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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Il pianista con 'Romagna Mia' fa sognare i facoltosi clienti dell'Orient Express

"Ho composto il numero di Stefano il quale, vedendo la chiamata del suo antico docente di scienze calcistiche ha, invece, risposto senza esitazione dal Duse, con la gentilezza e la risata contagiosa di sempre"

Questa domenica vi presento un giovane artista di talento e di rara simpatia. Antefatto: un pomeriggio della scorsa primavera mi trovavo a casa di Riccarda Casadei, figlia di Secondo. Assieme a lei e alle sue figlie Lisa e Letizia stavamo scorrendo immagini riferite a “Romagna mia”. Scorgemmo in rete, tra gli altri, un video girato all’interno dell’Orient Express, il treno che un tempo faceva da romantico ponte tra capitali europee ed oriente e che oggi, più o meno sulla stessa tratta, ospita viaggiatori in cerca di nostalgia e incanto. Sul vagone notammo un pianoforte suonato magistralmente da un giovane snello e rapido nei movimenti che, da un momento all’altro, passò dal genere classico moderno al folk romagnolo, improvvisando una trascinante esecuzione di “Romagna mia”. I passeggeri del treno, palesemente di provenienza internazionale, applaudivano con entusiasmo e allegria. 

Una scena sorprendente,decisamente gradita dalla figlia e dalle nipoti di Secondo Casadei. Riccarda mi chiese: dottore, chi sarà il pianista? Parentesi: Riccarda è cosi, ha ereditato dal padre (che fu uomo dolce e disponibile per chiunque, per il ricco e, parimenti, per il povero), una squisitezza di modi che le impedisce di rivolgersi a qualcuno senza riferirsi al titolo di studio, come si faceva un tempo. Solo se è assolutamente certa che uno non sia dottore, geometra, ragioniere, maestro, etc, Riccarda usa la dizione signore o signora. Per cognome, o per nome, si rivolge  solo agli intimi. Tornando al video, non seppi rispondere alla domanda, il pianista mi risultava sconosciuto. Eppure, la sua fisionomia mi ricordava qualcuno che non riuscivo a mettere a fuoco. Il giorno successivo, dopo qualche telefonata, appresi che il pianista che si esibisce sul celebre treno è Stefano Zambardino, trentuno anni,  riminese. Mi si accese, finalmente, la lampadina, il pizzetto alla D’Artagnan del musicista m’aveva impedito di riconoscerlo: in un tempo per me bello e lontano, a lui, a suo fratello Francesco, a mio figlio Nicola, quando erano bambini, trasmettevo ogni sera i primi rudimenti del gioco del calcio, al bagno 24, marina centro di Rimini, ove i tre trascorsero le estati dell’infanzia. 

Per presentarvi Stefano occorre che, prima, vi dica dei suo genitori: le vocazioni umane spesso si spiegano conoscendo il contesto familiare. Gianni Zambardino, il padre, uomo di garbo simile a quello di Riccarda Casadei e di battuta prontissima, negli anni Ottanta era un giovane napoletano che, in campeggio in Grecia, conobbe una ragazza riminese, Patrizia Bacci, e se innamorò irrimediabilmente. Non era difficile accadesse: Patrizia era bella, alta, piena di curiosità. Patrizia insegna italiano a studenti stranieri, parla correntemente inglese, francese, tedesco, se la cava bene con giapponese e cinese, scrive libri per l’infanzia con l’editore Panozzo. In trent’anni che mia moglie ed io la incontriamo, non l’abbiamo mai vista in spiaggia senza un libro o una rivista a portata di mano. Gianni, dal canto suo, pur laureato in economia, ha fatto il barista, pensando alla famiglia, a pane e companatico e al futuro dei tre loro figliuoli.

