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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

La Domenica del Villaggio - Sul regno del Pd non tramonta il sole, dunque indichi il futuro

I pubblici amministratori del Pd, una classe dirigente per lo più giovane, ambiziosa, composta finalmente anche da donne, deve, dunque, scegliere se limitarsi a gestire  o provare a disegnare il futuro

Domenica scorsa si è conclusa una serie di consultazioni elettorali, iniziate nel 2019, finalizzate al rinnovo dei consigli comunali in Romagna. Qualche considerazione può essere fatta, anche buttando l'occhio a ciò che è accaduto nell'ultimo trentennio, partendo da quei primi anni novanta che videro la luce della cosi detta Seconda Repubblica.

Ho consultato la mappa interattiva, riferita alla evoluzione del voto politico, che la Regione mette a disposizione on line. In Romagna, nel 1992, trent'anni fa esatti, il Pds era il primo partito ovunque, tranne che in ristrette fasce territoriali ove primeggiava la Democrazia Cristiana. Chi ha età e memoria non è sorpreso; curioso è, invece, constatare che quelle fasce risultano quasi perfettamente sovrapponibili a quelle in cui, oggi, insistono comunità governate da quel centro destra che prese abbrivio dopo la scomparsa della Dc e di altri storici partiti. 

Si trattava, e si tratta, di zone collinari del cesenate, della vallata del Montone, di colline di confine tra forlivese e faentino. Con qualche rara eccezione, sparsa qua e là in Romagna.  Quella più significativa riguarda la città di Forlì, passata, con clamore, al centro destra nel 2019, dopo un lungo periodo di fibrillazione interna al Pd locale che investì la giunta guidata dal sindaco Davide Drei.

Nel 1992, dunque, la creatura politica concepita da Achille Ochetto alla "Bolognina", erede del partito comunista, regnava quasi ovunque in Romagna. E' cambiato molto, da allora? No, a giudicare dagli esiti delle tornate amministrative succedutesi tra il 2019 e la settimana scorsa. Oggi il Pd, a sua volta erede del Pds, guida le amministrazioni di Rimini, Cesena, Ravenna, Faenza. Quelle delle capitali del turismo, da Cattolica e Riccione ai lidi ravennati, passando per Cesenatico e Cervia. Quelle dell'asse viario e industriale della Via Emilia, da Santarcangelo e Savignano, fino a Imola, passando per Gambettola, Forlimpopoli, Castel Bolognese, Riolo Terme. Quelle della fertile pianura della Bassa Romagna, densa di imprese agroalimentari e manifatturiere, da Lugo a Russi, da Bagnacavallo a Massa Lombarda.

La quasi totalità della economia e della socialità romagnola ha a che fare con primi cittadini di centro sinistra. Inoltre, a parte Forlì, non ci sono centri particolarmente popolosi guidati dal centro destra.  L'esempio viene dalla vallata del Montone che, dopo che domenica scorsa il centro destra ha riconquistato Castrocaro, è tornata ad essere una sorte di enclave amministrativa storicamente alternativa al sistema dem. La vallata, che fino al 1923 era stata in provincia di Firenze, è, dal punto di vista paesaggistico una delle più belle della Regione e forse d'Italia, caratterizzata da alta qualità della vita, giacimenti culturali, resilienza di abitanti e imprenditori, tenacia degli amministratori. Ma è anche da decenni in difficoltà di fronte a cambiamenti epocali che le sottrassero il ruolo di ponte con Firenze e scandirono il brusco ridimensionamento del settore termale, non più alimentato da normative che favorivano l'accesso alle cure da parte di lavoratori del settore pubblico e privato.  

I numeri ci aiutano a capire. Castrocaro conta circa seimilatrecento abitanti, Dovadola circa milleseicento, Rocca San Casciano circa milleottocento, Portico San Benedetto circa ottocento. Il totale fa, per eccesso, undicimila. Per avere un paragone, la sola, non lontana, comunità di Forlimpopoli, collocata sulla via Emilia, che nel sentire comune è considerata paese, ne conta oltre tredicimila e guarda al futuro con ottimismo. Dire, pertanto, che le giunte a guida Pd osservino dalle finestre dei propri uffici la creazione della quasi totalità della ricchezza in Romagna, con la eccezione di Forlì, non è bestemmia.


Il Pd ha vissuto pericolosamente, tra tensioni e timori, gli anni tra dieci e venti del nuovo millennio. Arrivò la tempesta pentastellata: ormai sembra archeologia della politica eppure, nel 2016, quando Michele De Pascale divenne sindaco a Ravenna e Andrea Gnassi venne rieletto a Rimini, i grillini  risultavano essere, nel voto politico delle due città, il primo partito su piazza, seppur non furono in grado di organizzare, per inesperienza e litigi interni, liste elettorali comunali. Poi ci fu la impetuosa stagione leghista. Il Pd, nel decennio, perse Cattolica, Riccione, Cesenatico, Bellaria. Scrivemmo, anch'io, che il progetto costiero di centro sinistra era in frantumi. Perse, il Pd, comunità significative, come Meldola, Sogliano, Brisighella, e diverse altre.  Perse Imola, e pareva la fine, data posizione e storia della città, di una esperienza che aveva caratterizzato il modello emiliano, riferimento della sinistra internazionale. Di Forlì, "Il Cittadone", del trauma che la sua perdita ha creato nell'ambiente dem, ho detto.

