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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

Per le grandi opere servono grandi personalità: ecco come nacque "Romagna acque"

L’opera fu frutto di una linea inizialmente condivisa dalle città romagnole ? No. Fu incoraggiata dalla Regione? No. Con tali presupposti l’iniziativa non sarebbe decollata senza la testardaggine di due sindaci forlivesi, Angelo Satanassi e Giorgio Zanniboni

Oggi si vota in diversi luoghi della Romagna. Anche a Rimini e a Ravenna, tra qualche giorno, un paio di settimane in caso di ballottaggi, sapremo chi guiderà le due città per i prossimi cinque anni. A quel punto ripartirà il confronto con i sindaci di Forlì e Cesena per mettere mano alle gradi opere infrastrutturali di cui la Romagna da troppo tempo necessita. Sollecitati della emergenza covid e senza dare troppa pubblicità alla cosa, i sindaci si sono accordati già nel 2020 per un piano comune d’interventi. Ne ho riferito in questa rubrica lo scorso 30 maggio, dopo aver incontrato ciascuno di loro. C’è dunque la possibilità che il prossimo periodo porti buone notizie alla Romagna.

Nell’attesa, sono andato indietro con la memoria: dal dopo guerra solo due realizzazioni, importanti e di grande utilità, sono sorte dalla collaborazione tra i territori romagnoli. Si tratta di “Romagna Acque” e dell’insediamento universitario. Di entrambe, e di molti altri retroscena riferiti a politica ed economia, ho scritto nel mio libro del 2016, “Potere romagnolo”, edito da Minerva. Ne riprendo qui traccia per ribadire la convinzione che sinceri intendimenti potrebbero non bastare: senza grandi personalità disposte a spendersi, di grandi opere è difficile parlare.  La venuta al mondo di quelle due realizzazioni fu, infatti, con buona pace della  agiografia e dei racconti edulcorati, tutt’altro che facile. Il percorso fu accidentato, irto d’ostacoli e trabocchetti. La politica è luogo ove poteri diversi configgono, spesso con clangore di spade. Per portare risultati serve visione, leadership, elmetto sulla testa, e non temere il dissenso. Come avvenne per l’invaso di Ridracoli,  che disseta da un quarantennio l’intera Romagna. 

L’opera fu frutto di una linea inizialmente condivisa dalle città romagnole ? No. Fu incoraggiata dalla Regione? No. Con tali presupposti l’iniziativa non sarebbe decollata senza la testardaggine di due sindaci forlivesi, Angelo Satanassi e Giorgio Zanniboni. Comunisti di scorza dura; non sono certo che si amassero ma avevano personalità da vendere. Satanassi, cresciuto nella Santa Sofia ove la tensione politica s’era da sempre tagliata con il coltello, figlio e nipote di socialisti rivoluzionari, era stato partigiano della ottava brigata. Poco prima della sua scomparsa, avvenuta nel 2011, mi fece l’onore di essere due volte ospite a “Salotto blu”: era ormai malato ma lo sguardo era quello dei tempi belli. Gli chiedevo del passato, lui  preferiva parlare di futuro e di giovani. La risolutezza del vecchio Parlamentare comunista s’era trasformata in una divertita saggezza.

Come lui, Giorgio Zanniboni, più giovane di una decina d’anni, operaio e sindacalista, oratore dalla voce roboante, mostrava, incastonata negli occhi orgogliosi, la storia di una esistenza andata ben oltre i confini che i modesti natali avrebbero potuto consentire. Uomini che non si davano limiti; ecco perché, prima Satanassi e poi, con maggiore esposizione personale, Zanniboni, riuscirono nella impresa. Perseguirono l’obbiettivo, giudicato da molti ambizioso, di garantire, grazie al ciclopico invaso, disponibilità idrica per soddisfare, tra gli altri, i bisogni civili a Cesena e quelli  turistici a Rimini. E le esigenze agricole non sufficientemente assolte da quel canale emiliano romagnolo che attraversa la pianura e che chiunque scorge, qua e la, buttando l’occhio alla campagna. 
Non fu un percorso netto. L’idea dell’invaso trovava fieri oppositori. 