Aggiungo un dettaglio non irrilevante. Gianni e Patrizia, appassionati di cinema, musica, teatro etc, ogni sera che io ricordi (hanno sempre avuto ombrellone a pochi metri dal nostro) si muovevano in bici, assieme ai bambini per recarsi a qualche manifestazione culturale. Detto che con i figli conta molto la fortuna, non stupisce, dunque, che Stefano, Francesco, e la loro sorellina Elena, forse ancor più bella della madre e come lei sorridente e riservata, siano oggi giovani realizzati e in grado di coltivare le proprie passioni.

Lunedì scorso, ho chiamato Patrizia chiedendole dove fosse Stefano. Mi ha risposto: “questa settimana è in Italia, a Bologna, ha due spettacoli al Teatro Duse. Non so se arriva a risponderti, ha le prove”. Ho composto il numero di Stefano il quale, vedendo la chiamata del suo antico docente di scienze calcistiche ha, invece, risposto senza esitazione dal Duse, con la gentilezza e la risata contagiosa di sempre. Protestando, però, la propria convinzione: “non merito un articolo su di me, sono solo un pianista, neppure famoso”.

Bada a fare il tuo mestiere, Stefano, e lasciami il mio. Raccontami, piuttosto, come e dove tutto è cominciato.

Alla scuola media Alighieri, a Rimini, c’era la possibilità della sperimentazione musicale, una gran fortuna. Potevamo scegliere uno strumento, non sapevo d’avere predisposizione per la musica. Poichè mio fratello Francesco s’era cimentato con il pianoforte, decisi di seguirlo, anche se lui, poi, prese altre strade. Per tre anni potei giovarmi dell’insegnamento, gratuito, della professoressa Pesaresi, allieva del grande Alfredo Speranza. A quattordici anni vinsi il premio di composizione Miserendino, a Palermo. Ma continuavo a non  sapere se la musica sarebbe stata la mia strada, il nostro è ambiente pieno di incertezze. 

Tua nonna materna, austriaca, aveva suonato il pianoforte, in patria...

Si, ma noi non avevamo pianoforte, in casa. Mia nonna ha sempre lavorato come receptionist in albergo, a Rimini, perché conosceva bene il tedesco. Non ha mai potuto seguire me, mio fratello o mia sorella con la musica. Però chi sa, forse nella mia passione c’entra in qualche modo la genetica….

Hai conseguito il diploma scolastico e anche quello musicale. E dopo?

Come sai, a Rimini ci sono locali dappertutto, si suona nei bar, nei bagni. A quindici anni ho cominciato a far pomeriggi e serate in quei posti lì. Non era ancora il piano bar, si stava letteralmente in mezzo al pubblico, nel caos, fu una grandissima scuola. Suonavo ogni sera. Succedeva di tutto: il cliente che voleva bere a tutti i costi un gin tonic con te anche se stavi suonando, oppure s’alzava il vento in spiaggia e la sabbia copriva la tastiera e ti si infilava negli occhi ma tu continuavi perché la musica non si deve fermare mai. E’ la legge dello spettacolo.

 Lo diceva ai suoi orchestrali anche Secondo Casadei, in altri tempi. Poi?

Feci un salto di carriera e divenni pianista di piano bar, come quello descritto da De Gregori, avevo una ventina d’anni. A Rimini, al Caffè delle rose, oppure a Riccione, all’Hotel de Bains. Ambienti eleganti, ove suonavo, e se necessario cantavo, pezzi di Elton John, Samuele Bersani, Pino Daniele, o qualsiasi cosa a richiesta. Intanto cominciavo a fare musica assieme a colleghi riminesi: Andrea Amati, Massimo Marchez, Federico Mecozzi. Cercavamo una nostra espressività. 

So che stai facendo belle cose, dopo ne parliamo, ma dimmi dell’Orient Express.

