La Romagna e la sua dolce, spettacolare, ostinazione a rimanere comunità
Negli ultimi due mesi questa rubrica s’è occupata dei drammatici postumi dell’alluvione. Tutto è ancora in alto mare, ci torneremo, ma oggi cambiamo argomento. Ci rilassiamo, volgendo lo sguardo a quel che è ripreso a succedere tra la nostra gente
Negli ultimi due mesi questa rubrica s’è occupata dei drammatici postumi dell’alluvione. Tutto è ancora in alto mare, ci torneremo, ma oggi cambiamo argomento. Ci rilassiamo, volgendo lo sguardo a quel che è ripreso a succedere tra la nostra gente. Vi racconto, dunque, quel che questa settimana m’è capitato di osservare da vicino: due suggestivi avvenimenti allocati nel cuore della Romagna di collina, a Meldola e a Santa Sofia. Località ricche di storia ma abitate da gente che tiene gli occhi puntati sul futuro.
Da Santa Sofia partirono un tempo una cinquantina di ragazzi che s’intrupparono tra quei Mille che seguirono Garibaldi nella folle impresa di fare l’Italia. A Meldola a quei tempi “inventarono” l’allevamento del baco da seta ed ebbero tanto successo che dovettero realizzare una ferrovia che scortava al porto di Ravenna le merci, per raggiungere i mercati del lontano Oriente. Non pensate, però, che da quelle parti sonnecchino sugli allori. A Santa Sofia c’è “Pollo del Campo”, azienda avicola leader in Italia. A Meldola c’è Irst, Istituto di cura e ricerca famoso nel mondo. A proposito: in bocca al lupo al nuovo presidente di Irst, designato qualche giorno fa. E’ Fabrizio Miserocchi, riminese dell’antico borgo San Giuliano, già responsabile delle relazioni della Comunità di San Patrignano, attuale direttore dell’Istituto Oncologico Romagnolo, a lungo fidatissimo collaboratore del grande oncologo Dino Amadori, che dell’Irst fu visionario fondatore. Miserocchi è la persona giusta al posto giusto, saprà fare quel che serve.
Mercoledì scorso a Meldola, senza spendere nulla, hanno inscenato a una serata intrisa di genuina emozione, applaudita dal folto pubblico presente all’Arena Hesperia. L’idea, eccellente, subito condivisa dal sindaco Roberto Cavallucci e dall’assessore Michele Drudi, era venuta a Giovanna Piolanti, esperta di ricerca sociale. Giovanna ha convinto a salire sul palco quattro magnifiche signore, Maria Rosa Amedei, Paola Borghesi, Nerina Fuzzi, Wilma Nanni, e a raccontare vita, abitudini e personaggi della Meldola degli anni cinquanta: quella che loro, bambine, vissero, e che ricordano con infinita tenerezza. Nessuna di loro avrebbe mai immaginato di trovarsi a disvelare, un giorno, su un palco, la quotidianità propria e di chi stava loro attorno a quei tempi. Ne è scaturita un’allegra schiettezza di parole e sentimenti, rara da riscontrare in un contesto pubblico.
Una festa per il cuore dei presenti. Tra biciclette acquistate con scomode rate, negozi alimentari in cui si saldava a fine mese, abluzioni igieniche consentite esclusivamente al sabato nell’unica tinozza, condivisa, assieme all’acqua, con i familiari. Tra feste da ballo attese per un anno e affrontate con il vestito rammendato. Tra soldati dispersi sul fronte russo, dei quali già s’è celebrato il funerale, che, nella sorpresa generale, ritornano in paese. Tra acconciature di belle ragazze sistemate dalla parrucchiera una sola volta l’anno, per la festa della Madonna del Popolo. Tra gazzose con il tappo di sughero, aringhe che costituiscono l’unico companatico, tra piselli e cipolle a rappresentare il familiare piatto unico. Tra uomini che aspettano la trebbiatura per ottenere l’agognato ingaggio di qualche giornata e donne stupefatte dal mito della fabbrica e dell’indispensabile, nascente, lavoro femminile. Con plotoni di belle ragazze in bici che due volte al giorno attraversano il paese rientrando dalla fabbrica “dei Naldini” (la celebre Alax, ove si producevano i migliori impermeabili d’Italia) sotto lo sguardo ammirato di giovani che aspirano a diventarne i mariti. Con le stesse ragazze che, con i grembiuli colorati di fabbrica, a fine turno si piazzano sul bordo del canale a lavare i panni di famiglia, ridendo e conversando ad alta voce nel musicale dialetto dei padri. Istintivamente consapevoli che il futuro sarebbe stato migliore del presente.
Insomma, una meraviglia di narrazione, quella delle quattro signore: divertita, torrenziale, condita di sospiri, battute, fame conclamata, pudori. Governata dal buon gusto che s’imparava a quei tempi, che tu fossi figlia d’un operaio senza lavoro o di un forbito maestro elementare. Arricchita dalle meravigliose fotografie della Meldola di allora, selezionate e proiettate sullo schermo da Marco Tartagni, uno che insegna matematica e fisica nelle Università statunitensi e che nel tempo libero torna al paesello natio a fare quelle cose lì. Lui, che vive in una società rutilante, che cambia freneticamente e che tutto travolge, respira più di altri l’esigenza della memoria e di affetti inossidabili.
