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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

I grandi ex, Paolo Lucchi e i suoi 10 anni da sindaco. "E non mi candido in Parlamento"

Da sempre si alza alle cinque della mattina, estate e inverno, per andare a correre a piedi. Irrequieto, pragmatico, deciso, non sempre conciliante: o lo apprezzi per i modi schietti o ne patisci il piglio decisionista

Lucchi non ha l’età per essere catalogato come ex, ma, essendo stato sindaco di Cesena dal 2009 al 2019, lo inquadro d’ufficio nella categoria. Di più: tenerlo fermo è un’impresa, quindi chi sa mai cosa farà in futuro? Da sempre si alza alle cinque della mattina, estate e inverno, per andare a correre a piedi. Irrequieto, pragmatico, deciso, non sempre conciliante: o lo apprezzi per i modi schietti o, come capitò a qualche assessore, ne patisci accelerazioni e piglio decisionista. Divenne, nel 2001, direttore della Confersercenti cesenate, ruolo che parecchi s’accontenterebbero di svolgere per una vita. Nel 2005 lasciò, per candidarsi al Consiglio regionale: venne eletto con una valanga di preferenze, oltre diciassettemila. Nel 2009 lasciò la Regione per candidarsi a Sindaco, rinunciando a uno stipendio molto superiore. Adesso, dopo un breve periodo di transizione, dirige la società di servizi di Legacoop Romagna. Impegno robusto, di soddisfazione e intensa operatività. Lo invitai a Salotto blu per la prima volta vent’anni fa, è uno che risponde: quel che dice ti può convincere o meno ma, almeno, non ti addormenti.

Lasciare le chiavi della città è stata dura?
"Dopo di me le ha prese una persona che stimo, Enzo Lattuca per Cesena fa e farà benissimo. Detto questo, lasciare non è una passeggiata. Non c’è attività più adrenalinica, che ti faccia sentire maggiormente utile, di quella del sindaco. Dopo, occorre essere disponibile, ma rimarsene al proprio posto. Quando cammino a Cesena, qualcuno mi ferma per dirmi che ai miei tempi andava meglio: non ci casco, facevano così anche con i miei predecessori".

L’estate successiva, quella del 2019, la passasti a preparare cocktail, nell’albergo di tua moglie a Cesenatico.
"Mi ha fatto comodo e piacere. Sono rimasto in famiglia, ho incontrato gente in un contesto diverso, ho lavorato con le mani. Una opportunità fortunata, tra socializzare e rimanersene esclusivamente a pensare, programmare il futuro c’è differenza. E nessuno s’è lamentato del mio lavoro".

Da un po' il sindaco è assoggettato alle regole dello show business, tutto si consuma in fretta.  All’inizio è festa, poi la gente vuole il nuovo e trova mille difetti. Provato?
"In realtà, no. Forse perché mi occupavo di mille questioni concrete, non ho avuto la sensazione di stufare. Il sindaco è sommerso da richieste. Per ciascun cittadino quello che pone è il problema centrale. Da me non si attendeva la novità ma la risposta". 

La risposta arriva sempre?
"Ci si prova. Certo, si corrono rischi. Tra essi quello di dar l’idea di prendere sottogamba la questione perché ne hai affrontate di analoghe. Tra i cittadini l’ultimo che ti contatta deve avere gli stessi diritti del primo. È regola: mai dire “non andare avanti, lo so già”.

Sei stato consigliere regionale, ben remunerato come tutti, di maggioranza o opposizione. Eppure, è ruolo in cui ci si può sentire un po’ estraniati dalla quotidianità. Me lo confidarono consiglieri in carica.
"Occorre far di tutto per rimanere radicati al territorio, ascoltare gente, proporsi. Avere e offrire continuità. Faccio un esempio: da consigliere ti invitano ogni anno agli stessi eventi. Tu devi convincerti che andare serve comunque, incontrerai persone diverse che ti porranno questioni diverse. Andai per due anni consecutivi alla Mostra scambio di Gambettola, non andai al terzo: fu un errore di cui mi scusai. Gli organizzatori avevano ragione".

Da sindaco: un risultato ottenuto che ti emoziona.
"La proposta e la programmazione del nuovo ospedale. Partita dalla considerazione che il Bufalini, al cui interno ci sono esperienze e professionalità eccezionali, ha una logistica impraticabile, nel nuovo millennio. Nessuna competizione con Forlì, nessuna mania di grandezza. Una esigenza insopprimibile".

Ok, ma i tempi di realizzazione appaiono biblici.
"I tempi che il sistema Italia consente. Troppo lunghi, gare d’appalto e verifica per evitare ricorsi sono estenuanti. Con la mia giunta abbiamo individuato e validato l’area, trovato i finanziamenti, avviata la progettazione. Tutto ciò che era possibile, ne sono orgoglioso".

Costruiamo ospedali moderni, ottimo. Ma la medicina di territorio, di prossimità?
"Una sfida da affrontare assolutamente serve una rivoluzione di carattere organizzativo, non solo culturale. Creare anche l’ospedale migliore d’ Europa senza potenziare la medicina territoriale sarebbe inutile. Il percorso di accompagnamento dei pazienti deve cambiare, molto e rapidamente".

Un'altra realizzazione, da sindaco?
"Sono contento per la questione dell’Università. Cesena aveva un tempo aule e laboratori sparsi in mezza città. C’era stato un gran lavoro dei miei predecessori, Piero Gallina, Edoardo Preger, Giordano Conti: non avevano potuto concluderlo per via delle lungaggini normative di cui dicevamo poco fa. A me è capitata la fortuna di poter attivare il cantiere, ho potuto far partire lo studentato". 