Conobbi un collega, Pierino Rossi, pianista all’Hotel Da Vinci a Cesenatico. Lui suonava sul treno, mi aiutò a propormi. Mi sottoposero a un provino, poi mi fecero il contratto. Da anni sto sul treno, a seconda delle esigenze, qualche giorno oppure qualche settimana al mese. Parto da Venezia, si va a Calais, a Parigi, a Londra. Il treno arriva fino a Istanbul. Sono fisso sul vagone bar, dove c’è un atmosfera particolare..

Descrivi, please.

E’ uno spettacolo. Tieni presente che il treno, di fatto, è riservato a pochi, il costo  può essere anche di quattromila euro a notte. L’atmosfera è stupenda, irripetibile. Salgono turisti spesso molto distinti o tradizionalisti, che coltivano il mito esotico dell’Orient Express, dei racconti di Agata Christie. Il vagone su cui viaggio è quello originale degli anni trenta del Novecento, adeguatamente sistemato per le comodità odierne. Al bar spesso la gente si trasforma, si lascia un po' andare, come uscisse dalle acque territoriali. Persone abituate al totale rispetto delle forme un po' si sciolgono, io con la musica faccio la mia parte, l’atmosfera diventa di condivisione, allegria.

Cosa suoni?

Di tutto, mi lascio ispirare, a parte le richieste del pubblico, da quel che vedo dai finestrini. Quando di mattina attraversiamo le Alpi e c’è la neve, per dire, vado sui classici, antichi o moderni: Debussy, Chopin, Porter, Bacharac. Di sera è diverso, canto anche, c’è aria di festa.

A proposito, come ti è venuta l’idea di “Romagna mia”?

Sono un chiacchierone, lo sai, e campanilista. Parlo continuamente con i passeggeri, di norma in inglese ma mi arrangio anche con qualche altra lingua, promuovo  la Romagna, la nostra cucina e la nostra musica. La gente s’interessa, noi romagnoli piacciamo a tutti, quando sparo “Romagna mia” il pubblico mi segue. Sono quasi tutti stranieri ma diversi la conoscono.

Bravo! Dimmi ancora.

Ogni viaggio è una sorpresa meravigliosa, mi par di vivere dentro un film. In quel lungo tubo in movimento sono ispirato da quel che vedo dentro e fuori, certi giorni si suona anche otto ore al giorno ma la la fatica quasi non si sente. E si incontra sempre gente interessante.

Anche qualcuno famoso? 

Certo. Arriva gente importante, che magari non riconosco ma che mi accorgo essere speciale. Ho conosciuto Chiara Ferragni. Ma ci pensi, Mario, che sul treno ho chiacchierato con John Travolta, con Bill Murray, che ho parlato con Kate Winslett, la protagonista di Titanic, che oggi è una grande attrice, bellissima, gentilissima, alla mano, che non bada alla forma o alla propria immagine ? 

Grande, Ste. Quando non sei in treno cosa fai?

Con Federico Mecozzi, violinista, siamo in giro con il disco “Inwader”, Viaggi Interiori. In questi giorni al Duse facciamo questo. Presto partirò per una tour con composizioni inedite di Ivan Graziani, assieme ai suoi figli Filippo e Tommy, uscirà un Cd con quelle canzoni. Più avanti vedremo…

Perchè non vieni in spiaggia a Rimini da anni, dal video non ti avevo neppure riconosciuto?

Suonando ho cambiato abitudini, amo i luoghi lontani, silenziosi, affascinanti. Sono stato due volte in cammino sulle alte montagne del Nepal. Mi piacerebbe tornarci, se potrò. 

Ti auguro il meglio, Ste, a presto. E viva “Romagna mia”!

Grazie, fai un abbraccio a Nicola da parte mia. E anche a tua figlia e a tua moglie, le ricordo benissimo.

Saluto Stefano Zambardino e penso, non da oggi, che, per un giovane, non buttare il tempo nella noia ma coltivare la febbre che sale da dentro sia il più grande investimento che possa fare.

Buona domenica, alla prossima.

Due volte sulle montagne del Nepal, vorrei tornare.

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