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La domenica del villaggio

La domenica del villaggio

A cura di Mario Russomanno

La Grazia della sera di Natale nel racconto di don Vitaliano Zanetti

Don Zanetti fu personalità centrale nella comunità, per credenti e non, dal secondo dopo guerra fino agli albori del nuovo millennio

Il ricordo natalizio più intenso, tra quelli ascoltati dalle tante persone che ho avuto il privilegio d’incontrare, lo appresi negli anni novanta dalla voce di don Vitaliano Zanetti. Don Zanetti (tutti gli si rivolgevano utilizzando il cognome, per il rispetto che la sua figura incuteva), fu per decenni parroco della Collegiata di San Nicolò, la principale chiesa di Meldola, posta a una ventina di metri dal palazzo municipale.

Prete carismatico, dalla voce roboante e dalla oratoria magistrale, uomo di cultura e  carattere, don Zanetti fu personalità centrale nella comunità, per credenti e non, dal secondo dopo guerra fino agli albori del nuovo millennio. Aveva, da giovane sacerdote, sostenuto la lotta partigiana, poi divenne, nella Italia  divisa tra Alleanza atlantica e Patto di Varsavia, strenuo difensore dei simboli e degli ideali della Democrazia Cristiana.

Autore di libri di argomento storico e sociale, nella terza fase della sua vita si scoprì poeta, raccogliendo riconoscimenti da parte di giurie letterarie insediate in tutta Italia. Conservava una intima gentilezza che la durezza dei tempi vissuti e il ruolo d’indirizzo collettivo che aveva costantemente mantenuto avevano celato ai più; la poesia, la più inoffensiva delle arti, divenne espressione abituale del suo intenso sentire sentimentale.  

Fu questa felice vocazione lirica a darmi la possibilità di conoscerlo meglio: lasciata nel 1986 la guida della parrocchia, talvolta don Zanetti mi invitava nel suo appartamento, tra libri di storia e dischi di musica sinfonica, tra letture di versi e conversazioni cordiali, con il ticchettio della sua macchina da scrivere a costituire gentile rumore di fondo. Raccontava, don Zanetti, e apriva squarci di conoscenza sul Novecento e sulle contraddizioni di quel secolo che avrebbero affascinato chiunque.  Sentendosi liberato dalle responsabilità che aveva portato per decenni, il tono delle sue conversazioni era diventato sempre più leggero e non di rado divertito.

Una sera gli chiesi quando e perché avesse scelto di fare il prete, immaginando che le cose fossero andate per lui come per tanti altri, all’epoca: famiglie povere indirizzavano i figli al Seminario affinché potessero ricevere una formazione e, magari, un indirizzo esistenziale.

Mi sbagliavo: per spiegarmi la genesi della sua vocazione don Zanetti mi raccontò la intensa e anticipatrice vigilia di Natale che aveva vissuto quando aveva nove anni, negli gli anni venti del Novecento. Erano tempi, quelli, in Romagna, di povertà diffusa e di grandi disparità sociali. Sua madre era vedova e non aveva lavoro. La situazione della famiglia era nota ma, al tempo, non esistevano istituti pubblici di sostegno, né la rete di volontariato che la Chiesa avrebbe organizzato solo negli anni sessanta, sulla spinta del Concilio Vaticano Secondo, e neppure le organizzazioni civiche di cui abbiamo esperienza da tanto.

Allora chi era povero faticava a mangiare ed era solo. Il piccolo Vitaliano andava a scuola, con buoni risultati, ma, inevitabilmente avrebbe presto interrotto quel percorso per cercare un lavoro, seppur a malapena retribuito, unico approdo possibile per stemperare, almeno in parte, disagi e umiliazioni.

“La vigilia di Natale vidi mia madre piangere: da mettere a tavola per la sera aveva solo un caspo di sedano, circostanza che l’addolorava e umiliava come mai era avvenuto in passato”. 

Così mi disse don Zanetti. Quando ripeteva quella espressione, “un caspo di sedano”, gli occhi del vecchio prete si accendevano ancora della indignazione che lo avevano portato a schierarsi, nel corso della vita intera, a fianco dei poveri e delle donne. A favore dei poveri e delle donne aveva pronunciato mille omelie, con intonazione drammaturgiche che tenevano i presenti con il fiato sospeso, mentre in chiesa si sarebbe percepito, nel silenzio assoluto, il battito d’ali d’una farfalla. 

Proseguì il racconto che certamente l’anziano sacerdote aveva svolto in altre occasioni ma che, credetemi, lo coinvolgeva emotivamente come rivivesse solo allora quegli avvenimenti lontani nel tempo: mentre sua madre si lasciava andare allo sconforto, mentre lui, bambino, pensava con rabbia crescente alla ingiustizia del mondo, accadde il miracolo. Bussò alla porta del modesto alloggio don Angelo Casadei, parroco della vicina chiesa di San Cosimo, che era stato informato della triste situazione. Qualcuno tra i parrocchiani gli aveva portato una gallina e della carne da brodo, un lusso per l’epoca, per augurargli buon Natale e confortarlo. Lui, don Angelo, era venuto a donarlo alla vedova e al bambino con i quali non aveva neppure troppa confidenza, ma che di certo avevano più bisogno di lui di quel cibo inaspettato e delizioso.

Il piccolo Vitaliano osservò sul volto della madre lo scoppio di una felicità immensa. Il cuore del bambino, di fronte alla trasformazione della madre, quasi collassò dalla emozione, questo ricordava il vecchio prete.

“Vidi in don Angelo un angelo inviato dal Signore e nel suo gesto il senso del Bene assoluto, della speranza che chiunque è autorizzato a coltivare. Mi convinsi che la sera della nascita di Gesù Bambino era davvero quella del possibile riscatto, per tutti. Quella fu per me la sera della Grazia ricevuta, che mai avrei dimenticato.”

Questo mi disse don Zanetti. Dopo quella sera il bambino cominciò a chiedere alla madre come avrebbe potuto diventare prete, per poter fare cose simili a ciò che aveva visto fare a don Angelo. Entrò in Seminario, anche se, in precedenza, non aveva mai preso in considerazione quella ipotesi. 

Il Bene, mi spiegò quella sera degli anni novanta il vecchio prete divenuto poeta, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla macchina da scrivere, “può essere contenuto anche in un sacchetto di carne da brodo”.

Buon Natale. Grazie per l’attenzione, alla prossima.

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