poi, cosa successe?

Da grande misi assieme la passione per il collezionismo con quella per la musica e per il mondo dello spettacolo. Per farla breve, oggi conservo undicimila tra dischi e cd, catalogati. Duemila manifesti di spettacoli musicali, di fotografie e cartoline di artisti ne ho decine di migliaia.   

Impressionante. Gianni, facciamo un telegrafico excursus sulla musica in Romagna, dal secondo dopo guerra in avanti?

In quegli anni la musica folk era un modo per sopravvivere alle privazioni, distrarsi, guardare al futuro e alla ricostruzione. Per chi sapeva suonare c’era possibilità di arrotondare gli scarsi proventi di altri mestieri. Nacquero orchestre e, successivamente, i complessi. Diversi musicisti che facevano musica romagnola si trasferirono all’estero, tornarono con un po' di soldi, da Germania, Austria, Svezia. Portarono la nostra musica fuori e ne importarono altra, fu uno scambio virtuoso.

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D’inverno suonavano all’estero, d’estate tornavano per i turisti che affollavano le nostre località balneari, crebbe la cultura musicale. Poi, come ho detto, arrivò il beat, stravolse il gusto del pubblico. Le orchestre si dovettero adattare, cambiarono repertorio, divise, atteggiamento. 

Una rivoluzione.

Esattamente, seguita, un decennio dopo, da quella dell’utilizzo massiccio delle chitarre. Nacque un altro modo di proporsi, le nuove band realizzavano, al settanta per cento, cover di successi internazionali che qui non arrivavano. È in quel periodo che la musica romagnola perse il passo della innovazione, i giovani in gran parte l’abbandonarono. Poi arrivarono i cantautori, la protesta sociale e politica. Il pubblico si divise definitivamente tra tradizionale, i cosiddetti matusa, e i giovani. I primi andavano in balera, i secondi altrove, soprattutto in discoteca.

La gente ballerà ancora? 

Non come prima, è cambiato il modo di fruire del tempo libero. Ed è una gran perdita, I luoghi del ballo hanno offerto a intere generazioni modo di conoscersi. Adesso i giovani viaggiano, affollano pub e ristoranti, fanno sport, ma spesso sono soli. I social sono cosa ben diversa dalle sale da ballo che tanti hanno conosciuto.

Il tuo libro è l’autentica bibbia del settore.

È il sunto della mia intera conoscenza. Contiene note e approfondimenti su oltre ottocento orchestre, trecentocinquanta fotografie rare, l’indicazione di centinaia di locali da ballo romagnoli, e una discografia riferita a migliaia di pezzi. È il mio lavoro definitivo, non scriverò altri libri.

Figurarsi, non ti fermerai. Dove lo si può trovare?

Ne esistono solo cento copie, autografate, non ho fini commerciali con questa pubblicazione.  Rappresenta, per me, testimonianza di quel che ho appreso e di quel che ho conservato. Credo sia un documento interessante, sentivo di doverlo realizzare e penso di non far male a nessuno.

Tutt’altro, fai del bene. Lo presenterai?

In luoghi diversi, in modo informale. Ripeto che non lo faccio con l’intenzione di trarne guadagno, ma solo per incontrare persone. Lo farò il prossimo sette maggio alla “Festa delle aie” di Castelraniero, ove confluiranno oltre venti gruppi musicali. Successivamente, lo presenterò in altre occasioni, già fissate, e dove me lo chiederanno. Per me stare con le persone è importante.

Grazie, Gianni, in bocca al lupo per tutto.

A voi, cari lettori, in chiusura, propongo, per gioco, senza alcun ordine logico, un breve elenco di locali da ballo, tratto dal libro di Siroli. Non si tratta di locali entrati nell’immaginario collettivo di tanti, come “Il Paradiso” a Rimini, il “Pineta” a MiMa, “Il Peccato veniale” a Cesenatico, o “La Bussola” a Fratta, pur presenti nel libro. Sono, invece, locali “piccoli” che, però, come altri simili, consentirono ai romagnoli incontro, coinvolgimento. Per tutti i gusti, per ogni tendenza, per tutte le tasche. Divertiamoci a ricordarli: la “Bat Caverna” a Riccione, il “Britannia” a Cesenatico, il “Mexico club” a Rocca San Casciano, la sala “Edera” a Bagnacavallo, il “Saint Louis” a Massa Lombarda, la “Grotta Verde” a Marina di Ravenna, il “Poker” a San Piero, il “Milleluci” a Santa Sofia, la “Villa dei Pini” a Viserba. Tutti gli altri che vi verranno in mente sono, quasi certamente, presenti nel libro di Siroli.

La Romagna era anche questo, un insieme di opportunità, di diversità. I dancing che ho elencato, in gran parte, non ci sono più. Per i giovani rappresentano non più di una curiosità, me ne rendo conto. Per altri, quelli dai capelli bianchi, sono, invece, probabilmente, in grado di evocare sentimenti. È per agitare trambusto di sentimenti che è bello ripensare al passato. Cos’è la natura umana, in fondo, se non un impasto di sentimenti? Se lo chiedeva il drammaturgo scozzese Conan Doyle, a fine Ottocento, nella sua affascinante ma gelida terra. Nello stesso periodo, sulle calde coste riminesi e cesenati, cominciava a diffondersi la musica folk romagnola, rielaborando valzer, polka, mazurca, provenienti dal centro Europa. Culture diverse, sintetizzate nella voglia di far musica, di ballare. Non fa male pensare a quei tempi, in giorni di televisioni costantemente accese, di orecchie tese al racconto ipnotico, ossessivo, dei bagliori di guerra che si profilano a est. Buona domenica, alla prossima.

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