Il Pd, però, ha saputo far tesoro degli errori. Ha, negli ultimi due anni di consultazioni elettorali, riconquistato molte roccaforti, vincendo e, non di rado, stravincendo. Mescolando, talvolta, diavolo e acquasanta: ha vinto a Faenza e Ravenna, accogliendo anche gli scomunicati renziani, e ha vinto pure a Bertinoro, affidandosi a Gessica Allegni, che era uscita dal Pd ed era diventata coordinatrice regionale di Leu mal sopportando il renzismo.  Ha vinto, il Pd, anche trascurando le regole del campo largo predicate da Enrico Letta: a Cesenatico, Matteo Gozzoli nulla ha voluto sapere dei grillini. A Cattolica, Franca Foronchi ha sfidato e battuto il sindaco Mariano Gennari, pentastelllato, che pur aveva contato, visto quel che andava succedendo a Roma, su un accordo con i dem. La chiudo qui con gli esempi. Il punto è che il Pd, dopo stagioni turbolente, è tornato a dar le carte quasi ovunque. Anche convincendo elettori non di sinistra di disporre di idee e di classi dirigenti. La democrazia è questo, proporre e ottenere consenso E, nelle partire amministrative, la fiducia nei confronti delle persone supera altre considerazioni. 

Certo, negli ultimi trent'anni la società è cambiata più che nei precedenti trecento, lo spiegano storici e sociologi. Gli assetti politici nazionali e internazionali sono stati stravolti. I costumi quotidiani sono stati rivoltati come calzini: Nokia, che l'anno prima faceva gomme, si mise, in quel 1992 da cui sono partito, a produrre telefoni cellulari con antenna estraibile e possibilità di memorizzare novantanove numeri. Modificò tempi, modi e filosofie del vivere universale.

Eppure, in Romagna, il centro sinistra, con qualche accento diverso, governa negli stessi luoghi di allora, e non governa dove non governava allora. Significa qualcosa? Ai politologi l'ardua sentenza. So che è così. E so, come tutti sanno, che a molti onori corrispondono responsabilità.

Deve esserne consapevole il Pd e regolarsi di conseguenza. Da troppo opere strategiche sonnecchiano nel libro dei sogni. Realizzarle ci proietterebbe nel futuro, a cominciare da strade d'asfalto e vie telematiche; non farlo ci toglie competitività, ci condanna ad una futura marginalità. Mancano infrastrutture adeguate alla formidabile evoluzione industriale, agroalimentare e turistica che il settore privato assicura. Non a caso, nelle ultime settimane, Confindustria, Confcooperative e Legacoop romagnole, cui sono affiliate le imprese di maggiori dimensioni, hanno, senza strepitare, come è nel loro stile, fatto sentire con fermezza la propria opinione.

Troppe differenze, inoltre, esistono tra i servizi offerti in pianura e quelli assicurati alla montagna. Poco fa ho citato la meravigliosa Valle del Montone, ma il discorso riguarda l'intero territorio, dalla Valconca alla Val Marecchia, fino alle verdi colline faentine, passando per il cesenate e per l'alta valle del Bidente, ove sorge la più grande foresta d'Europa, patrimonio della umanità per Unesco. Servono politiche diverse per preservare territori che costituiscono tesori ambientali e culturali, il cui ulteriore spopolamento costituirebbe un disastro anche per la pianura. Un esempio solo? Nella vallate, una inspiegabile programmazione sanitaria fa si che, dopo un quindicennio  di parole su case della salute, sanità di territorio, etc, manchino persino i medici di base, come nei luoghi poveri del mondo. Mentre la Romagna, grazie a storia, ingegno, talento, e grazie anche alla politica, è uno dei luoghi più belli e ricchi del pianeta.

Serve, per fare tutte queste cose, urgentemente, la politica. E chi deve assicurarla, la politica, se non, soprattutto, il Pd? Che, non dimentichiamolo, guida da sempre la Regione, ricca di quattrini e competenze.

E' tornato di moda il dibattito sulla provincia unica, possibile contenitore di  strategie e buone intenzioni. Eppure, un tipo sveglio e riflessivo come l'ex sindaco di Cesena, Paolo Lucchi, che fu il primo e l'unico, nel 2016, a redigere e ad inviare ai colleghi un documento che abbozzava la creazione di un'area metropolitana romagnola, un mese fa, intervistato per questa rubrica, ha spiegato che serve, più di ogni altra cosa, la volontà politica di fare cose assieme. Contenitore o no. Per realizzare il quale, comunque, servirebbero anni e una teoria sfinente di passaggi istituzionali.

I pubblici amministratori del Pd, una classe dirigente per lo più giovane, ambiziosa, composta finalmente anche da donne, deve, dunque, scegliere se limitarsi a gestire  o provare a disegnare il futuro. Infine, ci sarebbe da dire del centro destra, del suo ruolo e contributo, delle riflessioni che è chiamato a fare, delle attese del suo elettorato, della tenacia dei suoi pubblici amministratori e amministratrici, ma lo spazio di oggi è finito. Ci torneremo.

Buona domenica, alla prossima.

MARIO RUSSOMANNO

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