La Romagna è questa; voi, forestieri non la conoscete, come, del resto, non conoscete l’Eulalia Torricelli cantata da Secondo e Raoul Casadei, poveretti voi. Uno spettacolo di serata, a Meldola; io, fortunello, ero lì. E dov’ero la sera prima, quella di martedì? A Santa Sofia, in Piazza, sul fiume, dove comincia la maestosa foresta Casentinese, Patrimonio dell’Umanità per Unesco. Si celebrava il premio Sportilia, manifestazione che solo in Romagna si poteva inventare e che procede, imperterrita delle difficoltà, dagli anni novanta. Concepita da un tipo che poteva nascere solo in uno dei nostri borghi: Franco Aleotti, assicuratore di Allianz, il cui cervello frulla instancabilmente sulle frequenze della socialità. Un uomo in grado, da venticinque anni, di far arrivare nel borgo natio i giganti dello sport: per dire, Martedì sera c’erano, a Santa Sofia, Luciano Spalletti, fresco di scudetto con il Napoli, e due leggende senza tempo come Antonio Cabrini e Beppe Saronni, campioni del mondo e di simpatia. Il bello è che Aleotti, palesemente discendente di qualcuno tra i cinquanta che seguirono Garibaldi, assolda gente del genere gratis et amore dei, puntando su gentilezza e disponibilità di chi tanto ha primeggiato e crede nell’amicizia e nella parola data. Ero stato invitato a Santa Sofia da Giuseppe Pierotti, uno che, partendo dalla natia Premilcuore, figlio del custode d’una magione di signori, s’è ritrovato cofondatore di MPP, sponsor dell’iniziativa. Gli sono grato perché è stata una serata splendida, tra risate, rispetto, e celebrazione dello spirito romagnolo.
Qual’è il format vincente inventato da Aleotti? Miscelare miti dello sport a gente di Romagna che ha raggiunto traguardi che, come diceva Manzoni di Napoleone, “era follia sperar.” Ecco, allora, che sul palco allestito a Santa Sofia, assieme a Spalletti, Cabrini e Saronni, sono saliti martedì sera imprenditori come Guido Sassi, fondatore della “Pollo del Campo”, uno cui ciascuno degli oltre due mila dipendenti dal del tu, per sua esplicita richiesta. Sono stato più volte nel suo ufficio, lo testimonio. Come Ettore Sansavini, che a sedici anni, garzone in una clinica privata, sognava di possederne una. Adesso Sansavini di cliniche ne ha cinquanta, in tutta Europa, e da lavoro a diecimila persone, quasi tutti medici e infermieri. E spiega che garantire buone prestazioni sanitarie è il più bel lavoro del mondo. Come Giuseppe Silvestrini che, assieme alla sorella Maria Grazia, partendo dal negozio di elettrodomestici paterno, a Brisighella, ha fondato “Unieuro”. Si, avete capito bene, proprio “Unieuro”. Giuseppe lo racconta come fosse facile facile, è gente così. Una ventina d’anni fa intervistai Maria Grazia per parlare di una fondazione da loro creata in Africa, in incognito, che sostiene progetti di assistenza e sviluppo. Mi dette appuntamento alle sei e mezza di mattina, era l’unica mezz’ora libera che aveva, domenica compresa. E si raccomandò: “Scrivi della Fondazione, non di me e Giuseppe”.
La Romagna è così. Sul palco di “Sportilia”, martedì sera, sono saliti anche formidabili medici. Tre chirurghi conosciuti nel mondo come Claudio Vicini, mago della gola che va a Tokyo o a Boston a insegnare come si estirpano i tumori. Come Francesco Lioi, che ricostruì, tra mille altre ginocchia, quelle di Roberto Baggio. Come Giuseppe Porcellini, il maggiore esperto italiano di chirurgia della spalla. Li conosco bene tutti e tre, ne conosco l’animo gentile e goliardico. Tre ragazzi cresciuti in famiglie romagnole normali, i genitori erano impiegati e maestri elementari. Hanno raggiunto vette professionali impensabili ma sono rimasti quel che erano a vent’anni, curiosi della gente che incontrano e responsabili di quel che fanno. Tanto per dire: Porcellini scende dal palco, mi inquadra e, dopo che venticinque anni fa ha miracolato la mia spalla destra distrutta da una caduta in bici, con una tecnica chirurgica innovativa che lui solo in Italia praticava, mi avvicina e mi chiede, sotto voce, senza neppure salutarmi: come sei messo con la spalla? Sono medici così, sono romagnoli così. Come tutti i presenti alla serata, che siano diventati celebri oppure no.
La Romagna è una comunità in festa, pronta a ripartire. A proposito, vorrei riferirvi che martedì, prima di andare a Santa Sofia, avevo passato un magnifico pomeriggio a casa di Raoul Casadei, a Villamarina di Cesenatico. A far piacevoli e istruttive chiacchiere con la gentile signora Pina, moglie del compianto re del “Liscio”, maestra elementare di quelle di un tempo, riflessiva e fiera, e con suo figlio Mirko, erede musicale, con la sua orchestra, della tradizione paterna. Ci torneremo sopra: il “Liscio”, quello di Raoul, di suo zio Secondo, è pronto a rialzare la testa e a tornare a dire la sua. La Romagna, che tu la imbocchi dalla montagna o dal mare, è uno spettacolo. Buona domenica, alla prossima.