Ricordo che nel 2016 eri capofila, tra i sindaci in carica, del movimento che chiedeva la realizzazione della provincia unica di Romagna. Non ne parla più nessuno, almeno tra coloro che maneggiano leve di potere. Una sconfitta?
"Evidentemente, non sono stato abbastanza bravo. Però riscontro che, almeno, l’ente provincia torna ad essere oggetto di attenzioni e discussioni. Si torna finalmente a dire che le province servono, i sindaci dei piccoli comuni, in larga maggioranza, lo affermano. I governi centrali che, di fatto, smantellarono le province fecero un grave errore". 

Resta la questione: come può la Romagna presentarsi là dove si decidono le cose con voce autorevole? Che era ciò che chiedevi allora.
"Più che possibilità deve diventare modalità operativa e tutti gli attori devono esserne consapevoli. Serve preorganizzarsi con modalità di lavoro efficaci, condividere progetti e strategie".

Sarà, speriamo bene. Il centrosinistra, che in Romagna tre anni fa pareva in crisi, è tornato a dare le carte.  Dopo la batosta subita a Forlì nel 2019, ha vinto ovunque: a Ravenna, Rimini, Faenza, Cervia, Cesenatico, etc.  Non spetterebbe al Pd una iniziativa di sistema?
"Lo dico da osservatore, non ho poteri all’interno del partito: il Pd dovrebbe sentire la responsabilità più di altri, non solo perché guida quasi tutte le comunità maggiori ma anche perché ha abitudine di governo più radicata. La conoscenza del territorio, l’esperienza, obbliga il partito ad assumersi onori ed oneri".

Sul fatto che tu non conti nel Pd non scommetterei. Nei dieci anni del tuo mandato, Cesena e la Romagna hanno registrato prima il boom dei Cinque stelle poi quello della Lega.  Mai temuto che per il Pd fosse il capolinea?
"No, però l’ascesa di quei movimenti ha evidenziato i limiti del Pd, che ha fatto gran fatica a individuare i cambiamenti necessari. Oggi il Pd ha nuovi amministratori e dà l’idea di aver capito la lezione".

Diversi anni fa Elena Baredi mostrò a Salotto blu una foto che la ritraeva, con piglio rivoluzionario, assieme a te, Luca Panzavolta e Graziano Gozi. Lei era carina, voi tre meno. Avete fatto grandi carriere ma il mondo odierno vi piace?
"Eravamo neoconsiglieri comunali, nel 1991, cresciuti nella federazione giovanile comunista. Giovani, il futuro ci appariva a colori anche se la foto non lo era. Oggi tutto appare grigio".

Un esempio di grigio?
"I luoghi di discussione politica, anche culturale, sono annullati. Fosse successo allora un cataclisma come la guerra in Ucraina i partiti, non solo il Pci, si sarebbero immediatamente messi a ragionare. Mille riunioni, centomila voci. Allora c’era modo di confrontarsi, condividere. Non avremmo mai immaginato, noi quattro, che oggi tutti ci affidassimo alle televisioni".

Adesso hai un lavoro importante nella cooperazione “rossa”. Anni fa intervistai Giuliano Poletti, presidente nazionale di Legacoop. Mi disse che da bambino non aveva acqua corrente in casa, a Mordano, toccava a lui andarla a prendere al pozzo. Veniva da quel mondo, che non è quello di voi manager attuali. Quella spinta è finita?
"Abbiamo il dovere di preservare quella spinta. Decine di migliaia di persone credono nella cooperazione, in Romagna. Ogni giorno riceviamo giovani che vogliono fondare cooperative, con modalità diverse da un tempo. Ma sempre con quello spirito. Certo, siamo donne e uomini che hanno avuto esperienze umane diverse da Poletti e dalla sua generazione. Non è un merito ma neppure una colpa".

In Romagna le cooperative di Legacoop hanno 21000 dipendenti, ottantamila soci, un romagnolo su dodici è affiliato a Legacoop. Qualcuno dice che questa rete consente alla sinistra di sopravvivere.
"Ribatto che questa rete consente una buona parte della qualità della vita. Servizi sanitari, anziani, scolastici, distribuzione alimentare, produzione e trasformazione in agricoltura. Se la Romagna è passata da essere poverissima a ciò che è oggi lo deve a tanti soggetti, tra essi la cooperazione. Anche quella “rossa”, come la definisci tu".

Ti parlo, finalmente, di donne. Ho fatto una ricerca: Cesena, Ravenna, Rimini, Faenza, Cervia, Cesenatico, non hanno mai avuto un sindaco donna, Forlì uno solo, Nadia Masini. Una su oltre duecento. Va bene così?
"Non va bene affatto. Se tu avessi fatto la stessa ricerca sui gruppi dirigenti dei partiti sarebbe lo stesso, o anche su gran parte del sistema d’ impresa, associativo, sindacale. Si deve riflettere. Occorre trovare la chiave di volta effettiva delle pari opportunità. Al di la delle quote, delle normative, etc."

Ultima domanda. Nel 2018, in occasione delle elezioni politiche, a Cesena Pd e centro sinistra ebbero il peggior risultato della storia. Passarono da due parlamentari eletti, tre considerando Sandro Gozi, a nessuno. Nel 2023 si vota, qualcuno dice che ti candiderai al Parlamento, per contribuire alla rivincita? 
"Assolutamente no. Non mi candiderò più a nessuno ruolo politico o amministrativo, né a Cesena, né in Regione, né per il Parlamento. il mio mestiere mi appaga e mi dà adrenalina. Sosterrò chi vorrà candidarsi, specialmente se più giovane di me. Serve ricambio".

Ringrazio Paolo Lucchi. Buona domenica, alla prossima.

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