Intanto da parte dei nascenti movimenti ambientalisti e da chi, per prudenza, diffidava di infrastrutture tanto complesse: l’immane tragedia del Vajont, avvenuta nel 1963, aveva lasciato cicatrici nella opinione pubblica. Parte della pubblicistica romagnola evocava scenari apocalittici, adombrando l’ipotesi che, in caso di incidente, l’acqua fuoriuscita dalla diga avrebbe spazzato via Santa Sofia, Galeata, Civitella, Meldola. Ma c’era dell’altro e afferiva alla politica. L’opera era vissuta come d’interesse  forlivese e, dunque, freddamente soppesata altrove. Alla tenacia di Satanassi, Zanniboni e pochi altri non s’accompagnò, dunque, inizialmente, a Cesena, Ravenna e Rimini, la volontà del Psi, del Pri, della Dc e nemmeno di quel Pci da cui pur provenivano i due sindaci forlivesi. Così andavano, realisticamente, le cose. Me lo hanno raccontato, in tempi e luoghi diversi, testimoni d’eccezione come i socialisti Stefano Servadei e Alessandro Guidi, i repubblicani Stelio de Carolis, Piero Gallina, Antonio Mingozzi, Ildo Cappelli, i democristiani Ercole Acerbi, Lorenzo Cappelli, Romano Baccarini, Attilio Battarra. Tutti protagonisti assoluti della politica in Romagna e progressivamente artefici d’un deciso sostegno alla iniziativa.  

Le dirigenze riminesi, cesenati e ravennati, s’erano dichiarate più interessate al completamento del canale emiliano romagnolo, giudicata opera maggiormente idonea a garantire acqua alle imprese agricole della  pianura. Nella quale, va sottolineato, il controllo esercitato dal Pci attraverso la cooperazione agricola era ferreo. Il Canale, era, peraltro, opera promossa dalla Regione, che non mancò d’esercitare il proprio potere di convincimento per tutelarne la continuità. In somma, per un certo periodo l’invaso di Ridracoli apparve, se non idea peregrina, quanto meno figlia esclusivamente dei forlivesi e, di conseguenza, quasi orfana.
Ce ne volle del bello e del buono.

Nei consigli comunali, che al tempo si convocano esclusivamente di sera e talvolta duravano fino alle cinque del mattino, il dibattito sull’invaso tenne banco per anni, determinando anche maggioranze variabili. I sostenitori dell’iniziativa seppero tenere il punto, stendere reti e promuovere alleanze,trovare contatti e finanziamenti, dialogare con la Regione, con Ministeri e diversi Governi nazionali. Fino a quando, con il benestare del Presidente della Regione, il comunista Lanfranco Turci, Ridracoli vide finalmente la luce. Cosa ci insegni questa storia non spetta a me dirlo, ma anche un bambino sa che sono spesso le persone a dar strada alla storia. Anche con le loro complessità: è noto che Zanniboni, per dirne una, a un certo punto non si trovò più a suo agio all’interno della creatura che aveva contribuito a realizzare, per via di contrasti sorti all’interno del consorzio e della sinistra di governo locale. 

Oggi Romagna Acque vive stagioni floride. Il presidente è un riminese di garbo e preparazione, Tonino Bernabè, di mestiere consulente aziendale, già segretario dei Ds riminesi. Quando viene a “Salotto blu” descrive le attenzioni delle università americane e cinesi per il modello ingegneristico e funzionale di Romagna Acque. Non m’addentro, non ci capisco. Mi convince certamente quando, dati alla mano, spiega che, a causa del cambiamento climatico, senza l’invaso la Romagna vivrebbe da tempo estati senza acqua. Un’ipotesi che fa rabbrividire e che scorriamo talvolta tra i titoli dei Tg dedicati ad altre zone del Paese, mentre, rassicurati dal nostro benessere, diamo copiosamente acqua ai fiori.

Abbiamo acqua a sufficienza perché coloro di cui vi ho detto seppero allora tirare dritto. Con frenate e accelerazioni, senza mai perdere di vista lì obbiettivo. Quando avevo vent’anni non votavo Satanassi o Zanniboni, e adesso sono troppo vecchio per cambiare idea, ma riconosco che erano politici dall’anima furiosa. Una virtù, per chi intende cambiare le cose. Oggi ho fiducia nei sindaci romagnoli e in alcuni consiglieri regionali e parlamentari che conosco di persona. Sono certo sappiano che per realizzare grandi obbiettivi non basta esporre la propria anima sui social. Serve altro. Sta a loro essere ricordati, con gratitudine, tra cinquant’anni.  Buona Domenica, alla prossima.
 

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